24 Aprile 2024
Giandujotto scettico

La storia di Anna Garbero, “santa” digiunatrice di Racconigi

Giandujotto scettico n. 162 del 18/4/2024, di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Una donna di mezza età, nella provincia sabauda non del tutto tranquilla degli anni della Restaurazione reazionaria post-1815, quella seguita agli anni caotici della Rivoluzione francese e alle guerre di Napoleone mosse a mezza Europa. Una donna modesta, semplice, figlia, insieme ad altri, di un coltivatore di Racconigi. Una donna religiosa sino all’eccesso che, progressivamente, iniziò a mangiare sempre meno sino ad acquisire la fama di mistica, di emula dei santi digiunatori che si maceravano nella solitudine e nelle privazioni. Ecco la vicenda di Anna Garbero, una storia tragica di cui in questa puntata delineiamo i contorni.

Una miracolata e la sua fama

Il 22 settembre del 1827, sul quotidiano torinese Gazzetta Piemontese comparve questo annuncio:

Il fatto stesso che a firmarlo fosse Giuseppe Pomba, il maggior libraio-editore piemontese del tempo, inventore dell’editoria moderna italiana e della prima, vera enciclopedia pubblicata nel nostro paese, la dice lunga sulla sua rilevanza pubblica.

Cenni biografici sovra Anna Garbero, che senza nutrimento di sorta, compiti or sono due anni, vive in Racconigi sua patria è un modesto opuscoletto di 24 pagine stampato nel settembre del 1827 dalla Tipografia Pietro Barbiè di Carmagnola, nel Cuneese.

Prima di presentarvelo, è necessario sapere qualcosa del suo autore e della sua famiglia, perché ci aiutano a capire meglio in quale contesto nacque la fama della digiunatrice soprannaturale, Anna Garbero.

Domenico Emanuele Govean veniva da una famiglia eminente di Racconigi. Fra il Seicento e il Settecento quella cittadina aveva vissuto la sua epoca di massimo splendore. Situata nell’odierno territorio provinciale cuneese ma al confine con quello di Torino, negli anni in cui Anna Garbero fu all’attenzione pubblica veniva da un periodo difficile. Gli anni del dominio francese l’avevano vista decadere, e anche centro di un’insurrezione giacobina repressa nel sangue. Soltanto qualche anno dopo i nostri eventi tornò a una fase più luminosa, in specie da quando, nel 1832, furono avviati i lavori di trasformazione dell’antico castello sabaudo in una residenza moderna e splendida per i monarchi. Da allora in poi e per lungo tempo la fama di Racconigi fu dovuta a quell’edificio e, non ultimo, alla frequente presenza di qualche membro della famiglia reale.

A quanto pare i Govean erano originari del Portogallo. Si sarebbero stabiliti a Racconigi nel Cinquecento. Domenico Emanuele in gioventù era stato un frate dell’ordine dei Servi di Maria, ma aveva lasciato la tonaca per abbracciare ideali democratici e finendo sotto l’occhio vigile della polizia sabauda post-Restaurazione. Ebbe tre figli, uno dei quali, Felice, assumerà fama assai maggiore di lui: diventato giornalista, non solo nel 1848 sarà fondatore e anima della Gazzetta del popolo, per lunghi anni ferocemente anticlericale, ma anche fra i creatori della loggia massonica Ausonia di Torino, nel cui ambito sorgerà il moderno Grande Oriente d’Italia, la maggior obbedienza massonica del nostro paese, della quale sarà anche Gran Maestro. 

D’altro canto, Domenico Govean aveva avuto per padre Giovan Giacomo, che era già stato un “sedizioso”, aveva visto suo fratello Pietro Francesco finire fucilato a Racconigi nel 1797 in occasione dei moti giacobini scoppiati in città, e un altro fratello, Giorgio, riparare in Francia dopo la Restaurazione, e finire la sua vita lì (sui Govean, si veda: Pierangelo Gentile, “Il principe e i rivoluzionari: riflessioni su Carlo Alberto, Racconigi e Barge nel turbine del 1821”, in: AA. VV., Tra penna e spada La grande provincia nei moti piemontesi del 1821, Città di Savigliano – Compagnia Editoriale, Torino, 2022, pp. 115-126). Insomma, una bella genìa di teste calde. Un ambito familiare e ideale che, come vedremo, stride con i toni che Domenico Emanuele Govean userà nel suo opuscolo su Anna Garbero – un’altra circostanza per niente irrilevante, a nostro avviso. 

