19 Aprile 2024
Misteri vintage

Uno scheletro in una scuola

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Al posto della maestra, in cattedra, uno scheletro sornione, che potete guardare come in un peep show di infima categoria.

Questo è quello che si raccontò per breve tempo nella scuoletta di una località campestre alle porte di Ravenna, alla vigilia dei colpi di pistola di Sarajevo che il 28 giugno 1914 avrebbero ucciso l’erede al trono austro-ungarico, e da lì a poco, fatto finire un intero mondo nella catastrofe della Prima Guerra Mondiale. Dello scheletro nella scuola si occupò un giornale locale, il Corriere di Romagna. Non disponiamo del testo originale di questo periodico che usciva a Ravenna, ma per fortuna l’8 maggio 1914 il Corriere della Sera riportò la notizia riprendendola proprio da quella testata. 

L’episodio si era verificato in una villa nei pressi della città, Villa San Marco, probabilmente situata presso l’omonima frazione campestre del capoluogo. Un edificio in cui aveva sede una scuola frequentata da circa quaranta ragazzi e ragazze e “diretta da una brava maestra sessantenne”.

L’evento scatenante dell’epidemia di voci consistette nel gioco a nascondino di un bambino che si era rintanato sul pianerottolo della scuola, vicino alla porta d’ingresso, chiusa a chiave. Ad un certo punto i compagni lo avevano visto arrivare trafelato. Raccontò di aver sentito un colpo all’interno della stanza, dove non avrebbe dovuto esserci nessuno e che, appunto per questo, incuriosito, aveva guardato dal buco della serratura.

[…] la sedia della maestra era occupata da uno scheletro con una veste nera, che gli faceva cenno di avvicinarsi. 

La discussione, pur fra le prese in giro nei confronti del compagno, si scatenò subito. Anche gli altri corsero a guardare e, inutile dirlo, cominciarono anche quelli a dire di aver visto lo scheletro. La maestra, informata, cercò di calmarli. Aprì il locale, facendogli vedere che lo scheletro di cui parlavano non c’era. Ma “lo sgomento” tra i ragazzini continuava, e allora l’insegnante mandò a chiamare il parroco, che a sua volta inviò il cappellano che

riuscì a persuaderli della loro illusione riconducendoli in classe per far loro constatare come nessuno e niente di anormale vi si trovasse, poi disse: “Ora uscite, guardate attraverso la serratura e… non vedrete più niente”.

Come in altre occasioni, per altri tipi di comportamenti legati a poltergeist, cacce ai fantasmi, visioni collettive, anche stavolta l’intervento del religioso si rivelò insufficiente. 

I ragazzi uscirono, uno di essi guardò e […] si ritrasse urlando che lo scheletro era allo stesso posto. Altri ragazzi gli succedettero con lo stesso risultato e lo strano è che, interrogati separatamente, diedero tutti della visione gl’identici particolari, mentre la maestra e il cappellano nulla riuscivano a vedere. 

Ad alcune ingenuità – vere o volute – come questa dei ragazzi che fornivano particolari simili, particolare che sembrava stupire il cronista, se ne aggiungeva una anche maggiore. Sembrava che “un sanitario”, interrogato dal Corriere di Romagna avesse asserito che il caso era interessante “pel fatto che tra i ragazzi la suggestione è difficile” (sic). 

Piuttosto che ammettere i meccanismi del dilagare istantaneo di una diceria e dell’influenza reciproca, sia pur scartando un intervento soprannaturale (i morti, il demoniaco, ecc.), il discorso andava verso le credenze proprie dei metapsichisti del tempo. Forse i ragazzi si erano influenzati reciprocamente, per via ”psichica”, trasmettendosi i dettagli della loro allucinazione per strade diverse da quelle ordinarie? E poi, comunque, secondo il sanitario non era strano che dei ragazzi si suggestionassero fra loro?

Ignoriamo per quante ore o giorni durò il “contagio”, ma sappiamo che coinvolse anche diversi adulti – anche se al centro delle manifestazioni rimasero sempre i bambini della scuola, veri protagonisti e attori di questo episodio breve ma importante.

Il giorno successivo al primo articolo, cioè il 9 maggio 1914, il quotidiano milanese riprese infatti un secondo pezzo proveniente dal Corriere di Romagna. Dal suo contenuto si direbbe che l’episodio sia durato un paio di giorni, perché il giorno successivo “alla pretesa apparizione”, don Francesco Soprani, che era il cappellano, a lezioni terminate si era recato presso la scuola con altri adulti. Dell’esito della visita scrisse lui stesso in una lettera al giornale ravennate.

