6 Aprile 2024
Misteri vintage

C’è posta dal pianeta BAAVI, terrestri

di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Se sappiamo qualcosa del mondo dei baaviani, alieni provenienti dal pianeta BAAVI, dobbiamo ringraziare uno scrittore francese oggi meno celebre di un tempo, ma molto influente sugli ambienti ufologici di orientamento occultistico, Robert Charroux (1909-1978). 

Charroux è stato uno dei creatori della corrente pseudoscientifica degli Antichi Astronauti e ha promosso anche in Italia parecchie idee pseudoarcheologiche. Dapprima giornalista e scrittore di fantascienza, si votò poi ai “misteri”, e lo fece con una lunga serie di articoli e di libri di grande successo. Uno dei primi fu Le Livre des Secrets trahis (Robert Laffont, Parigi, 1965). Fu tradotto da noi anni dopo (nel 1973) per l’editore Ceschina di Milano dall’occultista Donato Piantanida; quindi è a causa di quel volume – e di altri libri successivi – che nel nostro paese la mitologia ufologica dei baaviani è relativamente nota. 

Facciamo allora la conoscenza dei visitatori del pianeta BAAVI e dei modi in cui in un giorno fatidico presero contatto con l’umanità. 

Atlantide, “zingari” e pergamene misteriose

Nel 1964 Charroux, il cui vero nome è Robert Joseph Grugeau, è già un personaggio di successo grazie al suo primo libro, Storia sconosciuta degli uomini, uscito l’anno prima. In una certa misura, dunque, non stupisce che proprio lui potesse essere considerato l’uomo giusto a cui rivolgersi, se si era convinti di possedere segreti incredibili sulla storia del mondo e sul suo futuro. Perché è proprio questo fatto al centro della storia dei Baaviani: l’invio di una serie di missive a Charroux e, più tardi, anche a un ristretto circolo di appassionati, da parte di una figura profetica, il cui nome non è rivelato, ma che si fa mediatore di una serie di rivelazioni offerte dai suoi maestri, gli extraterrestri del pianeta BAAVI.

A partire dal marzo del 1964, Charroux si trova nella buca delle lettere lunghe relazioni redatte da un uomo che abita nei pressi di Parigi e che lo scrittore chiama in maniera diversa: Emen-IS, Emenis o anche signor N. Y.

Emen-IS chiede subito pazienza al destinatario delle lettere: i pezzi del puzzle che disegnano si completeranno fra loro, nel corso del tempo. Charroux si metta dunque comodo, e le accolga con calma, facendosene lettore, chiosatore e accorto divulgatore.

Un destino segnato quasi geneticamente, quello di Emen-IS. Ha lignaggio zingaro (questo il termine che usa lui stesso) ed è venuto al mondo il 17 luglio del 1910 – così dicono le lettere. 

Sono nato lungo una stradina di campagna francese, sulla terra, così come vuole il costume zingaro per il battesimo degli erranti (Tellus Mater). Figlio della Strada, dalle Ande del Tropico del Capricorno alla taiga siberiana del circolo polare, non ho mai smesso di credere all’Amore Universale, anche se le mie mani sono rimaste nude e le mie tasche vuote. 

Un destino di errante, quello di Emen-IS, inizialmente legato, stando al suo racconto, al più classico dei topoi dell’armamentario occultistico: Atlantide. Per cercare Atlantide, Emen-IS si dà alle ricerche archeologiche, va nel Sahara algerino allora francese, e lì nel 1934 un tuareg gli rivela che nella valle di Issouane, ai piedi dei monti abitati dalle popolazioni del gruppo Azdjer, nel sud del paese, potrà trovare “un segreto sugli Atlantidi”. Naturalmente, Emen-IS lo trova: è in una giara che contiene un manoscritto in arabo antico con formule religiose, che però al centro contiene dei fogli con cinque aforismi in una lingua simile all’armeno in cui si parla degli dèi siro-cananei e fenici più famosi, i Baal. 

Il francese Jean Pollion, autore di un ampio studio sulla storia dei baaviani (La Gazette fortéenne, vol. V, 2011, pp. 261-288) ha avuto buon gioco nel sottolineare che il racconto di Emen-IS sul punto in cui si trovava il “segreto degli Atlantidi” era stato ripreso da uno dei racconti che a inizio Ventesimo secolo avevano contribuito a rilanciare il mito di Atlantide, e cioè L’Atlantide di Pierre Benoit, uscito nel 1919 – un libro che ebbe un’ampia ricaduta culturale in vari ambiti. Allo stesso modo, notava Pollion, proprio come nel romanzo di Benoit in cui questo ruolo è svolto dalla regina Antinea, anche nella storia di Emen-IS c’è una guida (il tuareg che mostra la grotta e indica la giara) che instrada Emen-IS verso la verità – una verità per ora soltanto allusiva, visibile soltanto come in uno specchio, dato che soltanto un giorno i Baal si riveleranno per qualcosa diverso dagli dèi in cui si credeva nell’antichità mediterranea e vicino-orientale.

