Il rettile-sauro della Nuova Zelanda
di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo
Un animale mostruoso, simile a un rettile, ma con le zampe, che semina il terrore lungo le sponde di un fiume, pozze e torrenti nel nord della Nuova Zelanda, per almeno due anni. Un essere che avrebbe rovesciato barche, inseguito bambini, ucciso un uomo trascinandolo nel fondo delle acque. Che cosa è successo davvero, in età vittoriana, nella zona del fiume Waikato, nel nord dell’arcipelago neozelandese? Abbiamo recuperato questa storia polverosa in tutte le sue fonti: le abbiamo ripulite e abbiamo cercato di leggere questa storia lontana, ma ricca di spunti di riflessione per chi ama l’indagine razionale della realtà.
I cicli nei fenomeni anomali
Gli studiosi che si occupano con spirito critico di presunti fenomeni “anomali” rispetto alle conoscenze scientifiche acquisite (Ufo, animali misteriosi, avvistamenti ripetuti di fantasmi in zone circoscritte, ma anche voci e leggende metropolitane, manie e mode collettive) sanno che questi fenomeni sono caratterizzate da “ondate” d’interesse e di testimonianze concentrate nel tempo e, molte volte, confinate anche dal punto di vista geografico.
In linea generale, e senza pretese di creare schemi troppo rigidi, di solito le ondate sono caratterizzate da uno o più eventi iniziali isolati che attirano l’attenzione dei media e del pubblico, testimonianze trattate con particolare cura, perché appaiono credibili e degne di attenzione. Da qui, s’innesca la fase di salita dell’interesse e delle segnalazioni di fenomeni analoghi, nei pressi di quelle iniziali o anche in località distanti, finché non si raggiunge il parossismo e l’opinione pubblica e anche gli “esperti” sembrano credere nella realtà di quanto sta accadendo.
Ma le ondate sono anche auto-limitanti: dopo giorni, o settimane, o mesi, la copertura mediatica e il numero delle segnalazioni cala. Cominciano riflessioni più distaccate, si cercano spiegazioni razionali per quanto sta accadendo. Vignette, meme, prese in giro, usi pubblicitari del fenomeno in corso si moltiplicano.
Con la “coda” finale, il fenomeno si spegne – magari, fino al ciclo successivo, sempre impossibile da prevedere nei tempi, nelle forme e nella portata.
Forse più di tutte è stato studiato il fenomeno sociale delle ondate Ufo, evidente fin dagli inizi della storia moderna delle “cose strane nel cielo”, quella iniziata nel 1947. Un antropologo americano, Thomas Bullard, studioso di ufologia, ha redatto nel 1998 una lunga voce sull’argomento per la UFO Encyclopedia (Omnigraphics Books, vol. 2, pp. 1014-1024), opera di uno dei più documentati ufologi americani: Jerome Clark.
Vediamo ora come andarono le cose con il “mostro” che infestò l’isola settentrionale maggiore della Nuova Zelanda per un paio d’anni.
Due giovani, attendibili testimoni
Il 29 settembre 1886, in un angolo remoto del nostro pianeta, la Nuova Zelanda – e remota allora lo era sul serio – uno dei principali giornali del paese, allora colonia britannica di poco più di mezzo milione di abitanti su un territorio non troppo inferiore a quello italiano, raccontò in toni eccitati un fatterello minore. Il New Zealand Herald, giornale di Auckland, scriveva che il mattino prima, un “sauro rettile” aveva inseguito due ragazzini.
