7 Novembre 2024
Approfondimenti

L’ingegner Tortarolo e il sistema idraulico del pianeta Marte

di Gabriele Carelli

Negli ultimi tempi si è parlato molto del possibile ritorno di missioni umane sulla Luna. Sappiamo, inoltre, che il visionario e discusso Elon Musk ha in programma di portare uomini e donne su Marte entro la fine di questo decennio. Al contrario della Luna, che ha già visto la presenza di dodici uomini a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, il pianeta rosso non ospita né ha mai ospitato, neppure per brevi periodi, forme di vita intelligenti. O forse ci sbagliamo?

La possibilità di vita intelligente su altri pianeti è idea antica, risale almeno a Plutarco ed è stata ripresa diverse volte nei secoli anche da filosofi e scienziati noti (Giordano Bruno, Keplero, Huygens e Fontanelle solo per citare i primi che vengono in mente tra XVI e XVII secolo). Inizialmente la cosa più ovvia è stata quella di pensare ad abitanti della Luna per poi passare, una volta abbandonata la concezione delle sfere celesti, ad abitanti degli altri pianeti del sistema solare e arrivare infine agli abitanti di pianeti in altre galassie. 

Gli ipotetici abitanti di altri mondi, a prescindere dalla loro esatta provenienza, sono spesso chiamati comunemente, “Marziani”. Ciò accade proprio perché la possibilità di vita su Marte è quella che per prima ha avuto una qualche possibile, seppur labile, prova scientifica. Un’eventualità remota che ha fatto così presa nella cultura popolare da assurgere a simbolo stesso della vita extraterrestre. 

È storia nota che non possiamo qui raccontare nella sua interessa ma ci limitiamo a riassumere velocemente: nel 1877 l’italiano Giovanni Virginio Schiaparelli, allora astronomo direttore dell’Osservatorio di Brera e futuro senatore del Regno d’Italia, osservò delle strutture reticolari sul suolo di Marte che ribattezzò “canali”. L’osservazione di questi canali destò interesse in tutto il mondo e, complice una errata traduzione in inglese come canal invece del probabilmente più corretto channel, fece sorgere ipotesi su una loro origine artificiale e, di conseguenza, fu seriamente presa in considerazione la possibilità di vita intelligente sul quarto pianeta del sistema solare. I maggiori sostenitori e divulgatori di quest’ipotesi furono l’astronomo francese Camille Flammarion, futuro presidente della Society for Psychical Research e membro della società teosofica, e soprattutto, dall’altra parte dell’Atlantico, l’astronomo americano Percival Lowell. 

Fu però un altro astronomo italiano, Vincenzo Cerulli, il primo a sostenere che l’osservazione dei canali fosse dovuta ad illusioni ottiche e questa fu, soprattutto a partire dalla fine del XIX secolo, la convinzione prevalente della maggior parte degli astronomi e degli scienziati. Grazie all’utilizzo di telescopi sempre più potenti l’idea di canali artificiali costruiti dai marziani sul suolo del proprio pianeta perse, poco a poco, quel poco di rilevanza scientifica che aveva guadagnato ma rimase nell’immaginario popolare per decenni tanto da averne echi ancora ai giorni d’oggi, dopo più di cento anni.

Nel 1920 l’idea di Lowell, morto nel 1916, sulla natura artificiale dei canali osservati da Schiaparelli non era ormai presa seriamente in considerazione praticamente da nessun astronomo o scienziato. È quindi interessante analizzare un libricino pubblicato nel 1921 dal cavaliere ufficiale Lorenzo Tortarolo intitolato Sistema idraulico del pianete Marte1 , in cui l’idea di Lowell viene ripresa ed ampliata.

Non è facile trovare informazioni sull’autore se non il fatto che fosse ligure, probabilmente di Savona, e si laureò in Ingegneria Civile nel 1884; da questa data si riescono a trovare fugaci citazioni in caso di trasferimenti e nomine che si succedono negli anni come ingegnere del Genio Civile all’interno del quale, probabilmente, Tortarolo spese tutta la sua vita professionale fino ad esserne nominato Ingegnere Capo. Nel 1915 venne inoltre nominato cavaliere del Regno d’Italia dall’allora Ministro dei Lavori Pubblici, Augusto Ciuffelli, e nel 1919, due anni prima del libricino di cui ci occupiamo, pubblicò un altro opuscolo denominato “La trinità e la patria di Cristoforo Colombo” in cui cercò di dimostrare che Colombo fosse nato ad Albissola, in provincia di Savona, invece che a Genova come comunemente ritenuto, allora come oggi.

