Misteri vintage

Il motorionico di Carlo Primo Toti

Articolo di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo

Un altro illuminato. Un altro salvatore del mondo, un rivoluzionario della tecnica, l’uomo della totale trasformazione del futuro dell’umanità. Oggi vi parliamo di Carlo Primo Toti, nato a Lucca nel 1897.

Nella più abissale ignoranza, non ne avevamo sentito parlare fino a poco tempo fa. Come per altre vicende sconosciute o dimenticate, noi di Misteri Vintage ci siamo messi in caccia per ricostruire quest’altra storia a metà fra genio, follia e – come quasi sempre – tentativi goffi per sbarcare il lunario.

La salita rapidissima del genio

Sebbene si dichiarasse figlio di un pittore romano, Carlo Toti era in realtà il rampollo di Ottorino, un semplice verniciatore della città toscana. Cominciò aiutando il padre nella piccola attività, ma, dotato di talento per la musica, diventò primo flauto nella banda municipale cittadina, poi un buon sassofonista, e lavorò in diverse orchestrine. Faceva anche l’imitatore e il caratterista nei teatri e dunque a Lucca era abbastanza noto. Descritto dal Corriere della Sera del 19 settembre 1932 come “di carattere irrequieto”, cambiò più volte lavoro, sino a quando nel 1928 si trasferì ad Alassio perché scritturato da un’orchestrina. Quella permanenza ligure fu l’inizio dell’avventura che oggi ci interessa e che durò circa quattro anni.

Come per altre storie di invenzioni mirabolanti che dovrebbero portare a rivoluzioni energetiche (e a far diventare nababbi i finanziatori dell’idea), anche il motorionico ebbe il suo quarto d’ora di celebrità, quando i sospetti sull’impresa diventarono intollerabili.

E’ allora che i quotidiani cominciarono a parlarne. Dopo esser vissuto sottotraccia per parecchio tempo, il caso esplose infatti sui giornali il 17 settembre del 1932. Fu la stessa moglie di Toti, Maria Paoletti, anche lei disillusa e rientrata a Lucca con le due figliolette, a spiegare in dettaglio ai giornali com’era iniziata l’intera faccenda.

Nell’agosto del 1928, durante la sua permanenza ad Alassio come orchestrale, Toti aveva conosciuto una facoltosa signora di Milano, Angela Gambale, e l’aveva convinta di avere, come musicista, un enorme talento. Doveva formare un’orchestra di successo e per questo si era fatto prestare 25.000 lire, poi aumentati da altre cifre. Sempre ad Alassio, nell’appartamento preso in affitto, Toti conobbe un piccolo industriale che diventò uno dei suoi punti di riferimento. Traferitosi a Milano, mise rapidamente da parte l’idea del successo musicale (secondo la futura moglie prima c’era stata anche una “fuga” a Parigi, nell’aprile del 1931, dove si era guadagnato da vivere suonando); con la Gambale  cominciò a parlare di sue invenzioni – alcune delle quali brevettate: un congegno che avrebbe reso impossibile gli scontri ferroviari, una torre luminosa pubblicitaria alta 180 metri… Ne ricavò, dagli ingenui finanziatori, altre 150.000 lire.

Soprattutto, prese a raccontare di aver escogitato un sistema per rendere invisibili gli aerei in volo. Propose una dimostrazione all’aeroporto di Milano-Taliedo, ma il giorno designato si sottrasse abilmente agli spettatori e s’imbarcò su un volo postale per Roma.

La cosa che lascia stupefatti è che pochi mesi dopo, come se nulla fosse, Toti si ripresentò alla Gambale dicendo di aver voluto fare uno scherzo. Però era ora di smetterla con i divertimenti, perché adesso lui aveva in mano l’invenzione definitiva (secondo la moglie, in realtà, il sistema definitivo per trarsi d’impaccio con gli stessi che gli avevano dato denaro).

…Era il sistema per ricavare energia a piacimento dall’atmosfera!

Per Carlo Toti, che si definiva senza problemi un autodidatta,  questa meraviglia era composta da alcune parti principali: una particolare antenna, un “aereo”, come si diceva allora, che era connesso ad un quadro commutatore e da lì, in una cantina, ad un altro quadro sul quale c’era l’attacco per il vero miracolo: una valvola termoionica da lui denominata motorionico. Le valvole negli anni ‘30 erano di uso vastissimo in elettronica, nel campo delle telecomunicazioni, e, più in generale, in tutti gli apparati che necessitavano di amplificazione dei segnali elettrici.

