19 Aprile 2024
Misteri vintage

Quando i treni andavano a mummia

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Il mito della free energy – un sistema che ci permetta di muovere ogni genere di macchina a costo zero, senza fare danni all’ambiente e fregandocene delle leggi della termodinamica – non è una novità degli ultimi decenni. L’idea del moto perpetuo c’è da sempre, e ci sono voluti fisici come Kelvin, Clausius, Joule, Carnot e soci, per mostrarne l’impossibilità. Per certi versi, le storie su possibili rendimenti miracolosi dei carburanti sono i parenti poveri della free energy. Di super-propellenti menzionati in modo più o meno umoristico o “serio” nel tempo se ne sono visti tanti, ma poche superano la leggenda (perché quasi di sicuro di leggenda si tratta) dei treni a mummie. Ed è una storia che vogliamo raccontarvi con cura. 

Sbatti una mummia nel motore

La vicenda arriva sulle fonti italiane solo in anni recenti (esempi qui e qui), ma affonda le sue radici nell’Ottocento, in altri Paesi e in un clima culturale che è importante tener presente, per cercare di capire una storiella forse più interessante di quel che sembra al primo colpo .

Uno studio importante dell’egittologo Chris Elliott, di cui parleremo più avanti, menziona come prima fonte a sua disposizione sui treni che andavano a mummia un modesto settimanale del Massachusetts, il Wachusett Star del 1° febbraio 1848.

In quella parte del mondo il carburante non abbonda affatto, e per ovviare alla difficoltà uno audace e sfrontato ha proposto di usare le mummie che riempiono quei giganteschi e misteriosi sepolcreti per alimentare la corsa delle locomotive! 

Fin da questa sua prima apparizione, l’idea del propellente per treni, se mai qualcuno la tirò fuori sul serio, veniva da a bold schemer (“un tipo audace e sfrontato”): quasi, si faceva capire, una cosa ai limiti dell’assurdo.

Il primo segno che, dopo un inizio stentato, questa narrazione cominciava a diffondersi ci giunge da un settimanale di Boston, To-day, che ne parlò in un articolo anonimo uscito sul n. 48 del 27 novembre 1852. 

Era un articolo curioso: intitolato Fate of the Mummies (“Il destino delle mummie”), l’autore asseriva di aver appena letto in uno dei tanti libri inglesi sull’Egitto usciti negli ultimi quattro anni (dunque, qualcosa pubblicata non prima del 1848) che nella linea ferroviaria che stava per essere completata le mummie sarebbero state usate per alimentarne le locomotive, che ce n’era gran disponibilità e – storia a parte – che le bende erano utilissime per produrre carta. 

“Se vero”, si scherniva l’autore, c’era da augurarsi che un simile scempio non si realizzasse. Una civiltà così avanzata, degli uomini che speravano il loro corpo rimanesse incorrotto nel tempo, non meritavano tanto.

Concludeva però in toni scettici:

Comunque, oso pensare che non vi sia motivo per la mia sana indignazione, e che la proposta che l’ha causata sia stata menzionata soltanto come uno scherzo. Non ho mai sentito che qualcosa sia stato compiuto per porla in atto malgrado sia stata posta in discussione alcuni anni fa. 

I toni fanno pensa che chi scriveva avesse letto di un’idea, una proposta, un progetto più o meno balzano – oppure una battuta – sull’imminente avvio del servizio ferroviario egiziano, ma che lui stesso fosse convinto che non era mai stato tentato nulla di simile.

In realtà, possiamo considerare come versione standard della nostra storia un breve testo di sette anni più recente, ossia quello che, a partire dal 2 luglio 1859, fu ristampato nei mesi e anni successivi su innumerevoli quotidiani e periodici americani (ecco soltanto un esempio della sua diffusione successiva):

In Egitto ci sono trecento miglia di ferrovie. Quando le cose dei treni cominciarono, come carburante furono usate le mummie, e si disse pure che producevano fiamme caldissime. Le disponibilità sono quasi inesauribili e ne sono usate intere cataste. Che destino! Pensare di destinare ciò che è stata una persona a diventare carburante per una locomotiva!

Ora, queste prime storie, in specie quelle del 1852 e del 1859, vanno collocate in un quadro più ampio per capirne sia la nascita, sia l’incongruenza. Quando comparve quella che abbiamo chiamato “versione standard” (fine estate 1859) le ferrovie in Egitto erano davvero in piena espansione. Non solo, ma nell’attesa dell’apertura del canale di Suez, che avverrà soltanto dieci anni dopo, il principale ramo ferroviario del Paese (quello che andava da Alessandria a Suez, sulla costa del Mar Rosso, e che era stato completato da poco) costituiva il modo più rapido per raggiungere dal Mediterraneo l’Oceano Indiano e quindi il cuore dell’Impero britannico.  

Un treno che corresse veloce attraversando i rami del Nilo era una cosa da far volare l’immaginazione. Dunque, perché non pensare di usare gli antenati dell’Egitto moderno, per far volare i mostri d’acciaio sul delta del fiume? 

