Gabriele D’Annunzio e Bice Valbonesi, messaggera dello Spirito occulto
di Paolo Cortesi
«La medium si era tolto in anticamera pastrano e cappello ed appariva ora in un abito dimesso di seta color marrone, con uno scialletto sulle spalle magre; tra le mani, unite sul grembo, teneva un fazzoletto da naso e un libro. Era alta di statura. Il viso affilato, irretito dalle rughe, tanto che se ne arguiva un’età già prossima alla cinquantina, anche se, forse, n’era ancora lontana, sorreggeva una capigliatura abbondante, negligentemente annodata. […]
-Mi sono fatta accompagnare dalla mia vicina di casa,- spiegò la Valbonesi – perché temevo di non trovare nessuno che mi svegliasse dopo la seduta.-
-Bene, bene!- approvò Nelli -In questo genere di esperimenti la prudenza non è mai troppa-».
Non capita spesso che una persona vivente diventi il personaggio di un romanzo. È quanto accadde a Bice Valbonesi (1886-1972), che si trovò, con nome e cognome, nel romanzo «Ex russi» di Rinaldo Küfferle (1903-1955); il brano che appare qui all’inizio è tratto da quel romanzo.
Al centro di un romanzo
Küfferle scrive che Bice dimostrava più della sua vera età, ma sbagliava: nel 1935, anno in cui fu pubblicato il romanzo, Bice aveva 49 anni, essendo nata nel 1886, a Terra del Sole, un paesino distante una dozzina di chilometri da Forlì.
Rinaldo Küfferle era un giornalista, conferenziere dell’EIAR (l’antenata della RAI) e traduttore dal russo (la sua famiglia era fuggita da San Pietroburgo nel 1917, allo scoppio della rivoluzione russa) e si interessò al pensiero di Rudolf Steiner, tanto che nel 1946 fondò Antroposofia. Rivista mensile di scienza dello spirito, che diresse fino alla morte.
«Ex russi», che ottenne un premio minore al Viareggio del 1935, racconta le vicende di russi bianchi emigrati in Milano e la Valbonesi ha una parte marginale nella trama, ma pare proprio che Küfferle voglia guidare l’attenzione del lettore su di lei, quasi che la scena della seduta medianica nel romanzo sia il pretesto per renderla ancora più famosa di quanto già era.
Prima che inizi la seduta medianica, infatti, il padrone di casa invita la medium a narrare un fatto straordinario nell’Italia del 1935:
«-Ora prendiamo il tè. Racconti, per favore, della sua visita al Vittoriale…
-Oh, – replicò la Valbonesi – ho soggiornato là per una settimana nel 1928. Il Comandante voleva indurmi a restar presso di lui per sempre, in qualità di sibilla, ma il mio spirito guida me l’ha proibito, mi ha detto “No!” così forte che, il giorno dopo, sono quasi fuggita. All’Albergo di Gardone ho ricevuto tre doni: quest’anello – e mostrò un’acquamarina incastonata in un filo d’oro -, questo libro con dedica – erano le orazioni fiumane -, e questa fotografia. Estrasse dal libro un’immagine di D’Annunzio con l’autografo. Egli ha scritto qui: “Manus matris”, perché sembra proprio che, al posto della cravatta, ci sia una mano che gli puntelli il mento. Mi ha fatto anche sapere che davanti all’obbiettivo, egli si era realmente sentito premere da qualcuno la gola.- Gran parte dei convitati si accalcarono intorno ai tre doni. La Valbonesi proseguì: –D’Annunzio crede nei responsi spiritici-».
Anche l’incontro della medium con D’Annunzio era accaduto veramente, come vedremo.
Chi era Bice Valbonesi?
E ora è il momento di conoscere meglio la donna romagnola che l’Immaginifico chiamò messaggera dello spirito occulto. Come accadeva nella storia di ogni medium, Beatrice – detta Bice – Valbonesi scoprì la sua dote in maniera del tutto involontaria.