Nel frattempo, la fama popolare della miracolata di Racconigi dilagava a Torino e anche al di fuori degli altri regni e ducati italiani. Circolavano volantini come quello, stampato a Torino nel 1828, la cui immagine vedete sopra, pieni di stupore e di devozione ingenua, priva di domande. 

 

Domenico Govean, agiografo senza ripensamenti?

Con le premesse di storia personale e familiare che abbiamo visto, da Domenico Govean ci si sarebbe potuti aspettare una presentazione scettica, o quantomeno perplessa, sulla natura del lungo digiuno di Anna Garbero, e una valutazione più sobria della sua biografia.

Se la pensate così, vi aspetta più di una sorpresa. 

Ecco la prima. 

Govean non era un grande scrittore. Il libretto sulla “miracolata”di Racconigi, infatti, si apre con una dedica in stile barocco a un vescovo nativo di quelle parti del Piemonte (più esattamente di Vigone, nel Torinese) e che Govean doveva conoscere, Giovanni Pietro Losana (1793-1873), a quel tempo titolare di diocesi poco più che nominali a Costantinopoli e in Siria. Losana però non era un vescovo come mille altri – e questo forse spiega la simpatia che Govean sembrava provare per lui e il fatto che poneva sotto la sua egida il racconto delle vicende della Garbero. 

Rientrato in Italia, Losana fu a lungo vescovo a Biella, sostenendo gli ideali risorgimentali, contro le posizioni prevalenti nella sua stessa chiesa. Ma c’è di più: durante il Concilio Vaticano I del 1870-71 fu fermo oppositore della proclamazione del dogma dell’infallibilità papale. Un personaggio, insomma, che dal canto suo ci parrebbe non particolarmente incline a innamorarsi della vicenda che Govean si accingeva a raccontare. 

Però, è il resto del lavoro a lasciare qualche perplessità sui pensieri più reconditi di Govean. I toni stucchevolmente devozionali che presenta lo rendono di difficile impiego. Per Govean, infatti, ciò che sta a fondamento della natura soprannaturale che per lui è all’origine del rifiuto del cibo da parte della donna è la sua biografia. È il modo in cui vive e che dal suo punto di vista sono particolarmente specchiati, a porre sotto una luce particolare quello che la donna vive, ed è per questo che alle vicende personali di Anna Govean dedica lunghe e faticose pagine. 

In apertura del libretto,Govean racconta che da Torino doveva recarsi nella sua cittadina d’origine per affari personali, e che quindi ne aveva approfittato per recarsi a casa della Garbero. Era il 2 agosto del 1827. Anna Garbero era una donna qualsiasi, ma dalla personalità del tutto peculiare. Govean fu ammesso alla sua presenza, nella modesta abitazione di campagna dove viveva da sempre con i familiari. Era allettata; riconobbe il visitatore, che evidentemente conosceva; giaceva circondata da coroncine del rosario, da immagini della Madonna e da altri segni devozionali. A Govean diede l’impressione della mistica, “in soavi e santi pensieri rapita”.

La biografia di una povera mistica

Come anticipato, la parte centrale dell’opuscolo di Govean è interamente dedicata ai trentasette anni della vita di Anna. Una descrizione minuta ed esaltata di una vita povera, semplice, senza troppe domande – ma anche il resoconto di una vera e propria crisi personale e delle sue conseguenze sulla vita di quella donna. 

Nata il 13 giugno del 1790 da Stefano Garbero e Cattarina Piasco, Anna aveva altre due sorelle e un fratello. Il padre disponeva di un piccolo podere, e in quel modo riusciva a far mangiare la famiglia e a mettere in opera un piccolo commercio. Stimato da tutti, morì lasciando la famiglia con una discreta eredità, in particolare destinata alla vedova, descritta da Govean come una “di quelle anime che riescono cotanto care al Cielo per nativa innocenza”. Anna crebbe particolarmente docile e ubbidiente, dedita senza posa ai lavori di casa e alla coltura dei bozzoli. Poi, con la prima comunione – cioè a dodici anni – cominciò a mostrare tendenze a un misticismo particolarmente spiccato. 

Ma ecco la svolta e la vera crisi personale. Essendo ormai un’adolescente, era giunta per lei il momento di darla in sposa: siamo in piena età napoleonica, probabilmente intorno all’anno 1804. Anna, tutta volta alla religione, rifiuta ogni tentativo di connubio con qualche giovane dei paesi vicini. Sembra volersi arrendere all’offerta di un ragazzo della vicina Sommariva del Bosco, ma tanto piange e si dispera che il padre rinuncia all’impresa. È a quel punto, scrive Govean, che l’adolescente comincia a mangiare una sola volta al giorno, e anche poco, a vestire in maniera estremamente modesta e a dedicarsi per gran parte del tempo alla preghiera e alle pratiche devote tipiche della spiritualità affermatesi nel cattolicesimo dopo la Controriforma. Per un po’ va a vivere con la sorella maggiore, Maria Barge, rimasta vedova precocemente, ma alla morte della suocera di quella tornano entrambe nella casa avita. Passa ormai parte del tempo da sola, in campagna, pregando e isolandosi, tanto che, riferisce Govean, “alcuni vollero crederla di mente non ben ferma, in concetto di stravaganza e di pazzia il suo vivere tenendo”. Ormai quasi completamente solitaria, in preghiera fra i boschetti che allora circondavano Racconigi, si accompagna soltanto a due amiche “d’illibatissimi costumi che con essa facevano prova nella via della virtù”. 

In questo modo, a quanto pare, Anna trascorre parte considerevole della sua vita. Giunse così all’età di trentacinque anni. Si era ormai ai primi di settembre del 1825, e quel precario, delicatissimo equilibrio stava per infrangersi. Subentrò una febbricola, si mise a letto e, stando a quanto si asseriva, avrebbe smesso di prendere cibo e, fra l’aprile e il novembre del 1826, non avrebbe proferito parola. Quando riprese a parlare, dichiarò dal letto che Dio le aveva dato il permesso di aprir bocca.  

Questo genere di anoresia, argomentava Govean, contrariamente a quanto altri sospettavano, doveva ritenersi di tipo miracoloso: menzionando letteratura antica, storie di anacoreti, la Scrittura e trattati settecenteschi di medicina, faceva notare che, sì, la scienza annoverava anoressie naturali e simulate, ma, nel caso della donna di Racconigi nessuno poteva dubitare che da lungo tempo avesse più preso cibi in qualsiasi forma. Ne era certissimo: nessuno l’aveva mai vista mangiare! Sebbene fosse “quasi incadaverita” per lui era una privilegiata: aveva scelto di guardare solo a Dio, e Dio l’aveva scelta e accolta. La mente di Anna, peraltro, ad avviso di Govean era perfettamente lucida.

Attraverso Domenico Govean, insomma, ci giunge una lettura “religiosa” di un comportamento e di una condizione. Una lettura interamente tributaria di un clima culturale, di un tempo, di luoghi e di correnti confessionali specifiche. Il fatto che una giovane muoia di inedia e di malattia, pregando, almeno in apparenza gli pare rientrare senza grosse difficoltà nell’ordine delle cose. 

Se scriviamo “almeno in apparenza” è perché – pur senza avere alcuna prova, sia chiaro – verrebbe quasi da sospettare che Govean, sorvegliato e con un passato da sovversivo, per raccontare quella vicenda che l’aveva con ogni evidenza tanto colpito e che riguardava una sua concittadina, della quale doveva aver anche conoscenza personale, aveva preferito rivestirla interamente dei panni della sola versione della religione al tempo dotata di privilegi nel regno sabaudo. Quella cattolica romana.

