25 Aprile 2024
Alieni ma non troppo

La NASA insegue gli UAP (ex Ufo), ma gli UAP fanno cucù: cos’è stato detto alla conferenza negli Usa

Alle 10.30 di mercoledì 31 maggio 2023, presso il quartier generale della NASA, a Washington, ha preso il via un panel scientifico che si è protratto per quattro ore – una riunione di esperti impegnati a dibattere insieme un argomento molto particolare. 

Un’occasione attesa da parecchi mesi, e che – si sperava – avrebbe portato delle novità su una questione altamente controversa: l’interesse attivo dell’ente spaziale americano per gli Unidentified Aerial Phenomena, gli UAP, il termine ormai usato ampiamente per cercare di dare un tono di scientificità evitando i classici “Ufo” ed “ufologia”. Nella migliore delle ipotesi, infatti, queste due espressioni rinviano alla buona volontà e a un sano dilettantismo da tempo libero. Nella peggiore (e assai più frequente) al complottismo e all’occultismo contemporaneo. 

Due parole di riepilogo

Il 9 giugno del 2022, dopo alcuni segnali che lo facevano presagire, la NASA aveva annunciato che a partire dall’autunno dello stesso anno avrebbe cominciato a occuparsi di UAP attraverso un nuovo gruppo di studio dedicato, diretto da due astrofisici, David N. Spergel e Daniel Evans

Ne avevo già parlato, presentando scopi e razionale del programma di questa attività, entrambi piuttosto limitati. Raccolta di dati grezzi, costruzione di dati scientificamente utili, loro utilizzo ottimale per la ricerca di spiegazioni di avvistamenti casuali e osservazioni, pubblicità totale del lavoro del progetto e dei dati, e, infine, indipendenza rispetto all’analogo programma sugli UAP iniziato dal Dipartimento della Difesa statunitense, denominato AARO

Fin da quel momento, a scanso di equivoci, erano state messe le mani avanti: non c’era nessuna evidenza di un’origine extraterrestre degli UAP. Durante il panel, del resto, la cosa è stata ripetuta più volte, da più parti. 

Il panel pubblico del 31 maggio 2023 è giunto comunque – come al solito – in ritardo rispetto alle previsioni iniziali dello stesso gruppo NASA, che aveva ipotizzato il mese di marzo 2023 per la pubblicazione dei risultati della ricerca. Comunque, il gruppo ha messo insieme un corposo parterre di scienziati e di esponenti del mondo della ricerca industriale che hanno fatto il quadro della situazione. Vediamo con quali esiti.

I punti principali del panel NASA

Il panel è stato trasmesso in diretta, sia da alcune tv sia su internet: chiara l’enfasi sul fatto che si trattava di un evento visibile a chiunque, e che il gruppo riunito era indipendente – cioè, non un’emanazione di un’agenzia governativa. Chiunque voglia leggere la trascrizione letterale di ciò hanno detto i partecipanti, o vedere in modo diretto il panel e la teleconferenza con i media che ne è seguita, può andare a questa pagina, a questa e a quest’altra.

In questa apertura quasi ostentata, c’è chi ha visto una polemica velata nei confronti del Dipartimento della Difesa – che di UAP si occupa pure, e con intenti e mezzi assai maggiori della NASA – ma che sovente deve far ricorso, per la natura delle sue attività, alla copertura di dati che sarebbero necessari per capire che cosa è successo nell’uno o nell’altro incidente con i presunti UAP.

L’attenzione all’audience è stata notevole. Pur senza aver avuto un ruolo speciale in questa occasione (anzi, il suo intervento è stato decisamente scettico), è stato rimarcato più volte che nel gruppo sedeva pure l’ex-astronauta Scott J. Kelly, che ha pilotato lo Shuttle Endeavour in una missione diretta verso la Stazione Spaziale Internazionale, ha partecipato a una missione Soyuz con i russi e ha stabilito due record: quello del maggior numero di giorni consecutivi trascorsi nello spazio e quello (americano) di permanenza in orbita (382 giorni). 