Quando, per ottenere ulteriori finanziamenti, un importante operatore di borsa milanese chiese l’intervento di uno scienziato, Toti parve accettare con entusiasmo. La scelta cadde sull’ex rettore del Politecnico di Milano, l’ingegnere professor Luigi Zunini (1856-1938) e sul suo assistente, professor Lampis. In un primo momento Zunini apparve dubbioso: un asserito guasto all’antenna (la più classica delle tattiche procrastinatorie degli pseudo-inventori) aveva impedito gli esperimenti cruciali, ma di primo acchito l’idea gli era parsa avere un razionale scientifico.

Quel parere non del tutto negativo fu usato da Toti per ottenere ascolto e credito da altre personalità milanesi. Costituì una società commerciale per lo sfruttamento delle invenzioni, e per di più aggiunse al novero delle sue pretese l’introduzione di un non meglio precisato “campo elettrico chiuso” per il quale avrebbe presentato “un teatrale esperimento” a Milano il 30 agosto 1931, in occasione di un’esercitazione della Regia Aeronautica che comportava prove di un finto bombardamento della città. Ma ai sovvenzionatori non bastava: volevano vedere in funzione il motorionico.  Alla presenza di un ingegnere, fratello di uno dei finanziatori, nel suo ufficio di via dell’Unione Toti compie il miracolo: fa accendere una lampada da 50 candele alimentata dall’aria e spiega all’attonito ingegnere i principi su cui si basa la cosa. Risultato: gli viene messa a disposizione una villetta in via Luigi Buffoli, a Cusano Milanino (i resoconti di questa impresa si trovano su La Stampa e il Corriere della Sera del 17-18 settembre 1932 e sul Corriere della Sera del 21 settembre 1932).

Eppure, il finanziamento da centomila lire tardava ad arrivare. Il circolo degli interessati voleva vedere in funzione il motorionico al cospetto del professor Zunini, e in un ambito da lui controllato. Zunini si sarebbe accontentato di osservare il piccolo apparato su scala ridotta già costruito da Toti, per capire come stavano le cose. Le centomila lire sarebbero arrivate… dopo. Rassegnatosi, Toti acconsentì a provare l’apparecchio nella villetta, alla presenza di un altro studioso importante di termodinamica, il fisico Adolfo Campetti (1866-1947).

Lo schema che ne seguì fu quello classico di queste occasioni.

Ma pochi tocchi sugli apparecchi e pochissimi minuti sono stati sufficienti al professore dell’Ateneo pavese per mettere in luce il vero segreto dello pseudo inventore: un attacco abilmente nascosto con la rete distributrice dell’energia per l’illuminazione. Il Toti protestò, contestò, discusse tanto che il prof. Campetti, per farla finita, tolse le valvole interrompendo la corrente e invitò il Toti a ripetere l’esperimento nelle nuove condizioni. Il quale esperimento, come è facile pensare, non riuscì. Allora l’inventore dichiarò che gli apparecchi, toccati da mani inesperte, si erano guastati! Per ripetere gli esperimenti bisognava attendere che egli avesse il tempo di ripararli. Ma invece, un bel giorno annunciò che ad evitare ulteriori perdite di tempo, intendeva recarsi a Roma per trattare direttamente col governo. Partì infatti e diede ripetutamente notizie di se con telegrammi nei quali magnificava le accoglienze ricevute; poi d’un tratto, non si fece più vivo ed ancora oggi non si sa dove egli si trovi.  (La Stampa, 18 settembre 1932)

La villa in cui Toti aveva la sua base, come detto, si trovava in via Luigi Buffoli, in un’area verdissima di Cusano Milanino. Sopra vi svettava una grande antenna di rame. Il genio lucchese aveva anche un altro recapito, in pieno centro, in via dell’Unione 1. Sulla targhetta, il titolo di “professore”.

