26 Luglio 2024
Giandujotto scettico

Giovanni Plana e il mito del mare polare libero

Giandujotto scettico n° 165, di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Giovanni Plana (1781-1864) è stato uno scienziato di prima grandezza, nel panorama italiano. Gli appassionati di matematica e astronomia avranno forse sentito parlare di lui per i suoi contributi allo studio del problema dei tre corpi, applicato in particolare al sistema Sole-Terra-Luna. I torinesi lo ricorderanno magari per aver fondato l’Osservatorio di Torino, che allora aveva sede a Palazzo Madama, prima del suo trasferimento a Pino Torinese, o, più probabilmente, per aver costruito il Calendario Meccanico Universale, un calcolatore in grado di indicare per ogni data valori come il giorno della settimana, la collocazione mensile, i dati relativi a lunazioni, maree, festività e santi… Definita da alcuni studiosi come un proto-computer, l’invenzione di Plana è tuttora visibile presso la Cappella dei Mercanti di Torino.

Oggi però non vogliamo celebrare i trionfi di questo grande astronomo, ma raccontare anche un suo piccolo passo falso: quello che commise quando, verso la fine della sua carriera, pensò di aver dimostrato matematicamente l’esistenza del “mare polare libero”, cioè di un territorio privo di ghiacci, ai due poli terrestri; una zona più calda rispetto alle terre intorno, dove fosse possibile la vita. Questo mito, nell’Ottocento, ossessionava le migliori menti europee: fu infatti al centro delle speculazioni di innumerevoli esploratori, matematici, scrittori di fantascienza e… occultisti. Ve ne raccontiamo la storia.

Plana, chi era costui?

Plana era nato a Voghera (Pavia) da genitori piemontesi. Nell’aprile 1796, Napoleone si accingeva a invadere l’Italia, dove era riuscito a ottenere una prima vittoria presso Cairo Montenotte contro gli eserciti austriaco e piemontese. Fu allora che il quindicenne Plana, di simpatie bonapartiste, eresse nel cortile della sua scuola un albero della libertà. Si trattava di pali o di aste addobbate con i simboli della Rivoluzione francese – il berretto frigio, il fascio, la Dea Ragione o i nastri tricolori – che le truppe di Napoleone piantavano nei territori conquistati. Erigerne uno significava proclamare la propria lealtà alle idee di progresso e libertà della Rivoluzione, e così il giovane Plana, per non incorrere in problemi con le autorità sabaude, fu velocemente spedito a Grenoble presso alcuni zii.

Fu la sua fortuna: mentre la scuola italiana che frequentava era volta soprattutto allo studio della retorica, e anche in forme decisamente polverose, nella città francese poté frequentare l’École Centrale, all’avanguardia nelle discipline scientifiche. Il giovane vi si appassionò, e nel 1800 venne ammesso all’École Polytechnique di Parigi, dove insegnavano veri e propri mostri sacri della matematica come Laplace e Lagrange.

Proprio quest’ultimo lo raccomandò per un posto come professore di Matematiche alla Scuola imperiale di Artiglieria di Torino, allora centro di studi avanzati. Venne poi la cattedra di Astronomia presso l’Università di Torino e, nel 1815, quella di Calcolo infinitesimale. Plana si dedicò allo studio della meccanica celeste e dei moti dei pianeti, che culminarono nella pubblicazione dell’opera in tre volumi Théorie du mouvement de la lune; nel 1820 ricevette anche un premio dall’Accademia delle scienze francese, per aver ricavato dalla legge di gravitazione universale una serie di tabelle utili a calcolare i movimenti della Luna. Ma accanto a questi argomenti, si dedicò anche alla geodesia, all’analisi e allo studio matematico di problemi come la propagazione ondosa, il moto dei pendoli, la propagazione del calore. Fu proprio in quest’ultimo ambito che arrivò alla conclusione di aver dimostrato, una volta per tutte, l’esistenza del mare polare libero

Il mare polare libero, un mito ottocentesco

L’idea che nelle regioni artiche ci fosse una fascia di mare navigabile, magari perché relativamente tiepida, libera dai ghiacci, precede di secoli le elucubrazioni di Plana – le sue, anzi, sono fra quelle più tarde. Uno dei primi a suggerirla fu un cartografo, l’inglese Robert Thorne (1492-1532); molto del suo successo però si dovette alla promozione che verso la fine del Cinquecento ne fece uno dei maggiori esploratori del tempo, l’olandese Willem Barents