Questa forte esposizione – decisamente voluta sin dal giugno 2022 – sembra peraltro aver comportato qualche inconveniente. All’inizio del panel Nicola J. Fox, amministratrice associata del Direttorato per la Science Mission della NASA, ha sottolineato che i membri del panel avevano subito molestie di vario tipo (harassment) online. Non è del tutto chiaro quale sia il contenuto di questi comportamenti, però, la cosa è stata evidenziata da Fox, insieme a una condanna della stigmatizzazione dello studio degli UAP. Le molestie, ha aggiunto Fox, potrebbero scoraggiare altri dall’occuparsi di “una questione così importante”, e persino rappresentare “un ostacolo nei confronti del diritto alla conoscenza da parte del pubblico”. 

Una preoccupazione che appare del tutto legittima, ma che ha il suo contraltare: la facile esaltazione dei classici piagnistei di quasi tutti gli ufologi e degli appassionati a fronte degli scettici, rei di irridere qualcosa il cui riconoscimento pensano possa cambiare il mondo: la realtà della presenza degli Ufo nei cieli del pianeta. 

Andiamo però al cuore delle presentazioni del panel. 

L’evento è stato presieduto da David Spergel, che, come visto, è anche a capo dell’intero gruppo di lavoro della NASA sulla questione. L’intento è risultato chiaro: “Se volessimo riassumere in poche parole quello che abbiamo imparato, è che abbiamo bisogno di dati di qualità elevata”, dati che, ha sottolineato più volte Spergel, finora non ci sono. Per provare a rimediare, alla fine di luglio il gruppo pubblicherà un rapporto in cui presenterà il meglio di quello di cui è venuto a conoscenza, trarrà le sue conclusioni e fornirà indicazioni su un’eventuale prosecuzione della ricerca.  

Al contempo, il vice-amministratore associato per la ricerca, Dan Evans, ha ammesso che per molti casi del passato (anche recente) i dati erano talmente mediocri da non permettere di trarre nessuna conclusione. I “filmati sgranati”, non servono a niente e, del resto, gli strumenti con i quali finora sono state effettuate riprese non sono  stati certo pensati per questo genere di cose. Ed è anche tenendo presente questo che lo stesso panel, com’è risultato chiaro dall’intervento di Joshua Semeter, direttore del Centro per la Fisica spaziale dell’Università di Boston, ha finalmente dichiarato che uno dei più celebri video UAP resi noti dal Dipartimento della Difesa in questi ultimi anni – proprio quello che ironicamente era stato soprannominato Go Fast (Va’ veloce) – in realtà dà soltanto l’illusione che quanto si vede sia un oggetto che si muoveva ad alta velocità. Le analisi NASA hanno confermato ciò che lo scettico Mick West, ossia un privato, sosteneva da parecchio tempo: a causa dell’effetto di parallasse, ciò che era stato ripreso nel video Go Fast – di qualsiasi cosa si trattasse – era lentissimo: non più di 60 chilometri orari, relativamente basso sopra la superficie marina!

Per essere chiari: Go Fast (lo vedete qui accanto) era uno dei tre filmati “filtrati” al New York Times nell’autunno del 2017, provenienti dalla Marina Militare, dai quali è partito l’hype ufologico politico-militare americano che ancora prosegue. Sulle manovre “eccezionali” di corpi come questo, ufologi e giornalisti che pompano l’argomento, sono andati avanti per anni.

Le cose più interessanti non le hanno dette quelli della NASA!

Nel panel c’era anche uno dei protagonisti dell’ambito UAP americano di questi ultimi tempi: il fisico Sean Kirkpatrick, ossia il direttore dell’ufficio del Dipartimento della Difesa per gli UAP, l’AARO (All-Domain Anomaly Resolution Office), la cui genesi complicata avevo raccontato qui.

Bene: Kirkpatrick, che sembra essere un ottimista sulla realtà degli UAP, ha spiegato che adesso l’AARO dispone di un complesso di 800 casi spalmati lungo un arco temporale che dal 1996 al 2023: un centinaio di episodi, tutti provenienti da personale aeronautico, è stato acquisito di recente grazie ai dati disponibili alla Federal Aviation Administration (FAA). La percentuale di casi definiti “davvero anomali” da Kirkpatrick (dove per “anomali” s’intendono “eventi accaduti in cielo che non è stato possibile identificare”) è valutabile in una proporzione minima: dal 2% a un massimo – ad esser buoni, stando a lui stesso – del 5%. 