Era successo a Frankton, un paesino nei pressi della città di Hamilton, nell’Isola del Nord, dove scorre il fiume Waikato. La proprietà del signor Castleton era attraversata da un torrente, ed era lì che era successo il fattaccio. Mentre lui non c’era, uno dei suoi figli, un quattordicenne, aveva visto l’acqua del torrente agitarsi. Pensò a una grossa anguilla, ma, avvicinatosi, vide quello che poi descrisse in modo assai diverso. Una lunga testa appuntita, il “coso” era dotato di scaglie, lungo novanta centimetri, col corpo largo come quello di un vitello e di colore marrone. Aprì la bocca e, uscito dall’acqua, si mise a inseguire il ragazzino. Aveva due paia di zampe, e denti molto grossi: secondo il suo racconto, la bocca avrebbe potuto contenere la testa di un uomo. Si fermò un attimo e si accorse che anche lo strano essere si era fermato. Corse a casa, e disse la sua storia. Incuriosito, un suo fratellino di due anni più giovane, per niente impaurito tornò da solo sul posto, e raccontò di aver visto anche lui il “sauro rettile”, che stavolta, però, lo aveva seguito sin quasi a casa. Lo descrisse persino come più grosso del fratello maggiore: era largo come il massiccio cane da riporto del padre, e lungo “come il tavolo di cucina”.
Sulla base di questa prima testimonianza, isolata ma ampiamente indagata e commentata, prese avvio una storia destinata a protrarsi per due anni.
Forse si trattava di un iguana? L’autore dell’articolo riferiva una voce che era circolata un paio di anni fa: un nativo aveva portato un gruppo di iguane nella zona, e tre o quattro erano finite nel fiume Waitako. Forse era una di quelle – un tipo di voce, quello delle “immissioni” di animali “alieni”, che spesso, anche oggi accompagnano i cicli di racconti di animali misteriosi o di presunti, grandi felini imprendibili.
In questo modo, nel giro di poche ore faceva la sua comparsa un secondo elemento, caratteristico dei modi in cui la stampa di molti paesi, Italia compresa, fra Otto e Novecento inoltrato si posizionava nei confronti del fantastico. Se al mattino il New Zealand Herald aveva lanciato la storia con un’apparente dose di fiducia nei due ragazzini, al pomeriggio ci pensava un suo concorrente, l’Auckland Star, a riequilibrare le cose nella direzione opposta.
Un nostro concorrente, scriveva lo Star senza citare per nome l’Herald (lo descriveva con sufficienza come un suo “contemporaneo”) aveva pubblicato quella mattina stessa “un resoconto lungo e impressionante“. Forse, il “sauro dall’aspetto spaventoso” era nient’altro che una grossa lucertola come lo Sphenodon Punctatus, ma descrizione e comportamento non lo ricordavano (non si avvicina all’acqua, non si muove di giorno). Magari una grossa anguilla che era uscita dalle acque per cacciare dei vermi, o un’iguana, come ipotizzava l’Herald, ma lo Star obiettava che non se n’erano mai viste, in quella parte del paese. Comunque una storia allarmistica, brontolava lo Star. La pubblicazione di voci simili era sciocca e reprensibile. Del resto, concludeva, qualcosa di simile era già accaduto con le dicerie su un’eruzione del monte Ruapehu – un vulcano attivo – in realtà mai avvenuta.
Sciocchezze da due centesimi, insomma, da dimenticare nel corso della giornata.
E invece no…
Probabilmente le discussioni sul “sauro-rettile” partirono subito, e diventarono l’argomento di moda del momento. Lo stesso 30 settembre il Waikato Times dedicò una poesiola al misterioso animale, immaginando si trattasse di un coccodrillo del Nilo che aveva solcato due interi oceani arrivando sino alla Nuova Zelanda. Era quasi inevitabile che la testata che aveva lanciato la storia, l’Herald, alzasse il tiro. Lo fece con due nuovi articoli apparsi il 1° e il 2 ottobre. Il corrispondente da Hamilton raccontava che un agente della Polizia a cavallo la mattina del 30 aveva interrogato i due ragazzini, e ne era uscito convinto della loro buona fede e attendibilità. Non soltanto: quello stesso giorno i due giovani testimoni avevano riferito di aver visto per la seconda volta le acque del torrente agitarsi, e venirne fuori il “mostro” con la sola testa, stavolta. L’idea che il giorno prima il Waikato Times aveva avanzato, e cioè che i due avessero scambiato per un mostro uno dei maiali bianchi del vicino mattatoio, sfuggiti alla sorveglianza, era messa in ridicolo dal padre dei due.