L’esperienza del tempo però andava contro queste idee. Chi andava verso il Nord estremo incontrava ghiacci sempre più spessi. Paradossalmente, fu lo sviluppo della geografia teorica, della fisica e della meteorologia, nei primi decenni dell’Ottocento, a far riemergere in versione moderna il mito del mare polare libero. Le ricerche e le osservazioni dell’’americano Matthew F. Maury (1806-1873) sulle correnti oceaniche, negli anni ‘30 di quel secolo, lo spinsero a proclamare con convinzione che doveva esserci una zona priva di ghiacci nel Grande Nord e che l’influenza delle acque calde provenienti dal sud era in grado di sciogliere i ghiacci. 

In realtà, nelle idee di Maury e di altri c’era una lunga serie di presupposti, misurazioni, deduzioni sbagliate. In apparenza i dati, costruiti male e del tutto parziali, sembravano sostenersi l’uno con l’altro, ma quasi tutto era errato. Per esempio, si pensava che il ghiaccio marino potesse formarsi soltanto nei pressi delle masse terrestri e, visto che intorno al Polo Nord c’era soltanto acqua, allora ci sarebbe stato pochissimo ghiaccio. E poi, la presenza costante del Sole nelle regioni artiche nei mesi estivi, si riteneva sulla base di conoscenze meteorologiche del tutto approssimative, sarebbe stata sufficiente a impedire la formazione di grandi superfici ghiacciate. Maury, che pure aveva capito altre cose relative alla Corrente del Golfo, era convinto che le sue acque tiepide provenienti da sud riemergessero sino alla superficie marina, contribuendo a generare un’aria tiepidina. E così via.

Il tutto era avvalorato dalle descrizioni di alcuni esploratori, che sembravano confermare che andando verso Nord il clima sembrava farsi più temperato. In tutto questo c’erano molti “sentito dire”, voci di seconda mano, e probabilmente anche un bel po’ di wishful thinking. Non era raro, però, leggere sui bollettini geografici del tempo lunghi elenchi di “conferme” come questo:

Queste considerazioni teoretiche […] vengono avvalorate da autorevoli testimonianze e serie osservazioni le quali per vie di fatto fanno credere all’esistenza di un mare libero al Polo Nord dai Russi chiamato Polynia e che nel lor linguaggio significa mare libero racchiuso fra ghiacci. Nel 1594 Barentz osservò che il sole oltre la Nuova Zembla dardeggiava una così copiosa quantità di raggi verso il Nord da ritenere sicuramente che quivi vi dovea essere la temperatura più alta che nel luogo ove egli si trovava. È un fatto indubitato che nel 1614-1641, un vascello della compagnia olandese del Nord si avvicinò al Polo alla distanza di 2°. Il capitano Gould diè notizia a Carlo II che avendo incontrato presso l’isola Edges due olandesi balenieri, questi gli narrarono che essendo pervenuti fino all’89°; non riscontrarono quivi alcuna traccia di ghiaccio, ma un mare perfettamente libero. Moxon (1656) sentiva dire da un capitano olandese che essendo questi penetrato fin presso il Polo, vi avea trovato l’istessa temperatura di Amsterdam. Al Nord del canale Wellington Blecher vide una vasta estensione di acqua appena coperta di qualche ammasso di ghiaccio; il capitano inglese Perry constata l’istesso al Nord Ovest del canale Vittoria. Hendenstroem, Wrangel, Anjou, e i Russi dal Nord della Siberia, assicurano eziandio di aver intraveduto da lungi la Polynia. Morton nel 1854 avanzandosi dal capo Costituzione all’80°46’ di latitudine settentrionale verso il Polo Nord, riconobbe che quivi il mare avea l’apparenza di un bellissimo bleu e di non essere ghiacciato. […]

