Massimo D’Azeglio e i suoi fantasmi
Giandujotto scettico n° 170, di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Uno dei più importanti protagonisti politici del Risorgimento italiano frequentò direttamente lo spiritismo, rimanendo affascinato dagli apparenti fenomeni che si producevano durante sedute: si trattava del torinese Massimo Tapparelli D’Azeglio (1798-1866), che era stato primo ministro del Regno di Sardegna in anni difficili, fra la Prima guerra d’indipendenza (1849) e il consolidamento del regno di Vittorio Emanuele II.
Dalla politica agli spiriti
Massimo D’Azeglio fu un personaggio chiave del Risorgimento: un po’ nemico, un po’ sostenitore di Cavour, che alla fine lo sostituì. Sempre monarchico, sostenitore di una soluzione federale per l’unità nazionale che alla fine uscì sconfitta, fu cattolico ma senza che la cosa gl’impedisse di sostenere le leggi anticlericali del 1850 e di coltivare altri interessi eterodossi. Massone, fu fra coloro che, nel 1864, a Firenze, contribuirono a far eleggere Giuseppe Garibaldi Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Ma fu probabilmente anche uno dei personaggi di spicco della nuova nazione a praticare lo spiritismo, che era nato nel 1848 negli Stati Uniti dalle performance delle sorelle Fox.
Del resto, negli spiriti D’Azeglio era incappato già nel 1855, mentre si trovava in vacanza alla Certosa di Pesio, sulle Alpi cuneesi, località termale allora di gran moda. Mentre passeggiava di sera nei giardini, gli si parò davanti un fantasma con il volto illuminato da strane fiamme. L’apparizione era in realtà un giovane nobile piemontese, Ernesto di Sambuy (1837-1909), che poi diventerà sindaco di Torino.
Il diciottenne andava in giro con indosso un lenzuolo e con in mano un catino di sali che, accesi, davano luci spettrali. Il guaio è che le fiamme ustionarono al volto D’Azeglio, che per diverso tempo ne ebbe conseguenze non lievi. Avevamo raccontato in un altro episodio del Giandujotto scettico questa storia.
Se fossimo stati al posto di D’Azeglio, avremmo lasciato stare gli spiriti e le loro possibili evocazioni. Ma, con ogni evidenza, il politico piemontese era un uomo curioso e attento alle novità mondane del suo tempo – cosa che del resto confermano i suoi biografi – e, per questo, quando lo spiritismo giunse anche in Italia non si tirò indietro. Vediamo quali forme assunse il suo interesse.
Cavour, se ci sei batti un colpo
Anticipato dal mesmerismo, lo spiritismo fece la sua comparsa in Italia a partire dal 1856, dunque appena otto anni prima che D’Azeglio, invecchiato precocemente dai numerosi malanni (in primo luogo dalla gotta) si spegnesse. Ed è proprio a Torino, la città in cui D’Azeglio risiedeva in maniera intermittente, che nel 1864 compare la prima voce italiana dello spiritismo italiano, la rivista Annali dello spiritismo. Era diretta da Vincenzo Scarpa, che, sotto lo pseudonimo di Niceforo Filalete, dal 1856 animava già la piccola Società di studi spiritici e che era stato il primo traduttore dei libri di Allan Kardec, il “profeta” francese dello spiritismo. Non abbiamo prove di contatti fra questo gruppo e D’Azeglio, ma si pensi soltanto a una cosa: Vincenzo Scarpa era stato segretario personale di Camillo Benso di Cavour, che era morto nel 1861 e che il gruppo di Filalete dichiarò di aver spesso evocato durante le sedute medianiche.
Ma dal 1858 D’Azeglio, in realtà, trascorreva la maggior parte del tempo nella pace di Cannero, sul Lago Maggiore, dove si era fatto costruire un palazzotto proprio a picco sul lago. Ed è nelle stanze di Villa D’Azeglio che l’ex-protagonista di mille battaglie risorgimentali ebbe modo di sperimentare direttamente le gioie e brividi delle sedute medianiche.
Per quanto ne sappiamo, D’Azeglio si diede alla ricerca del contatto con gli spiriti fra il 1864 e il 1865, dunque davvero nella fase finale della vita (morì a Torino, nella sua casa di via Accademia Albertina 2, il 15 gennaio 1866). Conosciamo i suoi esperimenti medianici soltanto grazie agli epistolari pubblicati dopo la sua scomparsa da due suoi illustri corrispondenti, uno dei quali fu anche da lui coinvolto nelle sedute di Villa D’Azeglio. Se ne è occupato in tempi recenti il blog PSI Report in un articolo non firmato, ma verosimilmente opera del medico e parapsicologo Massimo Biondi, uno degli studiosi meglio documentati sulla controversia parapsicologica nel nostro paese, ed è dal suo articolo che estraiamo molti dei particolari sulle sedute spiritiche di D’Azeglio.