A quanto pare, proprio nelle settimane precedenti lo svolgimento del panel, l’AARO ha messo in campo un’altra iniziativa destinata di sicuro a far rumore: ha condiviso dati su casi UAP con agenzie governative della cosiddetta comunità dei Five Eyes, dove per “Cinque occhi” s’intende la condivisione totale dell’intelligence di cui gode un gruppo di cinque paesi privilegiati: Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda. 

Kirkpatrick ha anche annunciato che il primo rapporto annuale dell’AARO al Congresso degli Stati, quello richiesto dalla norma introdotta dal bilancio per il 2022 del Dipartimento della Difesa, dovrebbe essere reso noto il 1° agosto davanti alla Commissione difesa e intelligence del Senato. 

Poi, però Kirkpatrick ha aggiunto un’altra cosa, un tipo di asserzione che qualsiasi storico delle anomalie conosce a memoria. Riproposta in forma aggiornata nel 2023, suona come l’ennesimo segnale che le indagini sulla casistica, per quanto condotte in maniera rigorosa, non hanno condotto a risultati scientifici di rilievo. 

Ecco cos’ha detto. La maggioranza dei casi non identificati raccolti dall’AARO riguarda presunte “sfere” le cui dimensioni sono state stimate tra 1 e 4 metri, bianche, argentee o dall’aspetto traslucido, osservate in media ad altezza fra i 3000 e i 9000 metri circa – le quote tipiche alle quali volano gli aerei, insomma. In realtà, se si va a guardare il grafico presentato da Kirkpatrick per presentare tali numeri, ci si accorgerà subito che l’idea sottostante, quella di un identikit “oggettivo” del tipico UAP è frutto di grande buona volontà e di grande fiducia nella qualità dei dettagli riferiti dai testimoni o registrati dai sensori. La stessa fiducia che è stata troppo bonariamente applicata agli Ufo dal 1947 a oggi. E poi, le “sfere”, nella base di dati dell’AARO sono sì numerose, ma costituiscono il 47% dei casi raccolti (andate all’immagine qui di seguito). Come ogni appassionato di storia dell’ufologia sa già, sono nient’altro che la “forma” più spesso riferita da chi ritiene di aver visto un Ufo. Che a farlo sia un impiegato comunale, un pilota militare o uno YouTuber, poco cambia.


Si tratta di notazioni descrittive, simili a quelle che – nel tentativo di trovare un filo comune nelle descrizioni testimoniali – erano state proposte già agli albori dell’era degli UFO, nel 1948, ad opera del “Project Sign”, cioè dal primo gruppo di studio dell’Aeronautica sui dischi volanti, come si chiamavano allora. 

Come accennato, Kirkpatrick è un entusiasta della controversia Ufo/UAP. Sa dunque bene che, ammesso e non concesso che fra la massa casistica si nasconda qualche reale fenomeno utile a un avanzamento delle scienze “dure”, per argomentare a favore degli UAP serve ben altro, e che il “residuo” dei casi rimasti senza soluzione dal punto di vista dell’evidenza scientifica significa pochissimo. 

Certo, ha detto, in alcuni casi ai presunti UAP sono state assegnate vari generi di segnature: nel caso dei radar, una rilevabilità nella banda X dello spettro, ossia fra gli 8 e i 12 GHz, per la segnatura radio, nelle gamme 1-3 e 8-12 GHz, e, per le emissioni termiche, nell’infrarosso vicino e medio. Ma queste, dicono Kirkpatrick e l’intero panel, sono rilevazioni casuali, discutibili, perché non mirate in modo esplicito a cercare fenomeni “nuovi” che si manifesterebbero nell’atmosfera terrestre. 

David Spergel, il direttore del gruppo NASA, ha dunque proposto l’implementazione di un’app avanzata che permetta di registrare dati dal proprio telefono e di scaricarli su un sito dedicato – magari sotto la responsabilità della stessa NASA. Per lui, vista la popolarità dell’argomento, se riuscisse, si tratterebbe di un’iniziativa di citizen science su vasta scala dalla quale si potrebbe apprendere molto – comunque vada a finire la caccia agli UAP/Ufo.  

Insomma, la spinta è scientificamente sana: tutti, in forme diverse, hanno invocato dati, dati costruiti bene, dati di alta qualità – con lo scopo di far fare un passo avanti al dibattito, oppure di decidere se di “veri” UAP non ci sono tracce degne di nota. 