L’avvocato Gino Trespioli (morto nel 1939) era un infaticabile studioso dello spiritismo, o meglio dell’ultrafania, che veniva così spiegata nella rivista Ali del pensiero che ne era la propagandista: «lo spiritismo seguito dai biopsichisti è quello che si palesa per l’ultrafania (luce dall’Al-di-là) che è comunione diretta con Essenze anontiche (in evoluzione astrale) ed enteliche (perfette). Ma c’è un’altra differenza non meno profonda fra spiritisti e biopsichici: quelli ritengono che “gli spiriti si incarnino nel medium”, noi riteniamo che “le Essenze vibrino le loro radiazioni pensative” che si chiamano nouri (dal greco: correnti di pensiero); con ciò noi riteniamo di essere perfettamente nella scienza positiva, la quale oggi con le radiazioni ha aperta alla nostra teoria la via maestra».
Trespioli trovò proprio nella Valbonesi la prova regina della sua teoria: Bice aveva avuto un’istruzione assai modesta, eppure quando era in trance, assorbendo le radiazioni pensative (qualunque cosa fossero…), dettava discorsi che erano giudicati elevatissimi; in realtà, ad una lettura non compiacente e non suggestionata, appaiono noiosissime, prolisse, confuse, insulse esortazioni moraleggianti.
L’avvocato Trespioli, nel suo libro Ultrafania, uscito nel 1931, scrisse come iniziò la fantastica esperienza della medium:
«Bice Valbonesi è nata 40 anni fa (in realtà, 45; era nata il 20 febbraio 1886, n.d.a.) a Terra del Sole (Forlì) da famiglia agiata. Rimasta orfana fu dal tutore, giovanissima, fatta sposare a chi fu cagione di un’esistenza realmente tragica. Sola, con tre figli, con la fatale lenta distruzione del modesto patrimonio, guadagna da vivere ricamando e dipingendo; fine educazione ma istruzione appena elementare. Nel 1923 udì una voce misteriosa all’orecchio, argentina, imperiosa: “scrivi!” E la mano, d’improvviso afferrata una matita, vergò parole. Bice, spaventata della strana voce più ancora perché credette di essere impazzita, uscì dalla stanza, si precipitò dalla portinaia (abitava a Milano in Piazza Rottole, 16) la quale emise il suo verdetto: “sono gli Spiriti”; e la pregò di obbedire perché “gli Spiriti la venissero ad aiutare”. I consigli della portinaia saputella e la consuetudine di “udir la voce” convinsero Bice che, con sua sorpresa, scriveva senza sapere che scrivesse, ma che, poi leggendo, trovava “strano e bello”».
All’inizio, Valbonesi in trance scriveva versi, come racconta lei stessa:
«Incominciai allora a scrivere sonetti e terzine trecentesche che, secondo gli studiosi di fenomeni psichici, furono giudicate di notevole valore filosofico».
Le terzine erano dichiarate dettate da un tale Marzio.
Ancora Gino Trespioli raccontò nel suo libro Biopsiche (1926) come conobbe la Valbonesi, di cui divenne il più entusiasta ammiratore. Lui da tempo si interessava di spiritismo; l’amico Mario Borsalino gli disse di una «medium o meglio ultrafana eccezionale», appunto la Valbonesi. Mario Borsalino (1877-1950) era il rampollo della famosa dinastia di fabbricanti di cappelli di Alessandria, il cui cognome indica ancora oggi un celebre tipo di copricapo, il borsalino. Mario era anagraficamente destinato alla guida dell’industria familiare, ma lui aveva altre passioni e altre mete: fu un coraggioso alpinista e un temerario pilota di palloni aerostatici. Nel 1907, l’avventuroso atterraggio di emergenza del pallone su cui aveva toccato i 1400 metri di quota lo portò a sfasciare il comignolo di una casa a Tovo San Giacomo (Savona), ma nessuno si fece male. (Devo queste notizie alla gentilezza di Laura Nella De Marco e Adriana Spinelli, della Biblioteca Comunale di Tovo San Giacomo). Nel 1908 partecipò alla Coppa Gordon Bennet, la più antica gara per aerostati.