Una cerchia di illustri appassionati
Il primo testimone (e partecipante delle sedute) fu un altro dei massimi dirigenti dell’Italia unitaria: l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano (1806-1883), un vercellese che era stato ministro della Marina militare ma che, poco dopo le vicende di nostro interesse, cadde in disgrazia e fu processato per la condotta disastrosa della flotta italiana, alla quale era stato posto al comando. Venne infatti destituito e degradato in seguito alla battaglia di Lissa (1866, Terza guerra d’indipendenza), che si risolse in una vittoria schiacciante da parte della marina austro-ungarica.
Il secondo partecipante alle sedute di Cannero, illustre ma un po’ meno noto, fu Antonio Panizzi (1797-1879), direttore della Biblioteca del British Museum di Londra, che, come aderente alla Carboneria, si era lì radicato una volta esule.
Sembra che la sequenza dei fatti abbia avuto inizio nella calura dell’estate 1864.
Il 19 agosto, D’Azeglio scriveva a Persano che era andato a trovarlo un amico e, chiacchierando di varie cose, la discussione era caduta sullo spiritismo. Lui ne aveva riso, ma, visto che reputava il suo interlocutore incapace d’ingannare, avevano “fatto esperienze”. Non c’erano dettagli, ma D’Azeglio ne era rimasto folgorato: aveva visto “cose che avrei creduto impossibili”, cose “inspiegabili colle leggi naturali applicabili alla materia”. Chiedeva a Persano riservatezza, ché qualcuno non pensasse “che si crede al folletto” (come erano chiamati, all’epoca, i fenomeni di poltergeist).
Persano rispose in modo quasi canzonatorio; ma poi tacque, per le argomentazioni avanzate da D’Azeglio in una nuova missiva, quella dell’11 settembre. Non vorrai mica che dia retta a Roma, scriveva, cioè alla chiesa cattolica che pretendeva di vietare queste indagini:
Se m’imbatto in fenomeni a me sconosciuti fin ora, e che non posso spiegare colle leggi ordinarie della materia, vorresti che dessi retta a Roma che mi proibisce di studiarli, dicendo che son tentazioni del demonio, piuttosto che ripetere esperienze e studiare quelle degli altri onde cercare un’ignota verità? […] Non vedo che cosa ci sia da vincere, se non la mia ignoranza, come in tutte le lotte della mente umana fra la luce e le tenebre, l’errore e la verità.
Insomma, D’Azeglio studiava, pur avendo, fino a quel punto, capito “poco”. Ma con Persano, aveva la via spianata: si appellava alla ragionevolezza della sperimentazione, all’esame dei fatti e alla necessità di scordarsi di “ogni teoria preconcetta”.
1865, continuano le sedute
Siamo certi che D’Azeglio proseguì piuttosto a lungo su questa strada, perché il 26 maggio dell’anno successivo scriveva ancora, stavolta ad Antonio Panizzi, che aveva fatto parecchie esperienze insieme a un gruppo di tre o quattro persone fidate,
ond’esser sicuro che non v’entrasse ciarlatanismo.
Di chi si trattasse non è dato sapere, ma a quel punto D’Azeglio ormai era dichiaratamente diventato spiritista: non solo i fenomeni per lui erano “assolutamente inesplicabili”, ma era stata stabilita una comunicazione
con un’intelligenza, esclusa ogni spiegazione assolutamente materiale.
Quale origine e “veridicità” avesse questa intelligenza, però, lui non lo sapeva con certezza. Consigliava a Panizzi di leggere opere di divulgazione spiritica, e credeva che lo spiritismo spiegasse il male molto meglio della dottrina cattolica del peccato originale.
Spiriti di alto rango e conversioni
Poi, ai primi di ottobre 1865, la svolta. D’Azeglio era entrato in comunicazione con lo spirito di Cavour, morto nel 1861, e da lui aveva ricevuto dei messaggi; ne aveva inviato la trascrizione a Persano, e ne chiedeva ora la restituzione. Il 14 ottobre raccontava che i “differenti esseri” in comunicazione avevano caratteri così precisi e distinti che sembrava di averli davanti. Ormai l’ex-Primo ministro era al cospetto della “manifestazione d’un intero sistema finora ignorato”; ma esortava alla prudenza: i ciarlatani non mancavano nemmeno fra le entità che si presentavano! Nel frattempo, aveva cominciato a ricevere “esercizi” anche da Cesare Balbo (1789-1853), che era stato, come lui, presidente del consiglio del Regno di Sardegna, nonché suo cugino.
