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Geni Neandertal e diffusione del Covid a Bergamo: cosa dice lo studio del Mario Negri

di Guido Barbujani

Guido Barbujani, genetista, parteciperà come ospite al CICAP Fest 2023, che come di consueto si tiene a Padova. Domenica 15 ottobre, alle 15, presso il Cortile di Palazzo Moroni, insieme a Enrica Favaro parlerà del Complotto della sostituzione etnica – una teoria farneticante come quella del “genocidio bianco”. Qui tutti i dettagli!

Cosa dice l’articolo scientifico

Il 16 agosto 2023 è apparso al sito della rivista iScience uno studio sul COVID nella provincia di Bergamo, firmato dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri: una prestigiosa istituzione diretta in passato da Silvio Garattini e oggi da Giuseppe Remuzzi. Si intitola “Uno studio caso-controllo nell’epicentro della pandemia mette in luce il locus per rischio di COVID-19 grave trasmessoci da Neandertal”. Per chi non è del ramo, tre precisazioni. 

  • 1. Neandertal si può scrivere con l’H o senza, ma l’H è un arcaismo. 
  • 2. Con locus si intende una regione del DNA, che può contenere nessuno, uno o più geni. 
  • 3. Lo studio caso-controllo è un metodo per capire dove sono (se ci sono) i geni che fanno la differenza fra quelli che si ammalano di una certa malattia e quelli che non si ammalano. Si confrontano i genomi, cioè tutto il DNA, di persone che hanno una certa diagnosi, COVID in questo caso, e di persone sane. Se c’è una componente genetica nella malattia, in certe regioni del DNA tutti (ma non succede mai) o almeno molti dei malati avranno in comune una certa variante, mentre nella stessa regione del DNA avranno anche loro una variante in comune, ma diversa, tutti i sani, o almeno molti di loro.

All’origine dello studio c’è una domanda che tutti ci siamo posti nei mesi della pandemia: come mai per alcuni il COVID è una malattia mortale, per altri seria ma non mortale, in altri ancora dà sintomi lievi, e poi ci sono quelli che le sfuggono? In realtà la risposta, a grandi linee, la sappiamo già: dipende da tante cose. Contano il ceppo virale in questione, più o meno aggressivo, ma anche la quantità di virus, cioè la carica virale, a cui siamo esposti, e quindi la frequentazione di luoghi affollati o mezzi di trasporto pubblici; probabilmente contano fattori nell’ambiente, spesso legati all’inquinamento, e di sicuro età e stato generale di salute del paziente, mentre pare che fra maschi e femmine non ci siano differenze; e naturalmente ha un peso anche la sensibilità individuale: nel nostro DNA può esserci qualcosa che rende alcuni di noi particolarmente vulnerabili all’infezione, e altri meno, o forse addirittura invulnerabili.

I ricercatori del Mario Negri si sono concentrati sull’ultima componente, quella legata alla suscettibilità genetica individuale. Hanno intervistato un campione molto ampio di persone della provincia di Bergamo; di loro, 422 avevano manifestato fra dicembre 2019 e giugno 2021 forme gravi di COVID, 1883 forme lievi, e 3212 non si erano ammalati. Manca, e gli stessi ricercatori non lo nascondono, un quarto gruppo che sarebbe stato importante, ma non si è potuto studiare: chi di COVID è morto. Alla fine hanno selezionato 400 persone per ciascun gruppo e ne hanno confrontato i genomi.

Non sono emerse differenze fra chi si è ammalato e chi non si è ammalato: in provincia di Bergamo chi si è preso il COVID l’ha fatto a prescindere dai suoi geni. Però chi si è ammalato ha avuto una probabilità più alta (2,3 volte) di avere sintomi gravi se portava un certo complesso di varianti che occupa il locus 3p21.31, e che nella stampa è stato battezzato aplotipo neandertaliano. Attenzione, perché le varianti sono tante (ne parleremo fra poco) ma la parola aplotipo, al singolare, può far pensare che ce ne sia una sola.