Quando ci fummo resi certi che assolutamente era da escludersi ogni inganno, io feci guardare la bimba del giorno innanzi nel buco della serratura. 

Non è noto chi fosse la “bimba del giorno innanzi” ma, anche per quel che seguirà fra poco, si ha l’impressione che costei abbia svolto un ruolo importante nell’intero episodio. Si noti come la piccola guidò le dinamiche del tentativo di controllo messo in atto dal sacerdote:

 La piccina mi disse subito che lo scheletro ricoperto di una veste nera era seduto sopra la sedia della maestra con le occhiaie rivolte verso un libro posto sul tavolino. Mentre la bimba saliva sul pianerottolo, io assieme ad otto o dieci persone eravamo alla base della scala; quando io salivo la scala per accostarmi alla bimba, l’essere misterioso svaniva, così mi diceva la bimba. 

La “bimba del giorno innanzi” continua a raccontare la sua visione. All’accostarsi di un soggetto proveniente dall’esterno, curiosamente ma non troppo, lo scheletro “svanisce”. 

Che cosa fare per bloccare sul nascere l’inevitabile idea che l’evento potesse essere del tutto soggettivo? Ecco come prosegue la lettera di don Soprani:

Ritenendo che la piccina fosse suggestionata, le dissi che dimandasse al presunto scheletro una prova di sua presenza graffiando sulla porta della scuola, La bimba fece la domanda e, passati pochi istanti, tutti sentimmo spiccatamente la graffiatura sulla porta. Ad uno dei presenti venne il dubbio che fosse stata la bimba. Allora io le feci ripetere la domanda obbligandola a tener le manine dietro la schiena. E la graffiatura la sentimmo spiccatissima per una seconda volta. Nel frattempo arrivò un giovane il quale mostrò desiderio ch’io richiedessi la graffiatura. Ed anche per una terza volta si ripetè il fenomeno. 

A  ben rifletterci, quanto sopra è abbastanza sorprendente. C’è lo stupore per il fatto che le graffiature sulla porta si producevano anche se la bambina teneva le mani dietro la schiena – come se un’abilità di quel tipo potesse bastare a confermarne l’origine “misteriosa” – mentre, al contempo, quando ai grandi non era possibile vedere lo scheletro dal buco della serratura nessuno sembrava insospettirsi più di tanto. 

Anche se in questo pezzo sottolineiamo il carattere di gruppo della manifestazione e la sua possibile genesi di tipo psicologico, la manifestazione della “graffiatura” lascia aperta la possibilità che, in tutto o in parte, i fatti fossero dovuti a uno scherzo o a un gioco sfuggito di mano ai bambini (un po’ come avvenne nel 1965 con il “dinosauro” di Palermo). Sulla base di stereotipi che ancora sopravvivono, si tende a sottovalutare i bambini e le loro capacità elaborative complesse. Lo spiritismo, ad esempio, nacque anche grazie al fatto che due ragazze avevano imparato a… produrre strani rumori con le dita dei piedi. Non è da escludere che le “graffiature” fossero generate da qualcuno dei presenti (la bambina, i compagni) in maniera non del tutto ovvia. O che fossero rumori “naturali”, provenienti dall’ambiente circostante, poi interpretati come un manifestazione dello scheletro nel clima di attesa che doveva essersi prodotto. 

Questo, senza trascurare l’ingenuità dell’autorità coinvolta… Il sacerdote qui arrivava a considerare la bambina simile a una delle medium rese popolari dallo spiritismo dell’epoca (ma con in più l’innocenza dell’età), accettava il fatto che fosse lei a dialogare con lo scheletro (era lei che gli impartiva le richieste di “graffiatura”) e, come i positivisti del tempo, costringeva la piccola medium con le mani dietro la schiena, versione minore e casalinga dei legacci imposti ai grandi protagonisti dei gabinetti medianici, o agli escapologi (i maestri della fuga da camicie di forza, corde, catene, come Houdini). 

Infine, in questo piccolo saggio di retorica metapsichista che è la lettera di don Soprani, alla testimonianza dei bambini “ingenui” si sommava la “razionalità” degli adulti, che non poteva fare altro che constatare che lo scheletro in cattedra… c’era. 

Posso anche assicurarla che lo scheletro non è stato visto solamente da bambini, ma anche da quattro o cinque uomini, che ripetutamente hanno affermato e affermano di aver visto una faccia scheletrita ravvolta in un mantello nero. 