Insomma, visto che D’Azeglio era stato un politico, i suoi colleghi passati a miglior vita ritenevano utile continuare a conversare e discutere con lui anche dall’aldilà.
Pochi mesi prima di morire. D’Azeglio chiese a Persano di andare da lui nella villa sul Lago Maggiore a praticare lo spiritismo, Pochi mesi dopo, lasciò questa vita. Era il 15 gennaio 1866. Prima di trasformarsi in spirito anche lui, però, era riuscito a convertire anche l’ammiraglio a quella nuova “religione positiva”. Nel suo epistolario, Persano scrisse che, avendo partecipato a diverse di quelle esperienze, aveva concluso trattarsi di “cosa inconcepibile ed oltre dire straordinaria”.
Nel 1868, il pittore Gaetano Ferri (1822-1896), che già da metà anni ‘50 dell’Ottocento, in Francia e a Torino, si era interessato dello spiritismo (ma sempre conservandosi a dir poco scettico), pubblicò un grosso volume che mostrava come nel frattempo avesse fatto una completa giravolta, su quell’argomento. Si trattava di Angelino suicida. Raccolta di comunicazioni spiritiche (Fratelli Bocca, Torino-Firenze).
Come altri personaggi di spicco affascinati dalle comunicazioni medianiche, Ferri aveva pure lui una casa sul Lago Maggiore, ad Oggebbio, a pochi chilometri dalla residenza di D’Azeglio. Nell’introduzione al volume, Ferri raccontava com’era avvenuta la sua conversione. Aveva conosciuto D’Azeglio, che lo aveva invitato a partecipare alle sue sedute ed esser così messo al corrente della “rivelazione” che proveniva dalla medianità. Insieme ad alcuni amici, nei salotti di Villa Massimo, Ferri si trasformò nel giro di alcuni mesi in un apostolo zelante della moderna religione spiritica. La praticò sino alla morte, avvenuta ad Oneglia (Imperia) il 31 agosto del 1896. Si era ritirato in Liguria lasciando Torino, dove per quindici anni aveva ricoperto la cattedra di pittura all’Accademia Albertina.
Veloce come una folgorazione
Probabilmente molto altro del D’Azeglio spiritista, la cui carriera fu breve ma intensa, potrebbe essere rintracciabile nelle carte dello statista, disperse in varie sedi. Già così, però, emerge netto un fatto: come abbiamo argomentato in molte altre puntate del Giandujotto scettico, lo spiritismo fu un fenomeno di massa in Italia. Un fenomeno di tipo collettivo, che interessò in egual misura strati borghesi e classi popolari, soprattutto tra gli anni ‘60 dell’Ottocento e gli anni ‘30 del Novecento. E che ebbe anche un’altra caratteristica: la capacità d’imporsi alle menti di potenti e poveri con una rapidità eccezionale.
Come per altri casi, gli argini di D’Azeglio cedono in pochissimo tempo davanti ai presunti “fatti”, davanti ai fenomeni. Non sono le teorie e le argomentazioni filosofiche a convertirlo, ma quello che vede – o, meglio, quello che pensa di aver visto e toccato con mano. Che i medium parlassero con voci non loro, che comparissero oggetti, che gli oggetti si spostassero e volassero via sembrava abbastanza, sulla base delle sue verifiche. Fatti sufficienti a fare il salto e a credere al nuovo verbo, quello della prova scientifica di un mondo invisibile e ricco di promesse di ogni tipo, sia sul piano individuale sia su quello collettivo.
Per quanto ne sappiamo, anche Massimo D’Azeglio, come mille altri, credette che le cose fossero chiare a sufficienza, e si trasformò ben presto in un apostolo della nuova scienza, pronto a convincere i suoi amici più illustri. Nell’Italia da pochissimi anni diventata stato unitario, fu tra i primi di una lunga schiera fiduciosa nelle manifestazioni degli spiriti. Dopo di lui, mille altri individui lo avrebbero seguito, nelle grandi città e nei centri di provincia della nuova nazione.
Immagine: ritratto di D’Azeglio eseguito da Francesco Hayez (1791-1882), Pinacoteca di Brera, da Wikimedia Commons, pubblico dominio