Era però in via Buffoli la “base operativa”. Lì un elettricista di Milanino, Bruno Sironi, gli forniva attrezzature e tubi termoionici. La grande antenna lineare montata sul tetto proveniva da uno stabilimento di Cusano, e ci volle un duro lavoro e una squadra di sei uomini per issarlo sui supporti adatti, spiegava il Corriere della Sera del 21. Non solo, l’operazione doveva aver destato un certo sospetto tra il vicinato:

Qualcuno tuttavia si allarmò per quella grande massa di rame dell’aereo e nel popolino ci fu chi giunse a temere che richiamasse i fulmini sul paese. Corsero anche diverse dicerie e, tra le altre, quella che qualche volta potessero toccare disgrazie agli aeroplani in volo della vicinissima scuola del campo di Cinisello.

Una controvalvola per Marconi

Quello stesso giorno, in un altro articolo, il Corriere della Sera raccontava un aspetto ancora più sconcertante della parabola del nostro personaggio. Era un autodidatta, ma qualche conoscenza della fisica del tempo la aveva. Ogni tanto spariva per qualche giorno dalla villa in cui si svolgevano gli esperimenti e, al momento di riapparire, spiegava di essersi dovuto assentare perché chiamato da un illustre fisico o da un accademico. Intorno a lui era cresciuto un gruppo di entusiasti. Uno dei più accaldati, al punto da andare ad abitare con l’inventore nella casa di Milanino, un giorno lesse un’intervista nella quale Guglielmo Marconi affermava che l’elettricità atmosferica non poteva essere trasformata in forza motrice per le macchine. Di fronte a queste dichiarazioni perentorie, Toti avrebbe cominciato a inveire contro Marconi: doveva essere venuto a conoscenza del suo progetto, e ora voleva sabotarlo!

A quel punto Toti si chiuse nel suo laboratorio per una settimana – racconta sempre il Corriere -, fece calcoli di ogni tipo e ne uscì trionfante: aveva inventato la controvalvola, che gli permetteva non solo di concentrare l’energia atmosferica, ma anche di indirizzarla dove voleva. Aveva intenzione di presentare un ultimatum a Marconi: o ritrattava il contenuto dell’intervista di qualche giorno prima, oppure avrebbe distrutto a distanza il famoso yacht-laboratorio dello scienziato, l’Elettra, con tutti gli apparati che ospitava.

Il Corriere della Sera del 22 settembre pubblicò il testo di una lettera che Toti voleva mandare a Marconi ma che, come tante altre indirizzate a politici, scienziati e uomini di finanza, non spedì mai. Queste missive furono raccolte, nel tempo, da parte di quello che sembra esser stato il suo principale collaboratore, che lo sostenne a lungo ma che alla fine riconobbe anche lui come stavano le cose. Era il proprietario di uno stabilimento di trasformazione delle carni con sede a Monza, si chiamava Silvio Origgi, e, grazie a lui, conosciamo il testo che doveva essere destinato allo scienziato bolognese:

Eccellenza, sono lieto di comunicare alla S. V. Ill.ma che, contrariamente a quanto Ella ha asserito su vari quotidiani, l’elettricità si trasmette e con qualunque onda. Tra non molto sarò in grado di poter effettuare importanti esperimenti e sarò ben contento se Ella crederà degnarsi di assistere personalmente. Con distintissimi ossequi – Toti

Già, perché, a parte le interessanti voci che circolavano fra gli abitanti della zona di via Buffoli circa i pericoli corsi dagli aerei in volo a causa della grande antenna in rame posata da Toti, il nostro inventore si muoveva, com’era proprio di diversi personaggi di quel genere, su un duplice versante. Da un lato, il miraggio della liberazione dalle leggi fisiche per la produzione di energia e dal lavoro necessario per ottenerla; dall’altro, la liberazione dello stesso tipo di energia a fini distruttivi: anche nel caso di Carlo Toti, come in quelli di Giulio Ulivi e dell’“alchimista moderno” Zbigniew Dunikowski, si arrivò a parlare esplicitamente di raggio della morte.

Comunque, per controbilanciare gli strumenti di distruzione, c’era anche una valvola, di imminente produzione, destinata a debellare i tumori. A Bruno Sironi, l’elettricista di Milanino che lavorava per lui, Toti propose di usarla sul padre, per combattere una brutta polmonite di cui soffriva, ma quello non aderì alla proposta (Corriere della Sera, 22 settembre 1932). Non sappiamo le ragioni del rifiuto: forse temeva quel metodo non ancora ben sperimentato, forse nutriva già qualche dubbio. Ad ogni modo, l’uomo scampò a quella nuova “svolta farmacologica” del motorionico.