Insomma, gli attori della commedia cominciavano già a delinearsi: il New Zealand Herald aveva “adottato” la storia, e il genitore difendeva la serietà dei figli. Sua moglie lo appoggiava: il maggiore dei suoi rampolli era quasi svenuto per la paura, al momento in cui, per primo, era arrivato in casa trafelato per raccontare la sua storia.
D’altro canto, per ora, la stampa concorrente era in difficoltà: ironizzava e faceva ipotesi una diversa dall’altra, pur di assumere il ruolo del “giornale serio”, ma non senza introdurre un altro motivo spesso presente nei cicli di storie sugli “animali misteriosi”: quella secondo la quale nella zona circolavano già da molto storie sulla presenza di qualche bestia dalle caratteristiche anormali. Sembrava che i Maori della zona sostenessero che lì vivesse un animale molto grande simile a un’anguilla, il tuna-roa, che ogni tanto veniva fuori dall’acqua ed era in grado di mordere le gambe dei malcapitati. Uno dei tuna-roa, si diceva, viveva in una grande pozza formata dal fiume Waipu, non troppo distante da una fattoria prossima a quella dei Castleton.
In questo modo, la vicenda del “sauro-rettile” era reinquadrato sullo sfondo della cultura nativa, e, per questa via, sembrava trovare una via di scampo dai tentativi di razionalizzazione dei racconti della famiglia Castleton. A modo suo, anche questo era un modo per non troncare in modo prematuro il ciclo narrativo: se quella del “sauro-rettile” non era una realtà naturale, forse poteva comunque collocarsi nel quadro della categoria del folklore eterno dei popoli, e, dunque, persistere.
Ma, soprattutto, con un dettagliato interrogatorio al maggiore dei due giovani testimoni, se ne rafforzava la credibilità attraverso una dettagliatissima descrizione del mostro, ottenuta da uno dei giornalisti dell’Herald, che si era recato appositamente in casa Castleton per ottenere tutti i dettagli possibili sull’aspetto del sauro-rettile. Era lungo 140 cm e largo 60, con la testa molto lunga e interamente ricoperta di scaglie marroni. La coda era dritta, e si muoveva assai velocemente. Gli furono mostrati anche i punti esatti dei due avvistamenti, pieni di vegetazione e di acquitrini, ai margini del fiume. Castleton padre e altri uomini della zona si erano messi in caccia della “bestia”.
Poi la storia dilagò. Il 4 ottobre l’Herald raddoppiò il tiro raccontando che due settimane prima il mostro, lunghissimo e con la coda che gli serviva per spingersi in avanti, era stato visto da due turisti che si trovavano su una barca lungo il fiume Waikato, e che un anno prima una ragazzina Maori era stata trovata morta in un torrente vicino con un braccio strappato. Compariva così l’altro elemento tipico dei cicli di storie sulle presenze anomale in aree geografiche circoscritte (avvistamenti Ufo a ripetizione, fantasmi, animali misteriosi): il recupero di testimonianze ed altre evidenze dirette dei presunti fenomeni in periodi precedenti a quelli del “caso zero”, quello che fa esplodere le questioni (nel nostro caso, il racconto dei due fratellini Castleton).
Un maestro di una scuola elementare aveva invece ricollocato in un quadro assai più vasto – e a quel tempo celeberrimo – di supposte presenze “anomale”: doveva trattarsi di un esemplare di serpente di mare, un mito a mezza strada fra natura, folklore e credenze zoologiche tradizionali rimasto assai vivo sino alla vigilia della Seconda Guerra mondiale.
Mancava però un’altra “evidenza” spessissimo presente in queste storie: la minaccia portata dal mostro contro il bestiame da reddito e da affezione. Ci volle un po’ perché comparisse, ma alla fine anch’esso fece capolino e, dopo qualche settimana di relativa calma, rinfocolò la storia.
Il 26 ottobre, il Waikato Times riferì che il proprietario del mattatoio situato nei pressi della fattoria Castleton, aveva trovato sbranata una pecora che aveva lasciato libera la sera prima. Vicino, tracce di un animale che doveva essere assolutamente ignoto alla fauna neozelandese: un bestione con una zampa a tre unghie, che aveva rotto la solida porta del recinto in cui si trovava l’ovino. Così, la caccia al sauro-rettile condotta da un gruppo di armati di fucili si era ampliata, tanto più che ora il proprietario del mattatoio aveva messo una taglia sul “mostro”.