Il coinvolgimento di altre persone lascia aperta l’ipotesi che – se non si trattò davvero di un gioco infantile – possa essere inquadrato in ambito psicosociale. All’interno di ambiti ristretti (scuole, fabbriche, comunità religiose, carceri, caserme) si possono infatti verificare “epidemie” di comportamenti e di sintomi che preoccupano, lasciano incerti, fanno accorrere folle ed autorità, fanno temere per la salute dei “colpiti”. In gran parte dei casi si tratta di sintomi fisiologici: svenimenti, convulsioni, dermatiti, tremori: sono quelle che oggi si chiamano Mass Psychogenic Illness. In occasioni più rare, com’è nel nostro “scheletro della scuola” si hanno racconti su allucinazioni visive, di norma terrifiche – non rassicuranti o benevole, come nel caso delle visioni religiose. Queste epidemie isteriche (ma oggi, come detto, al termine ottocentesco si è sostituito il più neutro “malattie psicogene di massa”) che colpiscono le scuole sono ben descritte dall’inglese Hilary Evans e dal sociologo Robert Bartholomew in Outbreak!, la  loro enciclopedia dei comportamenti psicosociali anomali (ecco un caso francese del 2019).  

I due tipi principali di malattie psicogene di massa che si manifestano nelle scuole (e dei quali Evans e Bartholomew descrivono diversi esempi) sono stati meglio definiti in un lavoro dello psichiatra britannico Simon Wessely. Uscì nel marzo 1987 su Psychological Medicine e ben presto diventò un classico. Wessely identifica due tipi di sindromi “scolastiche”: l’isteria ansiosa di massa e l’isteria motoria di massa. 

Quest’ultima prevale in contesti non-occidentali, e vede di solito agitazione psicomotoria, stati di trance e comportamenti istrionici – tutte risposte a tensioni psicosociali già presenti nell’ambiente e di solito sottoposti a norme religiose e accademiche di tipo repressivo. Può persistere per settimane o addirittura per mesi.

La prima sindrome, invece, quella ansiosa di massa, diffusa in Occidente, di solito è più breve dell’altra, e consiste nel sorgere improvviso di un’ansia estrema che accompagna i tentativi di venire a capo di stimoli improvvisi, non preannunciati. Questi stimoli possono essere costituiti dal malore istantaneo di uno studente, da uno strano riflesso su un vetro, da odori, da vapori, da riflessi luminosi… 

Gli stimoli sono percepiti come una minaccia potenziale immediata e presente: minaccia della contaminazione, della malattia altamente infettiva, di presenze pericolose sia “normali” (terroristi, ladri, rapitori…) sia soprannaturali (fantasmi, demoni, vampiri, mostri, extraterrestri…). Il ciclo epidemico di questo secondo tipo in genere si esaurisce nel giro di ventiquattro-quarantotto ore, al massimo in qualche giorno. In seguito, Robert Bartholomew ha firmato insieme a Bob RIckard una vera e propria enciclopedia dedicata a questo genere di eventi (Mass Hysteria in Schools, McFarland & Co., 2014).

Come detto, dello scheletro nella scuola di Ravenna sappiamo troppo poco, vista anche lo scarso numero di fonti; ma la sensazione è che potrebbe anche essersi trattato di un episodio del primo tipo di sindrome, forse prolungata in maniera involontaria dall’inserimento nel quadro dello spiritismo che fu fatto dal cappellano. I casi in cui ragazzi e bambini descrivono vere e proprie visioni di esseri sono assai meno frequenti di quelle in cui si manifestano malesseri e svenimenti privi di cause fisiologiche, e proprio per questo ne abbiamo scritto in diverse occasioni. 

È l’esempio del “vampiro dai denti d’acciaio” di Glasgow (1954), che impegnò centinaia di ragazzini delle scuole della città scozzese per ben tre sere, dalle figure terrificanti accompagnate da laghi di sangue in una scuola elementare di Torino (1967), che agitarono bambini, genitori e insegnanti per quasi una settimana, o dalle figure fantastiche descritte dai bambini di un condominio di via Monferrato, a Torino (1899), in coincidenza con supposte manifestazioni spiritiche nel palazzo. Un caso poco noto, peraltro, ebbe luogo poco tempo prima di quello di Ravenna a Corneliano d’Alba (Cuneo): qui si diffuse la paura per la presenza del “diavolo” nell’edificio dell’Asilo infantile “Celebrini”. Due bambini avevano detto di averlo visto nel sottotetto, correndo poi a dirlo alle suore che lo gestivano. Nella paura generata dall’annuncio, alcune guardie dovettero compiere un’ispezione del locale, alimentando così peraltro le voci di una vera e propria caccia con appostamenti notturni da parte degli agenti (La Gazzetta di Fossano, 23 marzo 1912). 

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