Un altro interesse di Mario Borsalino era lo spiritismo; faceva parte della Consulta del Convegno Ultrafanico, una associazione fondata a Milano nel 1932 che aveva «per scopo la ricerca e la conoscenza dei problemi biopsichici seguendo ed approfondendo con metodo scientifico la fenomenologia medianica, diffondendo la conoscenza delle manifestazioni ultrafaniche con tutti i mezzi di indagine (esperienze, congressi, propaganda orale e scritta) e vigilando severamente perché l’uso e l’abuso di empirici ed errati sistemi di ricerca non turbino e danneggino le alte finalità dello studio del più grandioso e vitale degli argomenti che interessano l’Umanità», come stabiliva l’articolo 2 dello statuto. Nel 1938, firmò l’introduzione al volume di Etelredo Calvis, La seduta medianica (Hoepli editore).
Mario Borsalino invitò Trespioli ad una seduta ultrafanica con la Valbonesi; era la sera del 4 marzo 1926 ed iniziava così una lunga, intensa collaborazione tra l’avvocato e la Bice che ormai viveva della curiosa professione di medium.
«La Signora» scrisse Trespioli «mi accolse con una affabile stretta di mano. Eravamo una ventina. […] Bice Valbonesi, caduta in-trans (sic), gli occhi chiusi, la testa volta in su, senza guardare i fogli bianchi che aveva posti sulle mie ginocchia, trasformate in scrittoio, ella in ginocchio, scrisse con mano tremula e con una velocità vertiginosa».
Il messaggio della medium invitava Trespoli a realizzare un’opera non meglio specificata; l’avvocato aveva terminato Biopsiche che temeva di non riuscire a pubblicare, e fu certo che a quest’opera si riferisse lo spirito che si manifestava tramite la Valbonesi, della quale egli spiegò come si comportava in trance: «Bice Valbonesi ode e parla o scrive. Se parla, ripete lente le frasi che le vengono dalle vie del mistero; se scrive, la mano di lei, in continuo tremito, scorre con rapidità vertiginosa sui fogli anche se tutti gli astanti parlano ad alta voce di argomenti varii; e, finito, i messaggi sono letti, mentre noi ci guardiamo negli occhi, muti per la sorpresa».
E si chiedeva sgomento:
«Come mai Bice Valbonesi, di modestissima coltura, può essere in grado di concepire idee, di esprimere, se non esistesse una segreta Potenza che per lei si esprime?»
Francamente tanto riverente stupore per la sublimità delle idee sembra eccessivo. Le pretese rivelazioni di Bice sono parole in libertà, comunicazioni il cui fraseggio aulico e solenne copre il nulla concettuale, anzi la semplice mancanza di senso compiuto; qualche esempio:
«Lo Spirito non è altro che la sostanza pura definita atomo-vitale, particula pulsativo-attiva, particula spirituale, paragonabile all’atomo della Materia».
La materia è indistruttibile perché «della Materia resta quel quantitativo azotato, carbonico, ecc. informatore della Materia stessa».
«Tale Essenza resta in dipendenza della Materia e vive anche poi, dopo il passaggio materiale di una vita diversa, ma con una base puramente pensativa».
«Nella Materia e nello Spirito sta la Sostanza che collega i due punti convergenti, ma è necessario che tu discerna che la Sostanza slegata cioè sciolta dal nucleo materiale atomico, diventa massa pura individuale, ed inizia il soggiorno nei diversi mondi», e via vaneggiando.
Agli onori della cronaca, con D’Annunzio
Gino Trespioli, vero mentore della medium, volle farla conoscere al grande pubblico.
Sulla Domenica del Corriere l’avvocato pubblicò due articoli sugli ineffabili poteri della Bice. Sul primo (apparso sul fascicolo datato 1 maggio 1938) leggiamo: «Il primo che seppe dare valore alla nuova fenomenologia fu Gabriele d’Annunzio. Egli fu il primo ad esaminare una medium nuovissima, non iperfisica ma ultrafana (cioè medium di alta intellettualità), la istruzione della quale arriva a quella della quarta elementare, una italiana, Bice Valbonesi. Egli la volle a Gardone, presso di sé, trascorrendo lunghe ore di giorno e di notte, per sentire da “colei che vede e che ode” le voci venienti dal mistero».