Il locus 3p21.31 lo conosciamo già da qualche anno; la sua importanza per il COVID è stata confermata da un’analisi globale, tecnicamente una meta-analisi, su milioni di soggetti di tutto il mondo. Non ho trovato le frequenze esatte con cui il cosiddetto aplotipo neandertaliano di questo locus si presenta nei malati gravi e nei sani dello studio di Bergamo, ma a giudicare dai grafici dell’articolo sembra che lo portino un po’ più del 25% dei malati gravi, e un 12-15% dei sani. Quindi, avere quell’aplotipo non è una condanna (ce l’ha anche il 12-15% dei sani), ma aumenta la probabilità, se ci si ammala, che i sintomi siano seri (25% è più di 12-15%). Il locus 3p21.31 è piuttosto grande, dentro ci sono dieci geni, e non è ancora chiaro quale di loro sia responsabile di forme più gravi della malattia. Molti sospetti cadono sul gene LZTFL1, che controlla lo scambio di proteine attraverso la mucosa delle cellule del naso, della faringe e dei bronchi. Altri candidati, sempre nella regione 3p21.31, si chiamano CCR9 e CXCR6. Bisognerà lavorarci su, ma il quadro è questo da un paio d’anni, e lo studio del Mario Negri conferma quello che già si sapeva.

Le varianti di 3p21.31 che predispongono a forme gravi di COVID oggi sono almeno quattro, diffuse soprattutto in Asia. In un articolo firmato con Hugo Zeberg, il pioniere dello studio del DNA antico, Svante Pääbo, vincitore nel 2022 del Nobel per la Medicina, ne ha descritta una in un Neandertal vissuto 50mila anni fa a Vindija, in Croazia: è per questo che molti chiamano le varianti odierne aplotipo Neandertal. È una definizione approssimativa, però, perché secondo la ricostruzione di Zeberg e Pääbo nessuno oggi ha al locus 3p21.31 una variante identica a quella di Neandertal. Quella di Neandertal, piuttosto, è la variante ancestrale: l’antenata trasmessa a Homo sapiens, da cui nei millenni si sono evolute quelle presenti ai giorni nostri (Pääbo le chiama I, II, III e IV; non sono riuscito a trovare nell’articolo del Mario Negri quale o quali in particolare siano presenti a Bergamo e provincia). Sul perché Neandertal avesse sviluppato queste caratteristiche si sta ragionando. Può darsi che nell’Europa del Paleolitico non portassero alcuno svantaggio, ma che oggi ci rendano più vulnerabili all’azione di agenti patogeni che all’epoca non esistevano, come appunto il coronavirus SARS-CoV2. Zeberg e Pääbo concludono il loro articolo scrivendo che i nostri scambi genetici con Neandertal, e l’eredità di questi scambi che portiamo nel nostro DNA, hanno avuto conseguenze tragiche.

Cosa non dice l’articolo scientifico

Come si vede, lo studio del Mario Negri aggiunge un tassello a un quadro complesso, ma non rappresenta una svolta nella nostra capacità di comprendere a fondo cause o conseguenze della pandemia. È piuttosto sorprendente, quindi, l’eco mediatica che questo articolo ha avuto, a partire dal 14 settembre 2023.

1. Colpa solo dei geni?

Il 14 settembre i ricercatori del Mario Negri hanno presentato pubblicamente i risultati del loro studio, alla presenza del Presidente della Giunta regionale lombarda, Attilio Fontana. Secondo quanto riportato dall’agenzia Adnkronos, Giuseppe Remuzzi ha dichiarato che 

“Secondo un calcolo fatto sui dati di Bergamo, il 15% del totale dei morti Covid sono morti non per altre cause, ma per qualcosa che si potrebbe spiegare con dei geni”. 

Il concetto viene ribadito in un articolo uscito sull’Eco di Bergamo

“Dai Neanderthal — prosegue Remuzzi — abbiamo ereditato cose belle e cose brutte. Anche il diabete e l’infarto vengono dall’incrocio tra l’Homo sapiens e il Neanderthal […] Ciò non toglie che il 15% di morti per Covid in provincia di Bergamo siano esclusivamente attribuibili alla genetica — conclude Remuzzi” (corsivo mio).

Questo però nell’articolo uscito su iScience non c’è, e per due ottimi motivi. Il primo è di natura generale: il COVID, e la morte per COVID, come abbiamo detto, dipendono da un complesso di cause. Nessuno è morto solo per aver viaggiato su un autobus affollato, solo per essere stato ospedalizzato troppo tardi, e neanche solo per i geni. Sarebbe come dire che una persona alta 1 metro e 80 deve 167 cm della sua statura ai geni, 10 alle bistecche che ha mangiato e 3 al fatto che da ragazzo è stato a letto con il morbillo ed è cresciuto tutto d’un colpo. Si tratta di fattori che interagiscono fra loro, non degli addendi di una somma. Quindi, nessuno è morto esclusivamente a causa di uno di questi fattori. Si può cercare, questo sì, di decomporre i loro effetti, ma allora bisognerebbe studiare altre popolazioni e confrontarle con quella di Bergamo: se, a parità di altri fattori, si dimostrasse che a Bergamo sono state più alte sia la mortalità, sia la frequenza di certe varianti genetiche, allora sì ci sarebbe una correlazione e, confermandola, si potrebbe dar la colpa ai geni per una certa frazione dei morti. Ma questo confronto, nell’articolo del Mario Negri, non c’è.