L’incontro con i baaviani

È a questo punto che la narrazione si sposta in Asia, e in particolare in Cina. Questa parte del racconto di Emen-IS, però, è contenuto nei rapporti epistolari che il misterioso autore delle missive ebbe con altri suoi referenti francesi, quelli del gruppo ufologico Ouranos, guidati negli anni ‘70 del XX secolo da Pierre Delval – un curioso personaggio, del cui ruolo parleremo meglio più avanti. Per ora non perdiamo il filo della narrazione, già ingarbugliata di suo.

Il profeta in via di formazione – dunque – è incerto su chi possa decifrare i testi misteriosi simili all’armeno trovati nel Sahara. Allora, uomo dai mille rapporti sotterranei, Emen-IS ne invia copia a un cinese residente in India, e per tutta risposta gli arriva una lettera dalla mitica mafia cinese, la Triade, che gli offre una somma favolosa per gli originali dei fogli. Lui però, uomo integro, non vuole nulla, e allora i contatti s’interrompono. 

Sopraggiunge la Seconda Guerra Mondiale. Ed è a questo punto che la verità gli si manifesta – in un modo talmente surreale da rendere il racconto, a modo suo, affascinante. 

Come abbiamo visto, Emen-IS sostiene di essere uno zingaro. Ebbene, una notte del 1944, dopo aver ricevuto delle indicazioni su un posto da raggiungere in vista di un incontro decisivo, la località di Cosne-sur-Loire, viene fatto salire da alcuni individui su un carro con telone tirato da cavalli – un evidente riferimento ai mezzi tradizionali dei popoli Rom – e portato in un campo dove lo attende un disco volante. Lo pilotano i baaviani, che lo portano sul loro pianeta, parte del sistema di Proxima Centauri. Gli zingari, il popolo criptico per eccellenza dell’immaginario di molte culture, hanno dunque un ruolo fondamentale nel processo che rende Emen-IS profeta degli extraterrestri. 

Un’altra delle fonti principali sulla storia del misterioso mittente dei testi è Contacts du 4e type di Pierre Delval, pubblicato dalla parigina De Vecchi e tradotto nella nostra lingua dalla branca italiana della stessa casa editrice nel 1979. Nella sua versione il profeta ormai compiuto dopo esser stato su BAAVI viene portato in Mongolia, e poi restituito al suolo francese. Da allora, racconta ancora, vagherà per ventidue anni, soprattutto in Asia, ma anche in Perù, finendo per essere arrestato dai comunisti cinesi! Nel frattempo, lo aspettano ventiquattro rendez-vous con i baaviani, conclusi nell’aprile del 1975. In uno di questi colloqui, per la mitologia di BAAVI sarebbe intervenuta la “rivelazione” più importante, quella fatta e Emen-IS nell’incontro del 27 settembre 1968, al termine del quale l’uomo sarebbe stato riportato a casa da un suo fratellastro di Parigi, un uomo che negli anni successivi progressivamente assumerà quasi il ruolo di vicario e di braccio destro del profeta principale. 

Per il resto, Emen-IS nelle lettere sosteneva di aver vissuto a lungo in Mongolia, anche perché possedeva un passaporto della Cina maoista; e questo perché – sappiatelo – è proprio in quelle steppe che i baaviani hanno la loro base principale nel nostro mondo.

Filosofia e scienza del pianeta BAAVI

Ma, dunque, che cosa sono venuti a raccontarci, in concreto, i baaviani? Vi risparmiamo la parte, tanto complessa quanto cervellotica, relativa alla tecnologia che gli permette di volare da BAAVI sino al nostro mondo e oltre, a bordo dei dischi volanti, che in realtà si chiamano vaïdorges, per concentrare la nostra attenzione sulle idee filosofiche, sociali e politiche dei baaviani. 

