15 Aprile 2024
Il terzo occhio

Il telescopio che “inventò” i marziani

Sta per arrivare al Museo Nazionale Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano il telescopio di Giovanni Schiaparelli, con cui l’astronomo mappò per la prima volta la superficie del Pianeta Rosso. Se al giorno d’oggi gli extraterrestri per antonomasia sono i marziani (scalzati solo negli ultimi tempi da “grigi” e “rettiliani”) lo dobbiamo a lui: furono proprio le osservazioni di Schiaparelli a dare origine alla “febbre di Marte” che investì Europa e Stati Uniti tra fine Ottocento e inizio Novecento; una moda che invase la cultura di massa dell’epoca, dando origine anche a un intero filone della fantascienza. Il tutto, in parte, anche grazie a un errore di traduzione.

Ma andiamo con ordine. Era il 1877 e Giovanni Schiaparelli era il direttore dell’Osservatorio di Brera. Nell’agosto di quell’anno si verificò una grande opposizione che portò Marte ad essere più visibile del solito. Schiaparelli, che allora disponeva di un telescopio Merz di 21 cm, osservò per la prima volta i “mari” e i “continenti” del Pianeta Rosso; inoltre, notò una fitta rete di segmenti che ribattezzò “canali”.

Fu allora che Schiaparelli chiese al neonato regno d’Italia un finanziamento per realizzare un telescopio all’avanguardia, un Merz-Repsold da 49 centimetri e del peso di sette tonnellate. E lo ottenne. Tra il 1886 al 1890 l’osservatorio di Brera divenne un protagonista della scena internazionale; l’astronomo nativo di Savigliano utilizzò il nuovo strumento per osservare nei dettagli la superficie di Marte, tracciando la prima vera e propria mappa geografica del Pianeta Rosso. Schiaparelli riferì le sue scoperte in tre opuscoli, intitolati rispettivamente Il pianeta Marte (1893), La vita sul pianeta Marte (1895) e Il pianeta Marte (1909).

Ma nel frattempo il dibattito si era ormai spostato sugli abitanti del pianeta, grazie anche a una scelta infelice di traduzione: nel riportare in lingua inglese le sue osservazioni venne infatti utilizzato il termine “canals”, che indica i canali artificiali, al posto di “channels”, che indica quelli naturali. Tra i maggiori entusiasti dell’ingegneria idraulica marziana figurano astronomi di prima grandezza come lo statunitense Percival Lowell e il francese Camille Flammarion.

I canali, però presentavano una curiosa caratteristica: sembravano cambiare posizione nel tempo, e le mappe degli astronomi che replicarono le osservazioni di Schiaparelli sono estremamente diverse l’una dall’altra. Fu quindi ipotizzato che i canali non fossero altro che illusioni ottiche, dovute alla tendenza del nostri occhi a unire in un’unica linea puntini separati.

Il dibattito andò avanti per diversi anni, tra sostenitori e detrattori; nel 1909, durante un’altra opposizione, l’astronomo turco-greco Eugène Antoniadi realizzò nuove osservazioni di Marte, e affermò che il canali non esistevano affatto. Pian piano la teoria della loro esistenza venne screditata, anche se fu solo nel il 1965, con la missione Mariner IV della NASA, che venne scritta la parola fine: le foto mostravano un pianeta arido, butterato da crateri di impatto, e niente canali.

Questa diatriba ebbe però un fortissimo influsso sulla neonata fantascienza: nel 1897 Herbert George Wells rese i marziani i protagonisti della sua La guerra dei mondi, mentre nel 1907 Emilio Salgari dedicò un intero capitolo del suo Le meraviglie del duemila agli abitanti del Pianeta Rosso. E in moltissimi romanzi dell’epoca, come Edison’s Conquest of Mars di Garrett Serviss (1898) o Sotto le lune di Marte di Edgar Burroughs (1912) vengono descritti i canali di Marte (così come compaiono ancora nelle Cronache marziane di Ray Bradbury, del 1950). Non solo: i marziani divennero gli indiscussi protagonisti della cultura dell’epoca, tra lettere ai giornali, teorie esoteriche sulla loro esistenza e dibattiti filosofici sulla loro civiltà.

Adesso, dopo un restauro durato sette anni, il Merz-Repsold utilizzato per la cartografia di Marte arriverà al “Leonardo da Vinci” di Milano, e il 29 settembre sarà presentato al pubblico: una bella occasione per vedere da vicino il protagonista di una storia che ebbe un così forte impatto sulla cultura, la fantascienza e l’ufologia del XX secolo.

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

Un pensiero su “Il telescopio che “inventò” i marziani

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *