La fisica (presunta) del teletrasporto
di Andrea Ferrero
Le astronavi piacciono a tutti, ma se potessimo risolvere il problema dei viaggi spaziali con il teletrasporto sarebbe più facile, no?
Nelle storie di fantascienza il teletrasporto compare fin dal 1877, quando fu un gatto a essere scomposto, trasmesso via telegrafo e ricomposto in un racconto di Edward Page Mitchell. Quello della scomposizione e ricomposizione è infatti uno dei due modi principali che la fantascienza prevede per il teletrasporto: l’altro è il passaggio attraverso un portale che crea un collegamento istantaneo tra la partenza e la destinazione.
Il teletrasporto è un espediente narrativo, che permette maggiore libertà nello sviluppo di una trama: nelle prime serie di Star Trek veniva usato perché non c’erano i fondi per simulare l’atterraggio delle astronavi. Per quanto possa fare comodo agli autori di fantascienza, però, il fatto che funzioni bene nella fiction non significa affatto che si possa realizzare nella realtà.
Tuttavia qualcosa di vero c’è. Per spiegarlo occorre introdurre un po’ di fisica. In meccanica quantistica c’è un fenomeno curioso e spesso frainteso chiamato “entanglement”, per cui due particelle opportunamente preparate hanno una correlazione fra loro che si mantiene a qualsiasi distanza, cioè se una delle particelle cambia una delle sue proprietà quantistiche, nello stesso momento cambia anche la stessa proprietà dell’altra particella.
Nel 1993 un gruppo di fisici teorici si rese conto che il fenomeno dell’entanglement poteva essere usato per trasferire uno stato quantistico da una posizione a un’altra posizione distante, cioè per far assumere alla particella ricevente lo stato quantistico della particella originale. Nel 1997, appena quattro anni dopo, un gruppo alla Sapienza di Roma e un altro gruppo in Austria riuscirono nell’impresa del teletrasporto quantistico. Bisogna notare che il teletrasporto quantistico non comporta il trasferimento di materia, ma soltanto di informazione, e che non permette in realtà di superare la velocità della luce. Inoltre, un teorema della meccanica quantistica impone che trasmettere in questo modo l’informazione a distanza richieda di distruggere l’informazione originale.
Un quarto di secolo dopo queste scoperte, il teletrasporto quantistico è stato ripetuto molte volte, anche a distanza di migliaia di chilometri (nel 2017 un gruppo di scienziati cinesi è riuscito perfino a realizzare il teletrasporto quantistico tra la Terra e un satellite nello spazio), ed è diventato una tecnologia chiave per il futuro dei computer quantistici e della telecomunicazione quantistica.
Questo però non significa che il teletrasporto si possa realizzare anche su scala macroscopica. Consideriamo che nel corpo umano ci sono circa sette miliardi di miliardi di miliardi di atomi. La potenza di calcolo necessaria per gestire una simile quantità di dati supera la nostra immaginazione, per non parlare degli altri ostacoli teorici e pratici.
Se il teletrasporto umano fosse possibile, provocherebbe dei problemi filosofici, descritti da Daniel Dennett e Douglas Hofstadter nel libro “L’io della mente”. Supponiamo che una macchina per teletrasporto, il Teleclone modello IV, sia in grado di smantellare il mio corpo su Marte e ricostruirlo sulla Terra. Ora io sarò convinto di essere la stessa persona che si trovava su Marte. Ma adesso immaginiamo che una macchina più avanzata, il Teleclone modello V, sia in grado di scansionare il mio corpo su Marte e ricomporlo sulla Terra senza distruggere l’originale (cosa che in base al teorema citato prima richiederebbe un meccanismo diverso da quello del teletrasporto quantistico). Ora ci sono due versioni identiche di me, una su Marte e sulla Terra. Quale dei due sono davvero io?
Immagine di Gerhard Janson da Pixabay