Per cominciare, i baaviani sono con noi da dodicimila anni: hanno stabilito un rapporto speciale con l’Asia centrale, in particolare con la Mongolia e il Tibet, e il racconto del libro della Genesi sui connubi tra donne umane e giganti è il ricordo di ciò che accadde, e che ebbe origine in una duplice colonizzazione spaziale. I baaviani, infatti, erano prima giunti dal loro mondo su Marte, dove avevano trovato una civiltà inferiore, con esseri dalla pelle giallastra, le cui donne avevano preso in sposa; si erano poi trasferiti sulla Terra, approdando in Mongolia. 

I “mongoli”, dunque sono all’origine dell’umanità “spaziale”, ed è per questo che possono considerarsi come origine degli uomini “celesti”, gli ariani. Ciò non significa che non vi fossero già ominidi sulla Terra: i veri “terricoli”, i non-ariani, per Emen-IS, sono i neri africani. Come in molte altre ideologie derivanti dalla Teosofia inventata nell’ultimo quarto dell’Ottocento da Helena Blavatsky, anche nel nostro caso traspare una gerarchia evolutiva in cui corpo, il soma e lo spirito, l’anima dei singoli e dei popoli sono strettamente connessi.

La protostoria dei baaviani, dunque, come quella di molti ufologi e di parte dei sostenitori degli Antichi Astronauti, pur se non apertamente razzista, è di certo razzialista – cioè, mette al centro l’idea di razza come motore del mutamento sociale e culturale dell’umanità.

In tutto ciò, i baaviani sono rivestiti di missione salvifica verso l’umanità, ma senza che la cosa assuma toni apocalittici nel senso stretto del termine. La nostra civiltà, è vero, è vicina alla fine, proprio come in mille altre visioni pessimistiche del mondo e della realtà intera, ma questo non comporta in alcun modo una lettura finalistica del passato e del futuro. I baaviani “sanno” – e non certo cosa da poco – che il mondo sta per essere sconvolto da un colossale disastro, ma si tratterà di un evento naturale, al quale però non è assegnato nessun significato di evento ultimo di un percorso inevitabile e malvagio, oppure una qualche origine divina. Accadrà, e basta. E loro saranno lì per salvarci.

D’altro canto, larga parte della visione del mondo propria dei baaviani di Emen-IS è impregnata di politica moderna. I baaviani sono alieni alla moda, e, visto che comunicano la loro sapienza al mondo degli anni ‘60-‘70 del Ventesimo secolo, sembrano risentire del clima particolare del tempo. In Francia e in diversi ambienti occidentali, il maoismo, la corrente del marxismo che domina la Cina sotto la guida di Mao Zedong, fa breccia. Esotismo, idee palingenetiche della società, richiami a un oriente tutto sommato ancora ben poco noto malgrado la modernità, probabilmente hanno il loro ruolo nel forgiare un incredibile pensiero baaviano dagli occhi a mandorla. 

Un tratto somatico che, racconta Emen-IS spiegando per lettera i suoi contatti, non a caso è evidentissimo nei baaviani.

Il circolo degli amici di Emen-IS

Ci sono pochi dubbi: chiunque fosse, Emen-IS agli inizi privilegiò il rapporto personale con Charroux. Lo scrittore, del resto, grazie alle missive sempre più eccitanti che gli arrivavano, rimpolpava i suoi libri, che alla fine degli anni ‘60 ormai gli stavano dando fama e riscontri economici. D’altro canto, visto che ne scriveva così spesso, Charroux si trovò con una fetta di pubblico sempre più ampia ansiosa di nuovi dettagli sul misterioso profeta dei baaviani. E allora ecco che Emen-IS si procurò una sorta di segretario: un certo Jean Roy, parigino, presentato via lettera da Emen-IS come un suo fratellastro. Fu lui a farsi carico della corrispondenza con Charroux. La scelta dello scrittore di non occuparsi con costanza delle persone interessate in maniera morbosa alle storie di BAAVI probabilmente contribuì alla fase successiva di questa vicenda: la creazione di un gruppo di seguaci del profeta e di fan dei baaviani. 

Nel 1969 Emen-IS sollecita la nascita di un movimento vero e proprio di suoi adepti, il gruppo “Baal Contact”, che chiede a chi vuole farne parte di sottoscrivere un contratto – un impegno morale – a diffondere teorie e insegnamenti di un profeta, ma un profeta che non si mostra mai personalmente ai suoi. Non c’è un meccanismo settario: nell’iniziativa il denaro non ha rilevanza, i membri del “Baal Contact” sono sparsi tra Francia e Belgio, e ciascuno rimane nel proprio contesto familiare, lavorativo o amicale, dal quale non prende nessuna distanza. Tutti, però, si riconoscono nel simbolo di BAAVI, una cui riproduzione portano con loro, studiando con giudizio le missive che pervengono e la compilazione della grammatica e del vocabolario baaviano che, piano piano, prende forma. 