Nell’articolo successivo (pubblicato il 24 luglio 1938), Trespioli lasciò la parola alla stessa Valbonesi, la quale scrisse che «la solita voce» le ordinava di portare a D’Annunzio, al Vittoriale di Gardone Riviera, le poesie scritte medianicamente. Accompagnata da un amico, il ragionier Bergomi e introdotta dall’architetto Giancarlo Maroni, colui che aveva disegnato il Vittoriale, il 7 gennaio 1924, «l’incontro ebbe luogo nell’Oratorio dove solo i più intimi entravano. A d’Annunzio furono lette le terzine scritte, egli dichiarò che potevano essere stampate, tanto erano perfette nella forma e concettose e forbite. Congedati gli altri, rimasi sola con lui. Un desiderio violento di scrivere mi prese, il braccio era scosso come da una corrente elettrica. I fogli si riempivano di una scrittura minuta e serrata. A mano a mano che li andavo scrivendo, il Comandante li raccoglieva e li leggeva attentamente; poi con tutta semplicità mi disse profondamente commosso: “È un dettato di mia madre”. E rimase a lungo pensoso».
Poco dopo, Bice sentì ancora la voce dettare e scrisse un componimento in versi in un bizzarro italiano arcaicizzante dedicato a Gabriele. Il poeta comandante le chiese cosa poteva offrirle «in cambio della intensa gioia spirituale» che gli aveva dato. Bice non seppe che rispondere e il poeta guerriero le offrì una copia del libro «L’Italia degli Italiani » con questa dedica:
7 gennaio 1924. Alla messaggera dello Spirito occulto – a Bice Valbonesi – offro questo libro ascetico della mia salvazione. Gabriele d’Annunzio.
Le regalò anche una sua fotografia con dedica
a Bice Valbonesi – che vede e ode – questa immagine mistica offre Gabriele d’Annunzio.
Sul lato destro c’era la scritta latina Manus Matris (la mano della madre).
«Manus Matris? Alla mia muta interrogazione, il Comandante mi spiegò che quando era stata fatta la fotografia, aveva sentito sotto il mento la carezza della mano materna e mi fece osservare come essa fosse visibile e chiara nel risvolto sinistro della giacca, che gli sfiora infatti il volto. M’invitò a restare chiamandomi Donna Marzia, perché le terzine da me scritte erano firmate col nome di un’Entità sé dicente Marzio. […] Una sera mi infilò nel medio (medium disse lui) della mano destra un anello lavorato nel suo laboratorio, finemente arabescato, dicendomi: “Resti la vostra missione suggellata da questo cerchio, la pietra, rossa sia per voi, come lo è per me, Donna Marzia, simbolo di una forza superiore».
Valbonesi restò una settimana all’Hotel du Lac di Gardone, ospite di d’Annunzio. Dopo quel periodo, non è più traccia di contatti fra lei e il poeta nazionalista, nel cui archivio non si conserva nessuna corrispondenza con la Valbonesi.
Consultata da Mussolini?
Secondo lo scrittore Gian Dàuli (pseudonimo di Giuseppe Ugo Nalato, 1884-1945), la medium romagnola fu consultata anche dal suo compaesano Mussolini; così scrisse – purtroppo senza indicare la fonte di una notizia così straordinaria – nel suo libro «Mussolini. L’uomo, l’ avventuriero, il criminale» (Lucchi, Milano, 1946, pag. 71):
«Megalomane, assolutista e sciocco nello stesso tempo, fino al punto di credere alle parole delle chiromanti (una certa Contessa Aurelia ben nota a Roma e Bice Valbonesi altrettanto nota a Milano) le quali gli assicuravano che in lui erano reincarnate le anime di Giulio Cesare e Napoleone, si credeva naturalmente tutto permesso».
