30 Aprile 2024
Alieni ma non troppo

Il Rapporto NASA sugli Ufo: un piano ambizioso

Ci eravamo appena ripresi dalla storia surreale delle “mummie aliene” presentate da un ufologo messicano al Parlamento del suo paese – surreale soprattutto per il riscontro mondiale che ha ottenuto – che il panorama ufologico planetario è stato di nuovo scosso da un’altra notizia. Questa volta, però, almeno si tratta di un modo di affrontare la controversia ufologica assai più consono con la mentalità scientifica. Merita di essere esaminato con attenzione. 

Il 14 settembre, tenendo fede agli impegni presi, il “Gruppo di studio indipendente della NASA sugli UAP” (della sua istituzione, avvenuta nel 2022, vi avevo già raccontato, insieme ai suoi sviluppi più recenti), ha reso pubblico online il suo primo rapporto sulla questione, e ha tenuto un briefing per i media trasmesso live. Al briefing, oltre al fisico David Spargel, direttore del gruppo, hanno partecipato tre pezzi grossi dell’ente spaziale Usa: Bill Nelson, l’amministratore dell’ente in persona, Nicola Fox, amministratrice associata dello Science Mission Directorate, e Dan Evans, vice-assistente dell’amministratore per la ricerca dello stesso Direttorato per la Science Mission. Come si suol dire, un parterre notevole. 

Sono emerse cose interessanti, soprattutto in vista del futuro. Un piano ambizioso, si direbbe.

Niente alieni, ma studiare gli UAP è necessario

Trentasei pagine, elegante, stringato, propositivo, dall’approccio innovativo – e anche ambizioso. Questo è il rapporto della NASA sugli UAP. Nel testo pubblicato – e nella conferenza stampa che ha seguito a ruota alla messa online – il gruppo ha provato a ripeterlo fino alla noia: non è stata trovata nessuna evidenza che gli UAP abbiano un’origine extraterrestre. 

Questa constatazione, però, non induce per niente a chiudere la questione, perché il problema che il rapporto pone è un altro, ed è forse un problema più interessante delle fantasie ufologiche. Si tratta di questo: anche se sappiamo che gran parte degli avvistamenti sono facilmente spiegabili con una lunga serie di cause, ci sono descrizioni di cose viste in cielo la cui natura rimane ambigua. L’intenzione della NASA è far sì che queste ambiguità si riducano e, dunque, che si trovino delle spiegazioni per gli UAP. 

Come farlo, e, non ultimo, come farlo in maniera che risulti utile per l’avanzamento della conoscenza umana? 

Una ricerca partecipata, aperta, trasparente

Il rapporto non è pensato per fornire spiegazioni su questo o su quell’altro avvistamento – e ancor meno per dare risposte più ampie sulla questione UAP – ma per suggerire alcune vie perché a queste risposte si giunga con fiducia. È un documento interessante, perché è volto alla progettazione generale di una ricerca allo stato nascente. Si domanda che cosa si può fare, operativamente, per avere qualcosa di solido su cui lavorare. Nel testo, l’accento cade in modo deciso su alcune caratteristiche dell’iniziativa: trasparenza, indipendenza

Per il primo dei due termini, il rapporto sottolinea che i dati raccolti dal gruppo saranno aperti, e accessibili a chiunque. Nel rapporto – ed è significativo – è evitato ogni accenno alle difficoltà che potrebbero comportare gli scambi delle informazioni con il Dipartimento della difesa e con le sue branche (ricordo che anche i militari hanno oggi un loro ufficio Ufo, l’AARO): per il Pentagono, la questione della sicurezza delle fonti e delle informazioni è da sempre un problema – e anche un carburante per le recriminazioni di generazioni di ufologi su tenebrosi “segreti” tenuti sotto il tappeto. 

Nel prendere la parola nel briefing, lo stesso amministratore della NASA, Bill Nelson, ha confermato che alcuni casi raccolti sono rimasti non identificati, e che, dunque, non si sa che cosa siano alcuni UAP. Lo scopo dell’ente che presiedo – ha aggiunto Nelson – è di “scoprire ciò che è sconosciuto”. Non ci sono evidenze di visite aliene, ha reiterato a questo punto, ma se le avessi, lo direi pubblicamente: “qualsiasi cosa troveremo, lo diremo”. Dunque, voglia di chiarezza a 360 gradi.