D’altro canto, la storia dello sviluppo della rete delle strade ferrate egiziane ci dice pure che al tempo delle prime comparse della nostra leggenda, ossia nel 1848, di treni in servizio, in Egitto… non ce n’erano ancora. I lavori per il primo, breve, tratto della linea di cui abbiamo parlato furono avviati nel 1852, e la linea fu inaugurata nel 1854. Può darsi dunque che, sul serio, il libro inglese citato da To-day nel 1852 parlasse di un “prossimo” uso delle mummie da caldaia a vapore. Ma, senza averlo identificato, non possiamo asserirlo. 

L’apice della storia: la citazione di Mark Twain

La consacrazione a fama imperitura della nostra leggenda giunse parecchi anni dopo, nel 1869, quando lo scrittore americano più popolare al tempo, Mark Twain, pubblicò un grosso volume di resoconti di viaggio più o meno romanzati, The Innocents Abroad (“Gli innocenti all’estero”). Diviso in più parti a secondo degli itinerari seguiti durante il 1867, uno di questi comprendeva un percorso fatto insieme ad altri americani che si snodava, attraverso il vicino Oriente, sino alla Terra Santa. Fu il maggior best seller di Twain fino a dopo la sua morte. Il libro rifletteva il punto di vista di un americano protestante del XIX secolo. Lo stupore per la storia antica dell’Europa, l’asprezza verso il Cattolicesimo e, soprattutto, il disgusto per l’utilizzo commerciale dei resti artistici e archeologici dell’antichità. I toni sono ironici, esagerati, a tratti paradossali. 

Giunto presso l’inevitabile piramide di Cheope, Twain borbotta:

Non dirò nulla delle ferrovie, perché è come qualsiasi altra ferrovia – dirò soltanto che il carburante che usano per le locomotive è composto da mummie vecchie di tremila anni, comprate a tonnellate o prese dai cimiteri per quel fine, e che a volte si può sentire qualche volgare ingegnere dire in tono irritato: “Maledetti plebei, da bruciare non valgono un centesimo, passami un re” (a me è stata raccontata come un fatto accaduto davvero: ve la dico come l’ho appresa. Sono ben disposto a crederla, anche se io non credo a niente).

Come si vede, Twain si diverte ad accennarla fra i mille aneddoti che scova. Si direbbe l’abbia sentita davvero da qualcuno che era con lui, ma non le dà credito. Senza volerlo, tuttavia, la consacrò per i posteri.

Proprio collegandosi ai resoconti di viaggio di Twain il 12 luglio del 1876 il settimanale inglese The Marlburian pubblicò un articolo nel quale si prendevano le distanze dalla nostra storia. L’autore (anche stavolta ignoto) scriveva di aver sentito da un “compatriota di Mark Twain” (dunque, era implicito, un credulo americano) che aveva saputo dell’utilizzo delle mummie per i treni e per farne carta. Prendiamola per quel che vale, concludeva, ma se in essa c’era qualcosa di vero, era da tener presente che gli egiziani avevano usato la mummificazione per qualche millennio, e che dunque dovevano esserci molte migliaia di tonnellate di quel materiale!   

Una versione circolata poco tempo dopo, ossia nel 1878, è di interesse forse ancora maggiore, perché attribuiva l’impiego delle mummie al vertice politico del tempo, il chedivè, come si chiamava il vicerè d’Egitto sotto il dominio ottomano. 

Era stato il chedivè Isma’il Pascià (che però aveva assunto quel titolo dal 1863, mentre sappiamo che la nostra storia è ben più remota), a far sì che le mummie fossero utilizzate per le caldaie delle locomotive. 

Dunque, di quell’impiego blasfemo era accusata una persone ben precisa: il capo stesso del Paese “incriminato”. Nel parlarne, però, il quotidiano dello Utah The Salt Lake Daily Tribune del 18 dicembre 1878 adduceva motivi tecnici più specifici di quelli di vent’anni prima. Le mummie infatti bruciavano bene perché paragonabili a dell’ottimo legno di pino. Per questo, venivano vendute a centinaia. 

Come interpretare la storia dei treni a mummia?

Oltre che in un certo razzismo latente nei confronti degli arabi, la nostra storia potrebbe aver avuto origine anche in un uso satirico dell’egittomania del tempo. Nel suo IV volume, quello dell’anno 1843, a p. 143 il settimanale satirico londinese Punch aveva pubblicato questo trafiletto:

Comunicazioni rapide con l’India – La nave aerea The Gull partirà senz’altro dal capolinea di Londra nel corso di questa settimana dalla cima della colonna di Nelson. Si ritiene che per il viaggio impiegherà tre giorni e che prenderà terra in Egitto per rifornirsi di combustibile fatto di mummie (for mummy-fuel). Per imbarchi e prenotazioni, rivolgersi al capitano Walker, Rasselna Passage, Hoaxtown (“città del falso”). 