La matematica al servizio del mito

A quanto pare, fu verso la fine della vita – al massimo un paio d’anni prima di morire – che Giovanni Plana s’infatuò della teoria del mare caldo del Nord. Ci arrivò attraverso una strada a lui congrua, ossia dallo studio delle equazioni del calore presentate alcuni decenni prima da un grande matematico come Siméon-Denis Poisson nella Theorie mathematique de la chaleur (1835). Plana cercò di applicare quelle equazioni alla Terra: sviluppando – fra le altre cose – le idee cosmologiche di Laplace sull’evoluzione del nostro pianeta, provò a calcolare quanto tempo poteva averci messo la Terra per raffreddarsi rispetto alle fasi iniziali della sua storia. Da lì, era passato a calcolare – sulla base di ciò che poteva avere sottomano – la temperatura dei Poli. Aveva costruito alcune equazioni, e ne aveva concluso che la temperatura doveva diminuire sino a una certa latitudine – quella del circolo polare – per poi risalire. Tanto che ai poli doveva esserci una temperatura media paragonabile a quelle del 60° parallelo nord, cioè, a quello che passa attraverso la Norvegia meridionale! Non esattamente il clima del Kuwait, ma di certo, tale da rendere il mare libero da ghiacci perenni. Dunque, saremmo stati in presenza di una fascia di acque navigabili. 

Plana presentò le sue teorie, completate dalle ipotesi dei geografi del tempo, in una Memoire sur la Loi du refroidissement des corps sphériques et sur l’expression de la chaleur solaire dans les latitudes circumpolaires de la terre, stampata a Torino nel 1863 dalla Tipografia Reale. Ne potete leggere qui una benevola presentazione fattane nel primo numero del Bollettino della Società Geografica Italiana (agosto 1868, pp. 261-268).

Ma si trattava di un fuoco di paglia, sembra proprio il caso di dire.

La fine dell’idea del “mare polare libero”

A render conto in maniera chiara del fatto che Plana si era sbagliato, e non di poco, toccò a un suo allievo, il matematico Angelo Genocchi (1817-1889), che, oltre a occuparsi ampiamente di teoria dei numeri e di calcolo integrale, a Torino fu sua volta maestro di uno dei maggiori logici e matematici italiani – un altro piemontese, Giuseppe Peano, colui che, quando ormai Genocchi era malfermo in salute e quasi cieco, nel 1884 pubblicherà sotto la sua firma il fondamentale Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale. Quel testo in realtà era in larga misura opera di Peano, ma tutti ci tenevano a rispettare le figure illustri che li avevano fatti crescere. Per questo, in copertina campeggia il nome di Genocchi. 

Plana era stato uno studioso di vaglia, ma con le equazioni sul “mare libero” aveva preso un granchio. Dopo la sua morte, libero anch’egli dal timore reverenziale per il mentore, Genocchi ne controllò i calcoli e si rese conto che erano errati: non c’era nessuna evidenza matematica di quanto Plana aveva teorizzato (e, nel frattempo, sul piano empirico le esplorazioni erano andate avanti, ma la scoperta del “mare polare” tiepido non si era vista).

Nel 1872 Genocchi pubblicò l’esito di quelle verifiche nei Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere in un articolo intitolato “Del calor solare nelle regioni circumpolari della terra”. Otto anni dopo, nel gennaio del 1880, soltanto il rispetto che si doveva a uno studioso illustre di matematica impediva al Bollettino della Società geografica italiana di dire con maggior chiarezza che quella del mare caldo polare nella versione di Giovanni Plana era una totale fantasia.

Dopo aver sunteggiato le esplorazioni allora più recenti, che nel corso dei passati decenni avevano ridotto al minimo la plausibilità dell’ipotesi – “intaccata da parecchi e gravi dubbi” -, così il Bollettino commentava i ragionamenti di Plana:

Nel 1865 [un evidente errore: era morto nel 1864, e il lavoro in discussione è del 1863 NdR] Plana applicando la teoria matematica di Poisson sulla distribuzione del calore alla regione polare, arrivò a questo interessante risultato: che la temperatura, la quale diminuisce dall’equatore fino al circolo polare, aumenta invece da questo fino al polo. Egli considerò questo fatto e con ragione, come argomento importantissimo in favore dell’ipotesi del mare libero. Ma poco tempo dopo, il Genocchi riconobbe i risultati del Plana affetti di errori di calcolo, scusabilissimi colla grave età dell’illustre autore, e dimostrò che, conformemente alla teoria di Poisson, la temperatura diminuisce fino al polo. Il mar libero, se esiste, deve essere effetto di perturbazioni permanenti, provenienti dalla conformazione geografica e dalle correnti marine e aeree.