Primi dubbi

Con l’aumentare dei sostenitori di Toti, però, crebbero anche i sospetti. Un non meglio precisato collaboratore di Toti, suo segretario, non ebbe mai lo stipendio promesso. Nel presentare anche lui denuncia al Tribunale di Milano, allegò i dattiloscritti della Storia del motorionico, che per mesi aveva dovuto trascrivere sotto la dettatura del benefattore dell’umanità (Corriere della Sera, 17 settembre 1932).

Bruno Sironi, l’elettricista, dichiarò più volte di non aver mai capito fino all’ultimo davanti a chi si trovava. Toti gli raccontava delle sue imprese durante la Prima Guerra Mondiale e di quante onorificenze pubbliche avesse rifiutato, per modestia. Un concreto sospetto, a quanto pare, è che in qualche modo Toti sottraesse energia alle linee elettriche, visto che consumava enormi quantità di corrente per illuminare la villa di via Buffoli e per i suoi “lavori” in cui Sironi non riuscì a mettere mai più di tanto il naso (Corriere della Sera, 22 settembre 1932).

Un altro creditore, un ragioniere milanese, veniva tenuto buono tramite lettere spedite da Toti da Roma, dopo che ci era partito in seguito allo sbugiardamento operato dal professor Campetti. Si trattava soltanto di attendere la data della presentazione ufficiale del motorionico, o presso l’Accademia d’Italia (ne era presidente Marconi, probabilmente scampato al raggio della morte) o presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (e anche di quello era presidente Marconi!). Certo, gli servivano ancora tremila lire per spese di soggiorno a Roma, ma l’inaugurazione sarebbe stata diretta da Edmondo Del Bufalo, capo del Sindacato Nazionale Ingegneri, dal chimico prof. Nicola Parravano, eccetera eccetera. Nomi di un certo rispetto. Fu una strigliata del professor Campetti a far cadere il prosciutto dagli occhi anche al ragioniere di Milano (Corriere della Sera, 30 settembre 1932).

In effetti, Toti si dava da fare anche lontano dalla capitale lombarda. Dal 19 al 22 febbraio di quell’anno, a Pisa, aveva incontrato alcuni suoi ex-compagni d’arme durante la guerra, qualificandosi come flautista. Spiegò della valvola che doveva prelevare energia dall’aria “mediante decomposizione degli ioni” e, bontà sua, di una nuova invenzione: la vernice per rendere invisibili gli aerei in volo! I suoi ex-colleghi ufficiali però ne conoscevano il “carattere bizzarro”, da “mattacchione e genialoide”, raccontatore di storielle allegre in trincea… Toti insisté tanto con ex commilitone, “un distinto professionista” di Pisa, da farsi scrivere un biglietto di presentazione per il già menzionato ingegner Edmondo Del Bufalo, che, fra le altre cose, era stato uno dei fondatori del movimento fascistae che si occupava proprio di esaminare le nuove invenzioni presso il CNR. Non sappiamo quale uso ne abbia fatto (Corriere della Sera, 24 settembre 1932).

Una parte copiosa delle documentazioni presentate alla Procura di Milano dai denuncianti era costituita dalla corrispondenza che Toti intratteneva con loro. Stando ai resoconti del tempo, si direbbe che il preteso inventore adattasse i toni delle missive alle predilezioni e agli interessi specifici dell’interlocutore. Il sistema era accompagnato da un largo uso di inserzioni pubblicitarie sui giornali, grazie alle quali contattava i potenziali finanziatori, da una parallela scarsità di contatti diretti e da rinvii giustificati con problemi familiari, come presunte malattie della moglie, e così via. Quando Toti incontrò un chimico di un’industria, che gli contestava le vantate qualità di una sua vernice a smalto (non è chiaro se fosse quella che doveva rendere invisibili gli aerei), se andò sbattendo la porta e asserendo di essere un professore dell’Università di Liegi. Al rappresentante di una ditta straniera a Milano che gli chiedeva – sempre per iscritto – spiegazioni sul motorionico, rispose:

Un’auto elettrica, fornita del mio apparecchio, viaggerà dal momento stesso dell’applicazione dello stesso apparecchio fino a che dureranno le ruote e lo scheletro, senza bisogno di manutenzione dell’apparecchio e senza alcuna spesa all’infuori dell’acquisto e dell’impianto: molto estetico. (Corriere della Sera, 1° ottobre 1932)

Qualcosa, insomma, che avrebbe dovuto somigliare al moto perpetuo.