Contessa Aurelia era il nom de plume della ravennate Rosa Aurelia Saporetti (1862-1927), vedova del conte Gastone Gabrielli di Livorno, che nei primi del Novecento divenne celebre, e ricca, come chiromante e profetessa. Non sappiamo se Mussolini fu davvero suo cliente, di certo lei l’avrebbe voluto, a giudicare da questa sua dichiarazione:
«Io sono la più fervente ammiratrice di Mussolini, e diversi anni fa predissi la sua intangibilità. Ci sono i documenti che parlano. La Provvidenza lo protegge. Egli ha nella mano la “croce di Napoleone”. Nessun altro vivente ha quel segno eccezionale di potenza e di genialità; io gli predico ancora grandi fortune, che si identificheranno con quelle della Patria, e molto presto». (La Stampa, 5 maggio 1927, pag. 3).
Un’altra curiosa rivelazione ultrafanica si deve alla Valbonesi, e ce ne parla Dom Neroman sul settimanale parigino La Presse del 9 febbraio 1952. Dom Neroman è lo pseudonimo di Pierre Rougié (1884-1953), che riuscì a conciliare senza un velo di perplessità la sua vocazione di astrologo e occultista con la professione, decisamente razionale, di ingegnere civile, insegnante all’École nationale supérieure des mines de Saint-Étienne.
Racconta Dom Neroman che conobbe Bice Valbonesi, «una delle più sbalorditive medium che mi sia stato concesso di incontrare», nella primavera del 1935, nel salone della casa di un Monsieur P. non identificato che era così ricco da abitare sugli Champs-Elysées e da sostenere le spese per le sedute della ultrafana, che si produsse davanti a ottanta persone.
Le energie della Terra, rivelate dagli spiriti
Bice in trance parlò ispirata da uno spirito che disse di chiamarsi Prisma, il quale si rivolse a Dom Neroman dicendogli che un suo articolo sull’Isola di Pasqua era sbagliato. Per l’occultista, l’isola del Pacifico era ciò che restava in superficie dopo l’inabissarsi del continente mitico di Gondwana. Invece, Prisma gli svelò che essa era sempre stata un’isola e che le sue famose gigantesche statue, i Moai, erano state realizzate dagli «uomini della valle dell’Indo, i più civilizzati di quel tempo».
Parlando con l’apparato vocale di Bice, Prisma spiegò: «Essi sapevano che il globo è dotato di una permeabilità alle onde cosmiche, del tutto paragonabile alla permeabilità magnetica caratteristica del ferro; essi sapevano anche che è possibile concentrare il flusso su un diametro privilegiato semplicemente installando ai due antipodi collegati da questo diametro i due poli “più” e “meno” di un “collettore di onde”, che il vostro linguaggio moderno chiamerebbe forse un “condensatore”. Essi hanno dunque collocato il polo positivo, benefico, presso di loro nella valle dell’Indo e si sono spinti in mare alla ricerca del loro antipode, per installarvi il polo negativo, malefico. Essi, infine, sapevano che i due poli opposti portano la stessa carica nell’equilibrio cosmico, così che il loro paese riceverà dal cielo degli influssi favorevoli tanto più potenti quanto più al loro antipode gli influssi negativi saranno letali».
Agli antipodi dell’India, ecco l’Isola di Pasqua, destinata a diventare un posto tristissimo e dannato per procurare la fertilità della valle dell’Indo. Ma vivere in quella specie di cloaca cosmica, ricettacolo di ogni radiazione maligna sarebbe stato una sorta di suicidio differito, perciò dato che i sapienti indiani «desideravano la salute della loro razza, popolarono l’isola di malati, di asceti volontari, santi martiri le cui eroiche privazioni avrebbero assicurato ai loro fratelli dell’Indo prosperità e buona salute».
La creatività di coloro che sinceramente si credevano medium intellettuali è veramente senza limiti. In confronto ad essi, i dadaisti e i surrealisti sono banali cantastorie di paese.
Immagine di apertura: dipinto del pittore futurista Luigi Russolo (1885-1947), da Wikimedia Commons, foto di Jackrosso, licenza CC BY-SA 4.0.