Tutto si doveva, forse, ancora una volta, ai Maori? Il giorno dopo, 27 ottobre, il Thames Star scriveva che sembrava che tempo prima dei nativi avessero portato delle uova di alligatore dall’Australia: dovevano essersi aperte, e i piccoli esser finiti nel fiume Waikato. E poi, l’area interessata agli avvistamenti si stava allargando: un abitante di Onehunga aveva visto “una specie di alligatore” nella baia di Manukau, a 120 chilometri da Hamilton. Dunque, una bestia d’acqua vera e propria, in questa versione.
Anche le interpretazioni si sprecavano: un mostro antidiluviano che dormiva sul fondo del fiume “da secoli”, risvegliato da recenti terremoti avvenuti in zona, o magari una tigre o un leopardo fuggiti da un serraglio ambulante (l’animale scappato dai carrozzoni dei girovaghi è una delle spiegazioni più ricorrenti, in quei decenni); altre tracce erano state scoperte sul terreno (New Zealand Herald, 29 ottobre). l’Herald però continuava anche a esser preso di mira dai concorrenti: quello stesso giorno, l’Auckland Star descriveva la cattura del “sauro-mostro” avvenuto in città. L’enorme animalone era stato portato al museo, dove, ucciso, sarebbe stato messo sotto spirito. Gli era già stato trovato un nome scientifico: Lacerta Heraldii (“Lucertola dell’Herald”). Mano a mano, scriveva lo Star l’11 novembre, visto che tracce continuavano a esser notate sul terreno e gli avvistamenti ben distanti dal fiume Waikato a ripetersi, il sauro-rettile sembrava ormai esser mutato definitivamente in una tigre scappata da chissà dove.
Di sicuro, in tanti non accettavano la sauro-mania con leggerezza: il 29 ottobre, sull’Auckland Evening Star apparve una lunga lettera che minimizzava sia le testimonianze pervenute, sia la realtà storica dei racconti Maori sul folklore dei “mostri”: quello del sauro-rettile, scriveva l’autore della missiva era “un falso crudele”, che era bene risolvere al più presto.
Era ormai il momento di tirare le somme: il 27 novembre 1886 il New Zealand Times annunciò che, dopo una nuova ondata di avvistamenti nella zona di Paeroa, vicino a un corso d’acqua, la “bestia” era stata catturata: era un’enorme foca grigia, e si pensava un’altra simile fosse ancora in circolazione.
Il lettore stia attento: anche stavolta, i cicli di avvistamenti di animali misteriosi comportano spesso la cattura o l’uccisione di un animale “normale”, visto come modo soddisfacente per la chiusura di vicende che si trascinavano ormai da un po’ troppo tempo. A volte, in effetti, la cosa si realizza: questo tipo di razionalizzazione può condurre alla scomparsa dai periodici del “mostro” – e in questo caso davvero il ciclo può considerarsi chiuso, ma non è sempre è così. Per il sauro-rettile neozelandese, questo annuncio significò soltanto la fine del primo sotto-ciclo di una vicenda ben più lunga – un sotto-ciclo durato due mesi, tra il settembre e il novembre 1886.
Dopo una fase di silenzio, il sauro-rettile riapparve.
Un mostro che uccide
Una ricomparsa da far venire i brividi, quella del sauro-rettile – almeno se si prende alla lettera la storia di cui leggerete ora. Quattro mesi e mezzo dopo le ultime chiacchiere intorno al presunto animale, il 16 aprile del 1887 il settimanale Observer riferiva come se nulla fosse che non solo il mostro era ancora nei pressi della cittadina di Hamilton, ma che nel vicino lago Rotokauri… aveva affondato una canoa con a bordo un nativo, che aveva trascinato sul fondo, facendolo annegare! I suoi amici, scriveva il periodico, dicevano che la colpa era di un taniwha, un altro nome per l’animale mitico già menzionato, tanto che per l’Observer i giornali sensazionalistici avrebbero fatto meglio a dedicare una targa miniata e una statua al sauro-rettile, vista la sua capacità di fornire così tanti articoli godibili! Insomma, toni decisamente leggeri, tanto da far pensare che l’episodio fosse inventato di sana pianta.