Toti, comunque, a tratti è descritto dalle cronache come una specie di affabulatore. Il Corriere della Sera il 21 settembre ne parlava in questi termini:

Un giorno egli passeggiava con un suo ammiratore… L’ammiratore, che non aveva ancora preso impegni di versare denaro, pensava se non fosse il caso di annunciare intanto al mondo, attraverso i giornali… le scoperte del Toti, e stava per fare il nome di un giornalista di polso, al quale rivolgersi. Proprio in quel momento il Toti si fermò, lo fissò e gli chiese a bruciapelo: “conosce lei il giornalista tale?” E fece il nome proprio del giornalista al quale l’altro stava pensando. Un caso di telepatia o una pura combinazione? L’ammiratore non sa spiegarsi il fenomeno. Solo ora, ripensando a quel fatto che lo convinse di avere a che fare con poco meno che con un mago, tanto che si lasciò ubbriacare dalle chiacchiere ed allargò i cordoni della borsa, è indotto ad esclamare: Quell là el g’aveva i valvol anca in del cervell.

Altri aspetti vanno oltre il grottesco. Il 23 settembre 1932 il Corriere della Sera spiegò che a volte Toti esibiva ai suoi ammiratori un libro vecchio e consumato in cui si sarebbe parlato di un suo geniale antenato. Il libro non era altro che un antiquato trattato di filosofia, le Istituzioni di logica, metafisica ed etica, di Francesco Soave (1743-1806), uscito a Milano per la prima volta nel 1793: e qui, accennando al dio egiziano Thoth, uno dei mitici fondatori delle scienze, lo si chiamava “Atoti”…

La documentazione e la corrispondenza da lui abbandonata nella villetta milanese era copiosa e conteneva spigolature di ogni genere, fra insulti e velate minacce a chi non gli faceva credito o si beffava delle sue promesse. Numerosi anche i rifiuti secchi di far vedere disegni della macchina o di fare dimostrazioni davanti a tecnici di fiducia dei richiedenti. Fra questi, il pugile Erminio Spalla (1897-1971), che aveva chiesto anch’egli di far intervenire un elettrotecnico. L’incontro con un critico, scriveva Toti, sarebbe risultato per lui “assolutamente negativo e umiliante”. E anche il pugilatore si ritirò in buon ordine.

Dalle paranoie complottiste ai pasticceri insoddisfatti

Da questo articolo sappiamo pure come andò a finire quello che avrebbe dovuto essere il “colpo grosso” per la produzione del motorionico. Alcuni banchieri svizzeri e tedeschi avrebbero dovuto sganciare alcuni milioni di lire e lui, tramite un dentista, aveva agganciato un avvocato di Locarno che aveva uno studio a Zurigo, e che era il consulente giuridico di una grande impresa elettrotecnica elvetica. Così, nell’ottobre del 1931 l’avvocato, il dentista e alcuni banchieri di Zurigo e di Colonia si recarono a Milano, dove furono ricevuti “con molto sussiego” dall’inventore negli uffici di via dell’Unione. Si dissero disposti ad acquistare il brevetto e a finanziare una “Società Elettrotecnica Carlo Toti e C.” Purtroppo per lui, chiesero le prove. Gli domandarono di trasportare le attrezzature in Svizzera, dove lo avrebbero ospitato, e lì di mostrare come funzionavano “ad un gruppo di scienziati che non domandava di meglio”. Toti reagì indignato davanti a tanta sfiducia. Quelli si guardarono sorridendo e, salutando, tolsero il disturbo. Rimasto solo col dentista e con un amico, con tono grave sentenziò:

Avete capito, eh? Volevano attirarmi in un agguato. Dopo aver assistito alle esperienze e carpito il segreto, mi avrebbero fatto ammazzare come un cane nella stanza di un albergo.