La prova empirica dell’inesistenza di un mare polare caldo si ebbe finalmente fra il 1893 e il 1895, quando il rompighiaccio “Fram”, le cui spedizioni erano comandate dai norvegesi Fridtjof Nansen e Otto Sverdrup, attraversò l’intero pack polare senza trovare altro che la desolazione costante dei ghiacci.

Nell’aprile del 1909 la spedizione comandata da Robert Peary raggiunse il Polo Nord, e lo stesso fece per il Polo Sud quella di Roald Amundsen nel dicembre del 1911. Sfortunatamente, nemmeno loro incontrarono zone calde a facilitarne il cammino. Al contrario, con i loro compagni, rischiarono più volte la vita, sottoponendosi a prove davvero estreme, considerate le tecnologie e le conoscenze mediche del tempo. Sotto il profilo psicologico e culturale, è comprensibile che prove come quelle sopportate da quei pionieri siano state spesso lette come esperienze di tipo iniziatico, capaci di trasformare per sempre la percezione di se stessi e del mondo. Per qualcuno, non si trattava solo di conseguire un traguardo di progresso e di segnare un’altra tappa in un percorso verso il trionfo della ragione. Quei percorsi e quei risultati scientifici potevano essere letti in altri modi, gettandovi altri sguardi. Basterà qualche cenno per capire a che cosa alludiamo, e per rendersi conto che anche una personalità lontanissima da certe idee come quella di Giovanni Plana fu parte di un movimento assai più vasto. Un movimento di grande portata al quale, molto probabilmente, non avrebbe certo desiderato essere iscritto.

Immagine da “La sfinge dei ghiacci” di Jules Verne, illustrazione di George Roux (1853-1929). Da Wikimedia Commons, pubblico dominio

Un’ossessione ottocentesca e le sue strane conseguenze

La storia dell’attrazione simbolica, religiosa, antropologica per i poli geografici (e magnetici) della Terra è lunghissima, e viene dall’antichità. Idee come quelle sulla Terra Cava, sui continenti perduti, sulla presenza degli alieni nel passato remoto del mondo, degli UFO alieni, delle leggende sul nazismo esoterico, delle linee energetiche segrete della Terra e su mille altre cose transitano tutte, in misura diversa, attraverso i concetti di Polo Nord e Sud del pianeta. La crescita delle conoscenze geografiche, climatologiche e geologiche dell’Ottocento non fece sparire questo tipo di idee: semmai, le adattò alle esigenze del grande pubblico. Anche Plana e chi lo precedette nel teorizzare l’esistenza del mare polare caldo è parte di questa galassia di idee. Questa grande attrazione per i Poli – viene spontanea chiamarla così – unita alla nascita dell’editoria moderna generò negli anni una valanga di letteratura, da quella più alta a quella di infima qualità. Di sicuro, può vantare padri nobili di tutto rispetto.

Nel 1838, uno dei grandi scrittori americani dell’Ottocento, Edgar Allan Poe, si cimenta con la letteratura fantastica e l’horror con un racconto lungo ambientato nelle acque gelide (ma non troppo) dell’Antartico, La storia di Arthur Gordon Pym. Una trama ricca di misteri e di episodi truculenti, in cui, per sopravvivere, naufraghi alla deriva nei mari dell’estremo Sud del globo si danno al cannibalismo per sopravvivere a bordo di una goletta. La nave va sempre più a Sud, ma, al contrario di quanto tutti si aspettano, attraversa un grande braccio di mare in cui la temperatura, invece che diminuire, aumenta vistosamente. Dopo altre peripezie che comportano l’incontro con un popolo misterioso dai lunghi denti neri, ecco i superstiti di nuovo fra i ghiacci, a scendere attraverso cunicoli sotterranei verso un mare caldo polare. Le pareti sono caratterizzate da una scrittura forse antichissima, che deve aver tracciato qualche civiltà nascosta sotto i ghiacci. Alla fine, tra i vapori, si staglia davanti agli esploratori una grande, misteriosa figura dalle vesti candide. 

Forse un esponente della misteriosa razza che abita nelle grotte del mare polare caldo?