Probabilmente la storiella contribuì a riportare l’attenzione sulla vicenda. Il 5 maggio il Waikata Times annunciò che un secondo mostro era comparso in una località delle colline Maungakawa, non lontano da Cambridge, una cittadina posta a 120 chilometri dalla zona dei primi episodi, quelli dell’area di Hamilton. Un uomo aveva trovato sbranata da “un grosso quadrupede” la carcassa di un suo cavallo, morto per cause naturali, e che era andato a recuperare dov’era morto. La notte dopo un suo lavorante aveva sentito il cane da guardia abbaiare; uscito con un fucile aveva scoperto delle orme simili a quelle descritte ad Hamilton (molto grandi, con tre unghioni). Poi arrivò anche qui la testimonianza diretta di un bambino, e partì la caccia a questo nuovo sauro-rettile. Risultati: zero.
Non mancavano gli equivoci conclamati: venti giorni dopo, ecco l’annuncio dell’avvistamento del mostro presso Pukerimu, sempre presso Cambridge – rivelatosi un cervo rosso (Waikata Times, 24 maggio 1887). Il 2 giugno il Taranaki Times rilanciava: il mostro era stato finalmente catturato! Un lungo serpentone, con lingua biforcuta, grandi occhi e sibilante in modo atroce, catturato dopo lunga lotta, scrive il corrispondente in toni drammatici, finché – ecco il culmine del racconto – lo abbiamo colpito coi fucili, e io gli ho messo un piede sulla testa, a indicare il trionfo, ma ecco che quello si è girato, ha emesso un verso tremendo… e io mi sono svegliato!
La satira, le vignette, i canti popolari, le poesie, gli impieghi pubblicitari delle storie di mostri, Ufo, fantasmi ricorrenti in zone circoscritte, sono caratteristici della fase declinante delle ondate di voci, avvistamenti e dibattiti collettivi sulla realtà dei fenomeni. Anche il sauro-rettile della Nuova Zelanda vittoriana, come si vede, non fu da meno.
Più tardi… una nuova cattura, con il mostro ucciso da due colpi di fucile sui monti Raglan da un poliziotto maori, certo Rawiri! Testa di leopardo, due file di denti, pelle grigio-argentea, lo stomaco pieno di uccelli appena divorati, muggiva come un toro. Ora, annunciavano il Waikato Times del 29 ottobre e il New Zealand Herald del 1° novembre, il corpo imbalsamato sarebbe stato esibito in Australia, in America, in Europa!
Il rettile-sauro era diventato una star nazionale.
A smentire la storia – se ce ne fosse stato bisogno – ci pensarono il 14 e il 15 dello stesso mese il Daily Otago Times e il New Zealand Herald, quello che aveva iniziato la storia del mostro più di un anno prima. Il preteso essere fantastico era una foca leopardo, o idrurda, un animale molto grosso e che alcuni burloni di Hamilton avevano truccato malamente, cercando di farsi pagare anche un biglietto d’ingresso per la sua visione!
Così, fra la derisione generale, si concluse il secondo sotto-ciclo della nostra vicenda, durato dall’aprile al novembre 1887. Niente più riuscirà ad eguagliare le due fasi della saga del rettile-sauro che abbiamo descritto, ma non possiamo trascurare del tutto il terzo e ultimo periodo della storia.