Nei primi anni ‘70, Peter Descamps, membro di uno dell’associazione ufologica francese “Ouranos”, assume un ruolo di preminenza fra i membri del gruppo “Baal Contact” (tanto che più di uno comincerà a sospettare che lo sfuggente Emen-IS sia lui, ma ad esser franchi si tratta di un’identificazione rimasta senza riscontri). Comunque, l’attivismo di Descamps non restò senza conseguenze. Coinvolse nel suo entusiasmo il segretario generale dell’associazione “Ouranos”, l’ufologo Pierre Delval, al quale si era già accennato. In questo modo, mentre l’influenza iniziale di Robert Charroux passava in secondo piano, Delval contribuiva con i suoi volumi sugli Ufo a riaccendere la curiosità per BAAVI. 

Delval era un personaggio originalissimo. Nel suo libro del 1979, Contacts du 4e Type, Delval aveva accentuato l’interpretazione “filo-cinese” del pensiero di Emen-IS: scriveva che la rinascita cinese “sotto la guida del presidente Mao” non era altro che “il riflesso dell’etica BAAVI”. Dopo l’impulso di Charroux, la nascita del gruppo “Baal- Contact” e la cessazione delle comunicazioni unilaterali da parte di Emen-IS, sarà questa una delle ultime e più ardite contorsioni della saga baaviana.

Delval, già prono come ufologo alle speculazioni su un’origine “ultradimensionale” degli Ufo, nel giro di pochi anni passò armi e bagagli a una visione del mondo largamente complottistica e apocalittica. Nel 1982, insieme a un suo sodale, Paul Vion, scrisse Le mond occulte du surréel paraphysique, in cui sosteneva che un po’ tutto quello che di misterioso era successo dal Medioevo sino alla comparsa del movimento New Age era opera di una realtà “parafisica” (un termine del gergo ufologico: una specie di soprannaturale senza il Dio monoteista) che ci voleva distogliere dalla razionalità e dall’etica ebraico-cristiana. A fine decennio, nel 1989, Delval concluse la sua parabola sotto lo pseudonimo di Jean-Michel Lesage, firmando La manipulation occulte. Ufo e tutto il resto sono qualcosa di malvagio che annuncia il regno dell’Anticristo. Alla fine, per lui anche le lettere di Emen-IS facevano parte di quell’orizzonte pessimistico. 

Quanto al gruppo “Baal-Contact”, malgrado l’annuncio del disastro planetario da cui i baaviani ci avrebbero salvati, non risulta che i membri abbiano mai ritenuto sul serio imminente la fine e che abbiano messo in atto preparativi al riguardo – forse anche perché non venne mai indicata una data precisa da aspettare. La manifestazione ultima dei tempi è all’orizzonte, ma quell’orizzonte non si avvicina mai. Nella seconda metà degli anni ‘80, per il sociologo Jean-Bruno Renard, che si è occupato parecchio dell’immaginario mitico contemporaneo, il gruppo “Baal-Contact” contava ormai su un nucleo interno di non più di una decina di membri, contornato da un certo numero di simpatizzanti. Pensavano ancora di preparare un’area d’atterraggio per i baaviani in vista della futura apocalisse, ma senza porre mai mano in concreto all’iniziativa (Les extra-terrestres, Cerf, Parigi, 1998, trad. it., Gli extraterrestri, San Paolo, 1991). Poi dei seguaci di Emen-IS, prudentemente muto già dall’aprile del 1975, sembrano essersi perse le tracce. 

Perché i baaviani hanno visitato la Terra?

Resterebbe ora da capire perché, dietro istruzioni dei baaviani, il signor Emen-IS per diversi anni si sia dato da fare così tanto per spiegarci chi erano loro, chi siamo in realtà noi umani, quali sono le nostre origini e dove andremo a finire. Fuori dagli scherzi, non si è mai capito chi abbia scritto le lettere e chi abbia creato questo mito ufologico marginale ma interessante, e il cui successo non è andato comunque oltre la Francia e la parte francofona del Belgio.