L’autore del Sistema idraulico del pianete Marte, dunque, ricopriva il ruolo di ingegnere capo del Genio Civile all’epoca della pubblicazione dell’opera e gli si può quindi accreditare, almeno sulla carta, una conoscenza approfondita nella costruzione e gestione di sistemi idrici, che era esattamente ciò che Lowell e altri pensavano fossero i canali di Marte. Già dalla prefazione della sua opera Tortarolo espone le sue ragioni per approfondire lo studio dei famosi canali:

«Orbene, siccome il pianeta Marte è molto più antico del nostro globo, per cui i suoi abitanti dovrebbero essere anche più antichi di noi, e quindi più di noi avanzati nella civiltà, così sarà bene che al pianeta stesso rivolgiamo intensamente i nostri studi onde strappargli quei segreti le cui scoperte tanto ci gioverebbero.» 

Nelle pagine successive l’autore passa a una descrizione del pianeta rosso, delle sue caratteristiche fisiche e dei parametri orbitali. Introduce quindi la scoperta da parte dello Schiaparelli dei famosi canali che

«diedero origine a molte e vivaci discussioni, e talvolta furono causa di espressioni poco riguardose verso l’illustre scienziato, tanto che questi, dotato, com’era, di animo mitissimo, preferì, alla lotta, rassegnarsi con l’ammettere che quel nome canali, da lui stesso dato a quelle famose linee, non era forse proprio.» 

Schiaparelli si mostrò cauto su questo punto per tutta la sua vita. Ancora pochi mesi prima della sua morte, per il suo ultimo articolo sulla rivista Natura ed Arte4, scrisse:

«Queste linee sono i famosi canali di Marte, così denominati per pura convenzione analoga a quella per cui alle grandi macchie si è dato il nome di mari e di continenti. Ma della loro natura finora poco o niente si è potuto accertare. Il nome di canali però e la regolarità loro apparente ha indotto molti uomini di calda fantasia a ravvisare in essi opere artificiali gigantesche di esseri intelligenti; ipotesi questa che per ora non è ancora stato possibile dimostrare che sia vera o falsa. Gli spiriti scettici hanno poi facilmente troncato la questione, negando a queste formazioni ogni esistenza obiettiva, e dichiarandole come fantasmi creati dall’immaginazione sulla base di visione confusa ed imperfetta

[…]

Questo fatto, che è stato verificato centinaja e migliaja di volte, basta da solo a dissipare qualunque dubbio potesse nascere intorno alla realtà dei canali, e non lascia luogo a parlar d’illusioni ottiche.» 

In questo suo ultimo articolo l’astronomo riepilogò gli studi e lo stato delle conoscenze su Marte. I canali da lui scoperti la facevano da padrone, ma la possibilità di vita extraterrestre era relegata alle ultime cinque righe e riferita come una ingegnosa osservazione di Lowell:

«Egli dimostrò molto ingegno e con gran copia di osservazioni sostenuta, che Marte sia pur sede della vita, come la Terra; e che la i fenomeni di variazione osservati sul pianeta sian dovuti principalmente alla vegetazione razionalmente governata da essere intelligenti

[…]

il lettore che vorrà […] interessarsi alle speculazioni ed alle discussioni ardenti cui ha dato luogo la natura fisica del pianeta, e la possibilità che esso sia sede di vita organica, anzi anche di esseri intelligenti, troverà che soddisfarsi nella grande opera di Flammarion […e di] Lowell» 

Pur difendendo quindi fino alla fine dei suoi giorni l’esistenza dei canali da lui scoperti, Schiaparelli si mantenne sempre prudente sulla loro origine. Non sarà così dieci anni dopo Tortarolo, anzi contrariato dalla cautela mostrata da Schiaparelli. Così scrisse Schiaparelli stesso all’autore in una lettera datata 16 luglio 1907 (l’astronomo sarebbe morto tre anni dopo, nel 1910):

«Ill.mo Signore,

che cosa siano le linee oscure della superficie di Marte, da me poco prudentemente designate col nome di canali, non saprei dire. La loro larghezza non può essere minore di 30 chilometri e può oltrepassare anche i 60. Come scaricatoi provenienti dalle nevi polari avrebbero dunque una larghezza eccessiva, troppo sproporzionata al bisogno..