Un triste declino
Il 3 febbraio 1888 il quotidiano Star annunciò l’ultima, teatrale manifestazione del rettile-sauro. Era adesso un mostro fluviale a pieno titolo, ed era descritto in tutto e per tutto come un essere tipico della criptozoologia del Diciannovesimo secolo, a suo agio nell’elemento naturale che gli perteneva: l’acqua dei fiumi, ma nei pressi dell’oceano. Pochi giorni prima, mentre di notte due amici solcavano il fiume Waikato nei pressi di Arepene con la loro canoa, il mostro comparve quasi rovesciando la piccola imbarcazione, sospinta verso le vicine rapide. Riuscirono a malapena a raggiungere la riva, e stavolta ebbero modo di vederlo meglio. Era enorme, con mandibole grandissime, dotate di denti vistosi. Il corpo era coperto di pelo nero, lungo e irsuto, simile a quello di un cane. Una bella uscita di scena, senza dubbi. Tanto più che, esattamente un mese dopo, sul Taranaki Herald campeggerà questo annuncio:
Il mostro del fiume Waikato, il mostro-sauro, al prossimo sabato avrebbe inaugurato gli spettacoli al Gilmour’s Old Building, in Brougham Street. Per la modica cifra di uno scellino per gli adulti e per sessanta centesimi per i bambini, finalmente si sarebbe potuto ammirare la bestia, domata e ridotta ad attrazione da baraccone.
Il 15 dicembre 1888 il settimanale Observer scrisse le ultime parole che conosciamo su una vicenda che ormai si protraeva da più di due anni. Dopo aver ironizzato sulle varie bestie impagliate, accennava a un nuovo avvistamento, stavolta sui monti Rangirata, dove un certo signor Jackson, scrivendo a un giornale di Timaru, asseriva che ogni sera il mostro-sauro emetteva un suono spaventoso. Ma lo raccontava con poca voglia. Il pezzo si chiudeva con un esempio magistrale di humour britannico:
Riteniamo che la voce secondo la quale il mostro-sauro e Jack lo Squartatore sarebbero la stessa cosa sia priva di fondamento.
Evidentemente offeso, il mostro-sauro lasciò le sponde dei fiumi neozelandesi, e se ne andò per sempre nel Pacifico.
Tempi diversi, storie simili
Considerazione finale, dopo questa folle cavalcata nelle campagne neozelandesi di fine Ottocento. Gli elementi della struttura della storia del mostro-sauro sono almeno…
- Un evento iniziale, che attira l’attenzione generale, e che appare credibile;
- La comparsa di alternative in apparenza razionali rispetto alla natura fantastica di quanto testimoniato;
- La reinterpretazione di episodi del passato alla luce del fenomeno appena nato;
- La comparsa di nuove testimonianze, anche in zone remote rispetto al punto del primo evento;
- La minaccia temuta contro il bestiame, o contro gli stessi esseri umani, con racconti e voci anche raccapriccianti;
- La saturazione dei canali comunicativi e l’inizio del declino del numero degli episodi e dello spazio dedicatogli;
- La razionalizzazione finale, con la produzione di canzoni, poesie, vignette, usi satirici, false notizie sulla cattura del mostro, o sulla sua uccisione.
- La fase di oblio, con silenzio pressoché totale da parte dei media che si erano occupati della vicenda.
Un ciclo che, di norma, assume la forma di una curva a campana, quando si considera il numero delle testimonianze o degli articoli di stampa o degli utilizzi da parte dei media. La cosa che conta è questa: cambiato quello che c’è da cambiare, questo schema è utile, perché, magari senza un elemento, o un altro in più che in quell’occasione non c’era, è ciò che accade nelle ondate di presunti fenomeni anomali di cui si diceva agli inizi (Ufo, animali misteriosi, altre manie o paure collettive…).
La natura di queste ondate è di tipo prettamente psicosociale. Questo non esclude che l’uno o l’altro fenomeno descritto o documentato durante queste ondate debba essere analizzato con maggiore attenzione, perché si presenta, almeno a un primo approccio, meno facilmente spiegabile rispetto alla gran parte degli episodi. Però, suggerisce un’altra cosa: queste ondate hanno origine culturale, sociale, psicologica – insomma, sono fatti “umani”. Per quanto mentre si svolgono possano apparire eccitanti e, talvolta, paiano sovrastare anche i più razionali fra noi, entro poco tempo si esuriranno, lasciando dietro di sé quello di cui sono fatti: memoria, racconti, folklore, dibattiti. Tutte cose, peraltro, da tenere in conto e da studiare con cura. Sono la materia di cui tutti noi siamo fatti.
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