La caratteristica della trasparenza – che, non dimentichiamolo, è uno dei segni di riconoscimento della vera scienza – potrebbe tuttavia avere un contraltare poco piacevole: una pioggia di richieste di notizie e documenti da parte degli ufologi, dai più seri ai più improbabili. Nella gran parte dei casi, gli ufologi credono di avere una specie di diritto di primogenitura sull’argomento. In realtà, ogni organizzazione pubblica che si sia occupata di Ufo, da molto tempo, in America o altrove, si è trovata a fare i conti con richieste, lamentele e accuse di ogni tipo da parte di gruppi di appassionati più o meno attendibili, e, a volte, con le loro agende ideologiche. Potrebbe essere un ostacolo anche per la NASA.

Quanto alla seconda caratteristiche dell’iniziativa, l’indipendenza, si direbbe trattarsi di una dichiarazione rivolta in modo più specifico al pubblico. Qualsiasi linea si persegua – sembra dire – state pur certi che sarà la NASA a deciderla, non altre branche dell’amministrazione, magari quelle centrali, o quelle militari.    

Poi, nel rapporto si passa alle indicazioni concrete per il lavoro da fare. Questa la più ambiziosa:

Raccomandiamo… che la NASA esplori la possibilità di promuovere una collaborazione con le imprese che si occupano di rilevamento remoto, che offrono una costellazione assai potente di satelliti ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra. Al momento, la rilevazione degli UAP spesso avviene in maniera fortuita, ed essi sono catturati da sensori non progettati o calibrati per questo scopo, carenti di metadati complessivi. Se uniamo a questo fatto un trattamento e un’archiviazione incomplete dei dati, il risultato è che l’origine di parecchi UAP è destinata a rimanere incerta.

In altri termini, l’importanza della rilevazione degli UAP attraverso sensori multipli ben calibrati risulta fondamentale. Per conseguenza, raccomandiamo che la NASA impieghi la sua grande expertise in questo settore per il potenziale utilizzo di dati multispettrali o iperspettrali come parte di una rigorosa campagna di acquisizione dati. 

Dal canto suo, il gruppo di studio ritiene che in una campagna generale di rilevazione degli UAP debbano essere usate tecniche avanzate di analisi dei dati, incluse l’intelligenza artificiale e il machine learning, accoppiate a una raccolta sistematica dei dati e a una loro cura adeguata. 

Bisognerà davvero capire se queste previsioni si riveleranno applicabili, oppure se rimarranno soltanto una serie di auspici. 

Una seconda area di raccomandazioni fatte nel rapporto riguarda il crowdsourcing, ossia la partecipazione di persone esterne alle iniziative di ricerca del gruppo. In particolare:

…raccomandiamo che la NASA esplori la fattibilità dello sviluppo o dell’acquisizione di un sistema di crowdsourcing, per esempio di app open-source basate su smartphone, al fine di raccogliere dati dalle immagini o da altri sensori degli smartphone ad opera di cittadini che fanno delle osservazioni, in vista di uno sforzo più ampio di raccolta sistematica dei rapporti sugli UAP da parte del pubblico. 

Infine, la terza area di raccomandazioni, sottolineata anche nel briefing da David Spargel, il responsabile del team: quella che concerne il personale di volo.

…raccomandiamo che l’Aviation Safety Reporting System (ASRS) per i piloti  commerciali che descrivono gli UAP sia usato meglio, in modo da fornire una base di dati che sarebbe fondamentale per l’insieme degli sforzi pubblici per capire gli UAP. Bisognerebbe anche valorizzare la lunga esperienza di partenariato che abbiamo con la Federal Aviation Administration (FAA), per valutare in quali modi le tecniche più avanzate di valutazione in tempo reale possano essere applicate alle prossime generazioni di sistemi per la gestione del traffico aereo. 

Forse nel rapporto non manca una critica – sia pure velata – alla gestione della questione da parte del Dipartimento della difesa. Negli ultimi anni sono fioccate le polemiche per le presunte velocità “incredibili” e per le manovre al di là delle possibilità della tecnologia aeronautica che i presunti UAP avrebbero mostrato, in particolare in alcuni degli ormai celeberrimi video ripresi da piloti della US Navy, la Marina militare americana. In realtà, oggi è possibile dire che quelle supposte accelerazioni fortissime quasi di certo non c’erano – come ha dimostrato, fra gli altri, lo scettico Mick West (si trattava di errori di parallasse). Ebbene, una delle osservazioni che il rapporto NASA fa con una certa enfasi, riguarda la necessità di valutare le distanze alle quali si trovano i presunti fenomeni: quella, si sottolinea, è “la chiave per capire e per corroborare qualsiasi evento con presunte alte accelerazioni e alte velocità anomale”. 

In altri termini, proprio uno dei punti sui quali si sono incentrate le polemiche sui video provenienti dalla US Navy.

Infine, una peculiarità: fra i sedici componenti del gruppo NASA sugli UAP c’è pure un’italiana, l’astrofisica Federica Bianco, dell’Università del Delaware – ma non è chiaro quanta parte abbia avuto finora nel lavoro del team.