Meno improbabile mi sembra l’ipotesi dell’americano Lowell, secondo cui sarebbero zone di vegetazione prodotte dall’irrigazione di vari canali a noi invisibili in tanta distanza. Vero è che la geminazione rimane in tal modo inesplicata. – Io non saprei che dire su tale riguardo. – Vi son molti che considerano il tutto come una illusione dell’occhio o del telescopio. Questa è certamente l’ipotesi più comoda. Ma io ho veduto Marte troppo bene per potermivi adattare. Insomma non credo si possa concludere nulla di positivo, e bisognerà aspettare da ulteriori osservazioni la soluzione di questi singolari enigmi.» 

La missiva venne così commentata da Tortarolo:

«No, o Grande fra i Grandi, non commettesti una imprudenza allorché hai dato a quelle linee il nome di canali. Così le chiamasti per obbedire a un tuo interno convincimento, e fu quella una vera divinazione!» 

L’ingegnere passò poi velocemente a presentare le posizioni opposte alla sua, e cioè quelle di chi riteneva che i canali fossero solo delle illusioni ottiche dovute ad una bassa risoluzione degli strumenti utilizzati per le osservazioni. La soluzione trovata da Tortarolo per rispondere a queste obiezioni è, a suo modo, geniale per la sua inversione dei termini della questione. 

Se osserviamo da lontano una grande nave sul mare calmo, argomenta il nostro, ne vedremo una perfetta immagine riflessa sull’acqua. Se però ci armiamo di un binocolo per osservare quella stessa immagine riflessa, avremo delle immagini sempre meno precise: più aumentiamo la risoluzione del binocolo e più confusa ci apparirà l’immagine riflessa della nave in acqua. 

È un po’ come, ma questo esempio non è presente nel libro, quando osserviamo un filo di nylon: ad occhio nudo ci sembra perfettamente lineare, ma osservato con un microscopio la linea si vedrà sempre più frastagliata, tanto meno “lineare” tanto più si aumenta la risoluzione. Ed esattamente la stessa cosa avviene, secondo Tortarolo, con i canali di Marte:

«Dalle esperienze supposte risulta, adunque, che […] fra le immagini di quelle date linee saranno più conformi al vero quelle osservate con telescopio di poca potenza che non quelle osservate con altro di potenza grande»

Proseguì l’argomentazione riportando i motivi che lo hanno portato a convincersi che i canali fossero realmente presenti su Marte:

«Perché?!

Il Perché non lo saprei dire: forse è così poiché così la penso, e forse anche, e specialmente, pel fatto che la memoria del Schiaparelli è per me sacra

[…]

io mi inchino riverente e…. e ci credo!»

Fiducia cieca, quindi, nello Schiaparelli. Non è citata alcuna osservazione diretta fatta dall’autore stesso ma solo un’argomentazione basata sull’Ipse dixit. I canali sono quindi presentati come reali. Ma che dire, invece, della loro origine? Come già scritto, su questo aspetto Tortarolo si discosta da Schiaparelli e si allineò all’americano Lowell concordando che i canali siano artificiali. Questa sua conclusione viene giustificata basandosi su due argomentazioni provenienti da ambiti decisamente distanti tra loro.

La prima, estremamente tecnica, viene da studi di idraulica fluviale sulla forma dei canali che risultano troppo regolari per risultare prodotti da fenomeni naturali. Tenendo sempre a mente la sua formazione ingegneristica, si potrebbe quindi, forse, concedere credito alle sue osservazioni tecniche in materia… se non fosse che i canali erano solo, come era ormai assodato, frutto di illusioni ottiche. Ricordiamo però che anche Schiaparelli si era laureato nel 1854, a soli 19 anni, in ingegneria idraulica e, sebbene non fosse digiuno di studio di sistemi idraulici, non era stato pienamente convinto dalle motivazioni apportate da Lowell e Tortarolo.