Della seconda parte della vita di Carlo Toti sappiamo poco. Il solo riferimento biografico, succinto ma interessante, è quello presente sul sito di un antiquario di Lucca, città natia dell’uomo.

…figlio e discendente di artigiani battiloro e musicisti, oltre a dipingere, suona anch’esso (come il nonno Carlo) con l’orchestra del Teatro del Giglio di Lucca. Pittore con indirizzo moderno che sfugge alla tradizione conservatrice della città. Personaggio colto ed estroverso, eclettico e stravagante tra il geniaccio inventore e noto “tombeur de femmes” deve alla permanenza in Francia il suo spirito libero e anticonformista. Molti sono gli aneddoti che circolavano sul pittore e artista, tuttora non sappiamo quanti falsi e quanti veri, che hanno avvolto il Toti nella sua segreta e affascinante personalità fino al togliersi rocambolescamente la vita all’età di 68 anni.

La sensazione è quella di una vita difficile, prima e dopo il quadriennio che ci ha interessato più da vicino. Certo è che l’articolo di giornale che chiude la piccola serie che possediamo su di lui è davvero micidiale. Il 9 ottobre 1932, il Corriere della Sera rivelava ancora parecchie cose.

I commessi di una casa editrice che gli avevano fatto avere pubblicazioni scientifiche per la bella sommetta di quattromila lire, mai pagate, si erano rivolti ai Carabinieri; e lo stesso aveva fatto quel Silvio Origgi, l’industriale che aveva collaborato strettamente con Toti, e solo tardi si era reso conto della situazione. Dapprima, attraverso un suo cliente, Origgi era entrato in contatto con Toti, che l’aveva convinto della bontà della sua idea delle vernici speciali, tanto da rilasciargli un po’ di cambiali, poi andate tutte in protesto. Toti però gli aveva chiesto di lasciar perdere, perché aveva abbandonato quelle quisquilie a favore degli studi sul motorionico, e quello ci cadde di nuovo. Toti lo rassicurò spiegandogli che la presentazione pubblica dell’apparato, accompagnata da “un esperimento sbalorditivo” sarebbe avvenuta il 28 ottobre, decimo anniversario della marcia su Roma con conseguente salita al potere di Mussolini. Insieme ad altri poté assistere a un esperimento della valvola negli uffici di Toti in via dell’Unione, ma quando stava per mettere mano al portafogli per un finanziamento più grosso, ecco che gli altri, che per conto loro avevano capito come stavano le cose, ruppero i rapporti con l’inventore. Stavolta Origgi non si lasciò convincere. Pochi giorni dopo il fisico dell’Università di Pavia, Adolfo Campetti, assistendo agli pseudo-esperimenti (come si è già spiegato prima) smascherò Toti. Così, alla fine anche il suo più fedele collaboratore lo denunciò.

C’erano poi altri piccoli creditori, a reclamare qualcosa dal lucchese, magari anche per questioni modeste. Essendo un buon suonatore di sassofono, Toti aveva avuto prestiti per comprare strumenti musicali; un altro finanziamento gli era stato accordato per fabbricare dei tappi di “nuova concezione”, che a quanto sosteneva avrebbero reso moltissimo all’industria dei liquori. Uno di questi piccoli creditori mai soddisfatti però ci commuove di più.

Una sera il gruppo degli ammiratori di Toti, ancora compatto, offrì al presunto rivoluzionatore della tecnica una cena che si concluse con una torta monumentale preparata da un pasticcere e sormontata da questa frase in zucchero e cioccolata:

Evviva il prof. Toti – Evviva il motorionico!

La torta era circondata dalle iniziali dei candidati alla formazione della società per lo sfruttamento commerciale del sistema free energy del lucchese.

Così concludeva il Corriere della Sera:

Il cuoco artista ha ricevuto, per tutto compenso, una lode entusiastica del “professore” che lo proclamò “il Bernini della pasticceria”. Ma si è convinto che, quanto a combinare pasticci, quell’altro era più abile di lui.

Immagine in evidenza: vecchi tubi termoionici. Foto di Stefan Riepl, da Wikipedia, rilasciata in licenza CC BY-SA 2.0 de

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