La nomina di un direttore della ricerca sugli UAP

Un’altra novità di rilievo è che il team UAP della NASA è stato “promosso” anche dal punto di vista della struttura amministrativa: ora, infatti, conta sulla presenza di un Research director. Un annuncio di rilievo fatto nel briefing, che è stato però segnato da un piccolo incidente. L’incarico era stato assegnato, ma nella conferenza il nome del titolare non veniva fatto: c’era qualche preoccupazione, così si argomentava, perché diversi fra i membri del team, a causa del loro lavoro sugli UAP, erano stati molestati – non è chiaro da chi e in quali forme. 

Fatto sta che, probabilmente resasi conto che la scelta di non identificare subito il nome del direttore della ricerca poteva diventare oggetto di polemiche, la NASA ne ha comunicato il nome qualche ora dopo: si tratta del fisico e meteorologo Mark McInerney, uno dei funzionari dell’ente spaziale. Un nuovo compito, per lui, probabilmente ancora tutto da inventare.

Eccesso di ottimismo?

Per dirla con Nanni Moretti in Palombella rossa, le parole sono importanti. Come abbiamo visto, in questa iniziativa la NASA è attentissima a dosare le parole e, al tempo stesso, a mostrare apertura, trasparenza e desiderio di esaminare una questione sulla base dell’evidenza – non di preconcetti o collegandola con le miriadi di storie infondate che circolano su di essa. 

Come si potrebbero criticare linee d’azione di questo tipo? Proprio lo scettico può esserne soddisfatto: la mentalità scientifica non dipende da una presunta dignità a priori dell’argomento della ricerca, ma dal modo con cui lo si approccia. Vale persino per una questione oggetto di continue smentite, come quella degli Ufo.

Tutto bene, dunque? In attesa dei risultati, forse è bene non eccedere con l’ottimismo. Un po’ tutti i membri del gruppo di studio, a cominciare dal suo coordinatore, David Spargel, hanno insistito sul fatto che, per risolvere la questione degli UAP, è necessario ottenere dati di alta qualità. La mancanza di qualità – dice il gruppo – è il guaio fondamentale che ci troviamo ad affrontare. Ahinoi, il presupposto di questo ragionamento è che questi dati da qualche parte ci siano, che possano essere costruiti – dunque, che questi UAP, in qualche modo, esistano – anche se magari non sono alieni in visita alla Terra. 

Si tratta di una posizione potenzialmente rischiosa, sia sotto il profilo logico, sia dal punto di vista organizzativo. Dal primo punto di vista, l’eventuale mancanza futura dei dati tanto desiderati potrebbe essere considerata non conclusiva quasi all’infinito: “non abbiamo i dati che ci servono, perché non abbiamo ancora gli strumenti adeguati, e perché non abbiamo ancora disegni di ricerca adatti al problema!” Questa posizione conduce al secondo rischio potenziale: “visto che non abbiamo gli strumenti che ci vorrebbero, ci serviranno altri fondi!” 

In questo modo, senza un qualche risultato degno di questo nome, il rischio è che il gruppo di studio NASA autogiustifichi a lungo la sua esistenza – almeno finché qualche alto funzionario, nel revisionare i bilanci, aggrotterà le ciglia e cancellerà la relativa posta di spesa. Una sorte simile, su scala assai più modesta, toccò nel 1969 al Progetto Blue Book dell’USAF, che per più di vent’anni raccolse avvistamenti di ogni genere, senza trovare nulla di significativo – ma va detto che si trattava di un gruppetto senza mezzi e privo di un reale interesse scientifico per la controversia Ufo.

Comunque sia, quella della NASA è una sfida interessante sotto molti aspetti: lo è per l’epistemologia, per la sociologia della scienza e per la corretta comunicazione del dibattito sulle questioni controverse o sul confine della pseudoscienza, come lo è la questione degli UAP/Ufo. 

Immagine in evidenza: un momento del briefing NASA del 14 settembre 2023, dedicato al team indipendente di sugli UAP dell’ente spaziale americano. Tratto dal video del briefing, disponibile su Youtube presso il canale ufficiale della NASA e trasmesso live. 

Giuseppe Stilo

Giuseppe Stilo (Firenze, 1965) si occupa di pseudoscienze, in particolare di ufologia, privilegiando il metodo storiografico. Fra gli altri suoi lavori, "Alieni ma non troppo. Guida scettica all'ufologia" (Cicap, Padova, 2022). Insieme a Sofia Lincos è titolare delle rubriche "Misteri Vintage" (su Query Online), "Il Giandujotto scettico" (sul sito del Cicap Piemonte) e "Divergenti" (sul trimestrale Query).