La seconda motivazione che fa propendere Tortarolo per la natura artificiale dei canali è invece in tutt’altro ambito: l’esistenza di abitanti su Marte è infatti oltremodo giustificata su base puramente teologica:

«Poiché quel che Dio fa è perfetto, così è certo che anche quell’astro, al pari del nostro globo, è stato da Lui fornito di esseri a Sua immagine, e che rappresentano l’opera Sua più bella.»

Una specie di rivisitazione dell’argomento ontologico riproposto in chiave marziana. Dimostrata quindi, per così dire, l’origine artificiale del canali di Marte, il resto del libro era dedicato alla ricostruzione, tramite precisi calcoli matematici, della quantità di ghiaccio presente nelle calotte polari marziane (236 trilioni di metri cubi) che si sciolgono, alternativamente, nelle stagioni calde di ogni emisfero marziano. C’era, inoltre, un consistente passaggio su natura, lunghezza e larghezza dei canali marziani, compresi i “canali gemelli” e le “oasi” osservati sempre da Schiaparelli, che convogliano le acque scolte dei poli per garantire l’irrigazione del pianeta e fornire così ai marziani l’acqua di cui hanno bisogno. Il disegno finale è quindi una

«enorme rete di canali, dalle dimensioni gigantesche, atti a convogliare forti masse d’acqua da un polo all’altro»

che

«ci fa pensare alle migliaia e migliaia di anni di lavoro assiduo e intelligente che quelle opere devono essere costate onde portarle a compimento»

Un lavoro così imponente da riguardare infrastrutture che occupano tutto il pianeta non può che essere stato portato avanti, congiuntamente, dall’intera popolazione marziana. L’autore chiuse quindi il libro con questa considerazione:

«Quegli abitanti, adunque, devono formare una grande e sola famiglia, ogni membro della quale può con orgoglio dire: la mia patria è il paese che mi ospita, e che ospita, con me, i numerosi miei fratelli che sono sparsi sull’intera sua superficie.»

Si parla di Marte, ovviamente, ma non si può non leggere, tra le righe, un augurio per il futuro della popolazione del pianeta Terra che, ricordiamo, era uscita da soli tre anni dagli orrori della Grande Guerra.

In alcuni passi il libro è al limite del grottesco per la esagerata venerazione verso Schiaparelli e Lowell cosicché, arrivati alla fine, si rimane con il dubbio se sia solo la prosa altisonante di un uomo di altri tempi o non sia, piuttosto, tutto un divertissement dell’autore per prendersi gioco di teorie ormai screditate ed approfittare, al contempo, per fare un po’ di divulgazione scientifica e, nelle pagine finali, proporre un modello di futuro utopico per questo nostro movimentato pianeta Terra. D’altronde, lo stesso Tortarolo già dalla prefazione aveva, forse, voluto metterci in guardia [grassetto mio]:

«Riflettiamo, del resto, che in qualsiasi campo dello scibile umano, e specialmente nel ramo dell’astronomia, i nostri antenati cominciarono le loro ricerche col fare ipotesi, affermando spesse volte cose inesatte; ma se non si fossero essi mai azzardati di palesare quelle opinioni, dovremmo noi stessi incominciare ora col manifestarne altre analoghe, se non più false, mentre invece dalle cose meno esatte si passò gradatamente all’esposizione di quelle più esatte che attualmente conosciamo.» 

Bibliografia

  • 1) Tortarolo, L. 1921. Sistema Idraulico del pianeta Marte, Imperia (?): Tipografia Centrale – Porto Maurizio
  • 2) Schiaparelli, G.V. 1893. “Il pianeta Marte”. Natura ed Arte, anno II, febbraio 1893
  • 3) Schiaparelli, G.V. 1895. “La vita sul pianeta Marte”. Natura ed Arte, anno IV, aprile 1895
  • 4) Schiaparelli, G.V. 1909. “Il pianeta Marte”. Natura ed Arte, anno XIX, dicembre 1909
  • 5) https://it.wikipedia.org/wiki/Marte_(astronomia)#Vita_su_Marte
  • 6) https://it.wikipedia.org/wiki/Canali_di_Marte

Immagine di apertura: autore ignoto, da “Meyers Konversations-Lexikon” (1888), Wikimedia Commons, pubblico dominio.

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