Per noi questo scherzo sulle mummie come combustibile per veicoli apre la serie giocosa delle nostre storie sulla propulsione dei veicoli. Che questo sia il senso generale nel quale leggerle ci conforta un’altra fonte, stavolta posta curiosamente in chiusura della serie di versioni ottocentesche delle mummie da locomotiva, quasi che, insieme, possano fare da cornice generale all’insieme dei racconti.

Nell’aprile del 1896, il mensile inglese The Idler scriveva infatti:

Cleopatra è morta… e la sua mummia è scomparsa nella caldaia di una vaporiera che solca il Nilo. 

Per noi, infine, un contributo decisivo all’’interpretazione della storia delle mummie come combustibile è giunto dall’egittologo Chris Elliott, che sul n. 1 del 2017 della rivista Aegyptiaca, che si occupa dei modi in cui l’Egitto antico è stato ed è recepito nelle più varie culture ha pubblicato il lungo articolo intitolato “Bandages, Bitumen, Bodies and Business: Egyptian mummies as raw materials” (“Bende, bitume, corpi e affari: le mummie egiziane come materiale grezzo”, pp. 26-46).

Anche se dedica solo una paginetta alla nostra storia, lo studio di Elliott è importantissimo, perché ricostruisce l’impatto sulla cultura occidentale del XIX secolo dell’egittomania imperante. Traccia i confini delle truffe, dei falsi, delle vendite di paccottiglia di ogni genere venduta come autentica, della smania per il depredamento del patrimonio del popolo egiziano ad opera dell’imperialismo delle potenze occidentali che allora dominavano il mondo, e molto altro. Roberto Labanti ci ha fatto notare che lo stesso Elliott, alle pp. 44-45 del suo libro, menziona una storia precedente, quella narrata dal viaggiatore inglese James Silk Buckingham, per il quale gli egiziani usavano le mummie né più che meno per alimentare focolari e stufe – per scaldarsi, insomma. Roberto è riuscito a documentare che Buckingham narrava pubblicamente questa cosa già nel 1830, quando teneva conferenze sui suoi viaggi esotici (The Observer, Londra, 17 gennaio 1830).

Ma, a parte questo, Elliott nella questione dei treni e delle mummie vede bene anche l’elemento che abbiamo già notato: gli egiziani del XIX secolo, malgrado i loro goffi tentativi di modernizzazione, erano eredi indegni della loro antica civiltà. Storielle come quella dei treni propulsi dalle mummie svolgevano anche la funzione di quasi-barzelletta volta contro chi, in modo più o meno cosciente, mandava letteralmente in fumo un’intera illustre civiltà. 

C’è di più, nel saggio di Elliott. La sua ricostruzione del quadro sociologico delle prime ferrovie egiziane, puntuale e documentato, mostra che l’ulteriore improbabilità che la vicenda avesse qualche fondamento sta nel fatto che ingegneri e macchinisti ferroviari erano quasi tutti europei. Il personale locale ancora difettava, in quegli anni. In larga misura, la rete ferroviaria egiziana, negli anni ‘50 del XIX secolo era un prodotto europeo paracadutato in quel Paese. 

Pensare che qualcuno di costoro potesse usare o far usare mummie antiche per far andare i convogli per Elliott è ridicolo.

Per quanti usi bizzarri delle mummie siano stati fatti nel corso della storia (ad esempio, come medicinali) e per quanto nell’Ottocento se ne scoprissero ogni giorno in gran quantità, già nel 2002 Cecil Adams aveva scritto un ottimo articolo per The Straight Dope sul “combustibile dei treni egiziani” sottolineando che la pagina che nel 1869 gli dedicò Mark Twain era intrisa di ironia e che essa va collegata – come del resto le fonti del tempo fanno sovente – alle altre proposte scherzose di un uso delle bende delle mummie per produrre carta, un bene assai costoso, nel tempo in cui la lettura dei quotidiani esplodeva e si doveva passare dalla produzione a base di stracci a quella basata sulla cellulosa. 

In maniera accorta, qui in Italia, poco tempo fa, per Vanilla Magazine, Matteo Rubboli ha chiesto un parere su questa storia al professor Francesco M. Galassi, paleopatologo, direttore del FAPAB, centro per la patologia forense di Avola (Siracusa), che l’ha definita “con ogni probabilità un falso storico ottocentesco”.   

La penetrazione di questa storia in Italia sembra essere recente. A parte approcci smaliziati come quello di Rubboli, di norma nelle citazioni che ne vengono fatte, il senso dello humor anglosassone e il quadro culturale in cui nacque spariscono. La cosa dispiace, soprattutto perché si tratta di punti indispensabili per capire di che cosa si trattò veramente: un discorso iperbolico, divertente, nato forse in Gran Bretagna per sorridere della moda del tempo per l’Egitto misterioso e, al contempo, per prendere in giro la decadenza levantina attribuita dagli europei agli arabi.

Immagine in evidenza: locomotiva a vapore del treno del governatore d’Egitto Mohamed Said Pasha (costruzioni Stephenson, 1859). 

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