Non c’è risposta, perché la storia del povero Gordon Pym s’interrompe attraverso un classico stratagemma narrativo. Il racconto fatto all’autore dal naufrago sopravvissuto si conclude con la morte di Gordon. In questo modo, il mistero di ciò che si nasconde oltre la zona calda antartica attraversata dall’imbarcazione alla deriva non viene sciolto, generando un vuoto che può essere riempito dal lettore con la sua creatività (ma che sarà colmato anche da altri colleghi di Poe). Due gli esempi più illustri. 

Nel 1897, ecco comparire uno dei primi classici della fantascienza moderna, Le Sphinx des glaces (“La sfinge dei ghiacci”), opera di uno dei grandi del genere, Jules Verne. Un racconto importante, perché unisce le idee esoteriche sui poli, allora in piena fioritura, a fantasie sui misteri dell’archeologia. In questo caso, si scopre che Gordon Pym non è morto. Il suo compagno di sventure lo cerca oltre la zona calda, approdando presso una montagna simile alla sfinge egizia. La Sfinge dei ghiacci attira a sé le navi, perché sotto di essa ci sono dei colossali magneti. Alla fine, al contrario che nelle premesse, si scoprirà che anche Pym è finito male, perché aveva con sé un fucile, metallico, che l’ha fatto irresistibilmente volare via verso la Sfinge magnetica. 

Un magnetismo misterioso, dunque, che è il cuore del mistero del Polo Sud, raggiungibile una volta che viene superata la zona “calda” teorizzata da Plana e da tanti altri. 

Ancora più radicale, e più moderna, è la versione di uno dei grandi del fantastico e della fantascienza, promotore di tanti temi che poi saranno incorporati nel mito degli UFO e nelle teorie degli Antichi Astronauti, oltre che nell’occultismo contemporaneo, ossia H. P. Lovecraft. Nel 1931, in Alle montagne della follia, incontriamo gli Antichi, cioè, extraterrestri che vivono al Polo Sud da quando, in tempi remoti, sono giunti dallo spazio a bordo di navi spaziali. Impiantatisi lì, hanno dato origine alla vita sulla Terra, e ora sanno tutto di noi, al sicuro in una città di ossidiana, il loro centro polare. Insomma, la fascia calda che circonda i poli annuncia la realtà che cela l’Antartide, cuore della presenza extraterrestre nel mondo. Era dunque quello, probabilmente, il luogo mai raggiunto da Gordon Pym subito dopo il suo transito nella fascia di mare che anche Plana aveva sognato. Probabilmente mai il matematico attivo a Torino avrebbe pensato che ci sarebbe stato chi avrebbe preso spunto dai ragionamenti come i suoi per sviluppare universi fantastici.

Nel Ventesimo secolo idee letterarie come queste e l’occultismo teosofico genereranno fantasie di ogni tipo sui poli. Una fra tutte: la teoria dell’occultista americano di origine tedesca Walter Seigmeister (1903-1965), che, sotto lo pseudonimo di “Raymond Bernard”, a partire dalla fine degli anni ‘50 contribuì a diffondere fra gli appassionati di UFO una teoria secondo la quale i dischi volanti che in tanti dicevano di vedere nei cieli venivano da un mondo sotterraneo, la cui apertura era nelle regioni polari. Seigmeister fu anche uno scrittore notevole di fantascienza e il formulatore di idee esoteriche elaborate (e, fra le altre cose, fu anche uno dei primi sostenitori del crudismo). Chi volesse dilettarsi con quelle che riguardano le aperture ai Poli, potrebbe procurarsi la versione italiana di uno dei suoi libelli sulla Terra Cava, cioè Il grande ignoto (Sugar, Milano, 1972).

Il buon Plana non se lo sarebbe mai aspettato: la popolarizzazione della scienza e della tecnica, le sue incertezze, i vicoli ciechi intrapresi mille volte dagli scienziati sono una combinazione ideale per chi sostiene visioni delle cose alternative a quelle delle scienze e dei loro presupposti. Ufo, Antichi Alieni, New Age, occultismo contemporaneo, ecc. pretendono di avere una comprensione migliore, “più profonda” della scienza. Sono figli più o meno legittimi della modernità, non dei residui. 

Che poi ciò che portano con loro sia sensato e privo di angoli oscuri è un’altra questione, sotto certi profili apertissima.

Immagine di apertura da Pixabay