L’autopsia: un altro sguardo impietoso su Anna

Qualche mese dopo l’incontro con Govean, Anna Garbero, com’era prevedibile, morì. Tale era la sua fama, che il maggior anatomista italiano del tempo, il torinese Luigi Rolando  (1773-1831) sottopose il povero corpo della donna ad autopsia insieme a un altro medico, Luigi Gallo (1801-1857), e constatò i gravi problemi intestinali di cui soffriva la Garbero, in particolare al colon trasverso, con restringimento del lume, diverticolosi e altri guai che potevano provocare disfagia, cioè difficoltà di deglutizione. Il loro verdetto era netto, anche se, oggi, dal punto di vista medico, sarebbe stato supportato da ben altre indagini strumentali e analitiche: la donna si era via via nutrita di meno, e, come prevedibile, alla fine era morta d’inedia. Parecchi altri casi simili, anche privi di connotazione “religiosa” erano noti nel passato. Nel 1828 i due luminari misero nero su bianco le loro considerazioni in un libretto di 48 pagine, Necroscopia di Anna Garbero, opera stampata dalla Tipografia Pietro Giuseppe Pic di Torino e completata da impietose tavole anatomiche. 

Per qualche tempo la triste vicenda di Anna Garbero fu oggetto di dibattito fra i medici: alcuni, pur riconoscendo la natura complessiva della morte della donna – un lungo periodo di anoressia in una persona caratterizzata da una religiosità spinta all’estremo e dal quasi totale isolamento sociale – si affannarono a discutere sulle caratteristiche delle patologie riscontrate. Nel 1829, sulla Rivista letteraria dei libri che si stamparono in Torino negli anni 1827 e 1828 si spiegava che un altro medico importante, Giorgio Ricci, dal 1821 responsabile di una rivista di rilievo come il Repertorio medico-chirurgico del Piemonte, pur lodando l’indagine di Rolando e Gallo dubitava che, da sole, le lesioni anatomiche riscontrate potessero render conto di quel lungo comportamento di disgusto per il cibo.  

Oggi possiamo trovare una sintesi interessante del dibattito sorto intorno al corpo di Anna Garbero e al suo comportamento in un volume dello storico Silvano Montaldo (Medici e società. Bartolomeo Sella nel Piemonte dell’Ottocento, Carocci, 1998, pp. 214-216). Il professor Montaldo ha lavorato spesso intorno alla storia della medicina ottocentesca in Piemonte, in specie intorno ai suoi addentellati antropologici. Direttore del Museo Lombroso di Torino, dalla sua ricognizione risulta chiaro che tutti coloro che si occuparono della vicenda di Anna Garbero in vita e in morte, non potevano in alcun modo dominare i concetti che molto più tardi condussero all’identificazione dell’anoressia nervosa. Vale anche per Domenico Sella (1776-1861), la cui personalità Montaldo ha studiato, e che nel 1828 produsse anche lui una lunga Memoria ragionata  e, non ultimo, della sua comorbilità, cioè della sua associazione frequente con altri disturbi psichiatrici, ad esempio con il disturbo ossessivo-compulsivo. Nella “bibbia” dei disturbi mentali, il DSM, è stato introdotto come categoria a sé stante nel 1968.   

A distanza di duecento anni, affermare con certezza a che cosa potevano essere ricondotti i comportamenti e il lungo rifiuto del cibo ostentato da Anna Garbero sarebbe inutile. La letteratura antropologica sulla questione e sulla sua rilevanza per la storia della psicologia della religione è talmente vasta da non richiedere citazioni. Verrebbe quasi voglia di dire che, per fortuna e per quanto ne sappiamo, intorno a questa vicenda – per quanto gli storici della società e della medicina ne abbiano mantenuta viva la memoria – non si sviluppò un culto, e che nemmeno vi furono tentativi di trasferirla nell’empireo delle santificazioni e nelle beghe della ricerca delle “prove” dell’intervento del soprannaturale

Quel che ci resta di Anna – purtroppo, come in tante altre occasioni – a fronte dell’insolito, del “misterioso” e dei fatti che appaiono scarsamente riconducibili alla norma, sono le voci degli uomini colti, autorevoli e sicuri di sé, che intorno al suo giaciglio, in vita e in morte, si affollarono. 

Foto di.jclk8888 da Pixabay.