Una cosa è certa: dietro la comparsa del pianeta BAAVI c’era quasi di certo un solo autore, colpito dal successo editoriale che il primo libro di Charroux, quello uscito nel 1964, stava ottenendo. Senza il vasto utilizzo degli scritti baaviani fatto da questo autore per tutti gli anni ‘60, probabilmente gli extraterrestri si sarebbero arresi quasi subito e si sarebbero stufati di scrivere. In effetti, a ben vedere, i testi giunti per lettera a Charroux sono stati utilissimi al fantarcheologo francese. Ci si potrebbe spingere a pensare che lui stesso, in una certa misura, nelle sue idee sulla fantastoria terrestre del passato sia stato influenzato dai testi “extraterrestri” di Emen-IS. Il filosofo Stefano Bigliardi è uno dei massimi studiosi dell’opera e dell’ideologia di Charroux. In lavori come questo ne ha identificato gli stretti legami con il pensiero teosofico e le chiare risonanze reazionarie, in cui le idee scombinate sugli antichi celti (visti come antenati dei francesi) erano funzionali a una visione sostanzialmente razzista, volta a prendere di mira i processi di modernizzazione e la “decadenza” dell’Occidente. 

In un certo senso, il fatto che le “lettere baaviane” mettessero al centro la Cina e gli altopiani centro-asiatici in tempi in cui quella parte del mondo era dominata dal disastroso modello comunista di Mao, a un personaggio come Charroux poteva risultare comodo. Quel che contava per i “baaviani”, anche se da una direzione opposta a quella di Charroux, era infatti annunciare la crisi dell’Occidente democratico, liberale e secolarizzato. Anche se non ci si volesse spingere sino a tanto, certo è che Charroux e i baaviani entrarono in dialogo, e le reciproche fantasie sugli Antichi Astronauti, i continenti scomparsi, la permanenza e la trasmissione della tradizione esoterica si mescolarono tra loro. 

A Charroux tuttavia non interessò creare o dirigere un gruppo di seguaci del pianeta BAAVI. Probabilmente è per questo che negli anni ‘70 l’attenzione dell’autore delle lettere (sempre se rimase lo stesso del tempo di Charroux) si spostò su un ristretto nucleo di appassionati di Ufo, la cui eco troviamo oggi nei bollettini del gruppo francese “Ouranos” e nei libri del suo maggior esponente, Pierre Delval, che, anzi, accentuò il curioso atteggiamento filo-cinese e di fascinazione per l’Asia già evidenti sotto la “gestione Charroux” della vicenda. 

Tra gli studiosi critici del mito Ufo, più di uno ha accostato la saga di BAAVI a quella di un altro pianeta immaginario al centro di una lunghissima serie di missive inviate per molti anni a ufologi, giornalisti e scrittori: quella di UMMO, sulla cui storia vi rinviamo a questo articolo di Query online e a questo video di Massimo Polidoro. In realtà, le differenze fra i due mondi prevalgono nettamente: quella più evidente è che della storia di Ummo conosciamo il responsabile, il parapsicologo spagnolo e figura di estrema destra José Luis Jordán Peña. Di BAAVI no. Altre cose distinguono nettamente le due vicende: con Ummo i legami fra i destinatari delle lettere “misteriose” e altri appassionati rimasero sempre su un piano informale; mai si giunse alla creazione di un gruppo come il “Baal Contact” pro-baaviani. In più, Jordán Peña ebbe una lunga serie di imitatori più o meno maldestri, che per anni si affannarono anche loro a inviare ulteriori lettere “ummite” a ufologi di parecchi paesi, Italia compresa, cosa che con i baaviani manca. 

E poi, sul piano dei contenuti “ideologici”, UMMO e BAAVI sono pianeti molto diversi: il primo è un mondo di scienziati distaccati, iper-razionali e non troppo partecipi delle nostre sorti, se non per la necessità di spiegare “scientificamente” che una specie di Dio-pensiero ha creato tutto, compresa la specie umana. UMMO è un pianeta emotivamente “freddo”. BAAVI non è così: le razze antiche che in parte hanno generato sono le nostre, con cui abbiamo condiviso le nostre guerre e i nostri drammi. Nei loro discorsi la nostra specie, la sorte dei continenti scomparsi e la nostra salvezza sono oggetto della loro costante cura e attenzione. La nostra cultura e i nostri simboli gli piacciono e li attraggono, dicono, perché sono simili ai loro. Provate a confrontare, qui sotto, il simbolo del governo centrale di UMMO, che per vostra conoscenza si chiamava UMMOAELEWE, e quello del pianeta BAAVI, con al centro un cavalluccio marino e una ghirlanda, e probabilmente il secondo vi apparirà subito più simpatico – il simbolo di un pianeta “caldo”.

Per questo aspetto, sia pure con parecchie riserve, anche a noi piace di più BAAVI. Chissà se Emen-IS è ancora fra noi, per prenderne nota.