Per questo, Kirkpatrick ha gettato sul tavolo un progetto di portata potenziale notevole. Ha reso noto che l’AARO intende far ricorso a una serie di sensori dedicati, cioè pensati in modo specifico per la registrazione delle presunte anomalie dell’atmosfera. Gli episodi in cui ai fenomeni è stata associata una segnatura elettronica – ammesso che si tratti di vere “anomalie” – dipendono sempre da sensori pensati per scopi specifici, scientifici o militari, ma non certo per catturare degli… UAP. 

Per questo, Kirkpatrick ha annunciato un primo passo, indispensabile prima di assumere un atteggiamento maggiormente proattivo: studiare in maniera sistematica se e come i sensori usati dal Dipartimento della Difesa, dalla comunità dei servizi d’intelligence, da sensori commerciali d’impiego industriale, oppure quelli utilizzati dalla NASA, dalla NOAA (l’ente meteorologico federale Usa) o dalla Federal Aviation Administration possono “vedere” i presunti UAP. 

L’AARO dovrebbe passare poi a una seconda fase. Parlando a The Drive, Kirkpatrick ha sottolineato che l’ufficio da lui diretto

…sta valutando un certo numero di opportunità relativa a sensori di varie organizzazioni, enti accademici e industrie, che magari già esistono, e che sono stati costruiti per scopi simili oppure per scopi diversi, ma che è possibile ricalibrare per i nostri fini, e capire se in questo modo abbiamo la possibilità di “vedere” i nostri target. Il modello in sintesi è questo: posso beccare il target, farlo vedere a quei sensori, e  – se davvero funzionano – possiamo capire se decidere di usarli sul serio? 

Vedremo se questo nuovo tentativo di creare un’ambiziosa rete di stazioni becca-Ufo (Kirkpatrick non ha fatto ipotesi su dove l’AARO intenderebbe piazzare le stazioni, ma tutto fa pensare che il progetto non sarebbe limitato al territorio Usa, ma che si gioverebbe della vastissima ragnatela di basi americane sparse nel mondo) passerà dalle ipotesi a qualcosa di concreto. In occasione del panel NASA Kirkpatrick ha presentato questa slide relativa al progetto sensori:

Eppure, nell’entusiasmo che più di altri traspare in Kirkpatrick, proprio uno degli intervenuti al panel, Mike Gold, vice-presidente esecutivo di una grande impresa aerospaziale della Florida, la Redwire, ha posto una domanda di fondo alla quale, con tutta la buona volontà, nessuno dei partecipanti ha potuto rispondere. 

“Non so quale fenomenologia stiamo cercando. Diciamo ‘anomalo’, ma che cosa significa? Accelerazioni anomale? Quando ci mettiamo a guardare ai dati, ci rendiamo conto che stiamo partendo da una posizione quasi impossibile, perché non sappiamo che cosa stiamo cercando”. 

Nei termini in cui si pone finora, infatti, “anomalia” significa ben poco. Gli ufologi che cercano di sostenere la dignità dei dati raccolti e che hanno trasmesso questa passione ammirevole persino ad alcuni scienziati, si sono innamorati di questa idea di “fenomeni anomali”, senza rendersi conto di quanto questa espressione sia praticamente sempre priva di contenuti.  

Ma, forse, il rapporto finale NASA, quello di agosto 2023, o la rete di sensori promossa dall’AARO diretto da Sean Kirkpatrick proveranno finalmente che questa fiducia valeva la pena.

Chissà, forse di tutto il pandemonio ufologico, un giorno si dirà che sì, ne valeva la pena, e che la scienza ne ha tratto qualche beneficio.

Immagine in evidenza: un frame della conferenza NASA del 31 maggio 2023, dal video disponibile online. 

Giuseppe Stilo

Giuseppe Stilo (Firenze, 1965) si occupa di pseudoscienze, in particolare di ufologia, privilegiando il metodo storiografico. Fra gli altri suoi lavori, "Alieni ma non troppo. Guida scettica all'ufologia" (Cicap, Padova, 2022). Insieme a Sofia Lincos è titolare delle rubriche "Misteri Vintage" (su Query Online), "Il Giandujotto scettico" (sul sito del Cicap Piemonte) e "Divergenti" (sul trimestrale Query).