2. Colpa dei Neandertal?

Non è comunque vero, per inciso, che diabete e infarto ci vengano dai Neandertal. Si tratta di malattie che anch’esse dipendono da un complesso, ancora tutto da comprendere, di fattori ambientali e predisposizioni genetiche. In Neandertal si sono trovate diverse varianti genetiche che oggi aumentano il rischio, di queste e altre malattie, compresa la cirrosi e addirittura la dipendenza dal fumo. Ma negli europei la componente del DNA di probabile origine neandertaliana è meno del 2%, ed è diversa da individuo a individuo. I pezzetti di DNA che posso aver ereditato io da antenati neandertaliani non sono gli stessi che i lettori di questo testo avranno ereditato, a meno che fra di loro ci sia mia sorella o un mio cugino (ma non credo). Nel complesso, si tratta di una frazione piccola del DNA, che può al massimo giustificare (ma nessuno l’ha ancora dimostrato) una minuscolo aumento percentuale dei casi di diabete, infarto, cirrosi, eccetera.

3. Colpa dei Neandertal della val Seriana?

“La covid grave in Val Seriana dipese in parte dai geni Neanderthal”, intitola invece Focus.it.

“Che la genetica potesse avere un ruolo nella letalità della covid lo si sospetta da tempo: ora però uno studio condotto nell’area più martoriata dal SARS-CoV-2 all’inizio della pandemia, la Val Seriana, aggiunge che i geni che favoriscono la covid in forma grave ci sono stati trasmessi da antenati Neanderthal. Secondo lo studio Origin dell’Istituto Mario Negri, in pubblicazione su iScience, all’origine della letalità anomala della CoViD-19 nell’area di Bergamo a inizio 2020 ci sarebbe anche – ma non soltanto – una predisposizione genetica, una risposta immunitaria potenziata ed eccessiva ereditata dagli ominini con cui si incrociarono i sapiens”.

Neanche questa affermazione è fondata. Come si è visto, è dall’articolo di Zeberg e Pääbo, cioè dal 2020, che si pensa a un’origine neandertaliana delle varianti di 3p21.31 che predispongono al COVID grave. In ogni caso, lo studio del Mario Negri non potrebbe comunque giustificare la letalità anomala della Val Seriana, perché per farlo bisognerebbe confrontare i morti e i sopravvissuti, cosa evidentemente molto complicata e che in questo caso non è stata fatta.

E quindi?

Molte ferite lasciate dalla pandemia sono ancora aperte: è naturale che qualunque novità scientifica al riguardo susciti interesse e venga discussa. Forse non è naturale, ma è abbastanza normale, che i giornali amplifichino la notizia o cerchino di creare un caso che favorisca le vendite. Per questo è indispensabile che gli scienziati siano molto prudenti: che vadano con i piedi di piombo nello spiegare ai media cos’hanno davvero dimostrato, e non si dimentichino di mettere in chiaro i limiti delle nostre conoscenze. Durante la pandemia, quando l’opinione pubblica chiedeva a gran voce certezze, e la scienza non era in grado di fornirle, non hanno fatto un buon servizio (né alla comprensione di cosa stesse effettivamente succedendo, né alla reputazione della scienza) quelli che si lanciavano in affermazioni recise, spesso smentite nel giro di qualche settimana, ma quelli che hanno avuto la lucidità di rispondere, se necessario, “Non lo so”.

La scienza procede per piccoli passi; solo di rado una ricerca spalanca finestre che cambiano profondamente il nostro modo di vedere le cose, il che non è successo con lo studio del COVID in provincia di Bergamo. Scrive Andrea Casadio su Domani (15 settembre 2023): “Lo studio dimostra solamente che a inizio pandemia, quando il virus del Covid ha circolato massicciamente a Bergamo e dintorni, ha ucciso soprattutto le persone predisposte geneticamente”. Mi sembra che non si potrebbe farne una sintesi migliore. Neandertal potrà avere qualche responsabilità, e si sta lavorando per capirlo, ma è estinto e quindi nessuno sarà in grado di chiedergliene conto. Altre responsabilità sono più vicine a noi: si tratta di errori, non di reati, come ha precisato sul Mattino di Padova Andrea Crisanti (16 settembre 2023), ma meritano qualche riflessione.

Per saperne di più:

Foto di Crawford Jolly su Unsplash