Atlantide tra i nuraghi
di Rubens D’Oriano. Articolo tratto da Query 56.
Nei primi vent’anni di questo millennio abbiamo assistito a uno straordinario incremento delle conquiste scientifiche e, in parallelismo solo apparentemente paradossale, a un’altrettanto straordinaria diffusione della pseudoscienza, dalla quale ormai non si salva nessun ramo dello scibile. Uno dei settori nei quali più imperversano fantasie e falsi miti è l’archeologia, dagli alieni che avrebbero inseminato culturalmente, e addirittura geneticamente, le prime comunità umane, all’evergreen Atlantide, passando per le pietre di Ica raffiguranti uomini in lotta con dinosauri e la profezia maya sulla fine dei tempi il 21.12.2012 e via fantasticando: e sfruttando, anche economicamente, la crescente credulità del pubblico. In Italia, in particolare, la regione dove la fantarcheologia assume aspetti di indubbio eccesso è la Sardegna, soprattutto riguardo alla civiltà nuragica, sulla quale perciò è utile spendere qualche parola.
Una civiltà antica, affascinante e reale
Tra il 1600 e il 1100 a. C. circa, la Sardegna si popola di molte migliaia di sbalorditive realizzazioni architettoniche: anzitutto i nuraghi, torri troncoconiche alte in origine fino a 20 metri e più, con scala interna a spirale e camere che si sovrappongono fino al numero di tre, e le cosiddette “tombe di giganti” (così definite dalla tradizione popolare), imponenti sepolture collettive monumentali; senza trascurare i pozzi sacri, sistemazioni architettoniche cultuali di fonti d’acqua perenni spesso realizzate in blocchi perfettamente squadrati con stupefacente precisione millimetrica, e altri imponenti luoghi sacri come i cosiddetti “templi a megaron”.
A porre in posizione di primato la civiltà nuragica nel settore occidentale del mondo euro-afro-mediterraneo concorrono anche da un lato una produzione metallurgica sovrabbondante e tecnologicamente mirabile di armi, strumenti, ornamenti e figurine umane, animali e di imbarcazioni (i noti “bronzetti”), e dall’altro la vastità dei contatti commerciali, e quindi culturali, che la Sardegna del tempo intratteneva direttamente, dalle sponde del Vicino Oriente a quelle dell’Atlantico, dal Nord Africa al settentrione della penisola italiana e forse fino al cuore dell’Europa continentale. Un cenno a parte merita, infine, il complesso scultoreo della necropoli di Mont’e Prama, con decine di statue in pietra di guerrieri che richiamano molto da vicino l’iconografia dei citati bronzetti, anche in questo caso un assoluto primato nel settore occidentale del Mediterraneo, poiché in tale ambito rappresentano la prima attestazione di statuaria a grandezza naturale.
Ma per la fantarcheologia sarda ciò evidentemente non è abbastanza, e la civiltà nuragica deve cumulare record su record a scapito di ogni credibilità scientifica. Dare conto di tutte le fantasie è impossibile in poche pagine, pertanto riassumeremo quelle che vanno per la maggiore e ne citeremo poche altre in ordine sparso, per dedicare qualche parola in più ai motivi del grande favore che tutto ciò riscuote presso una fetta dell’opinione pubblica isolana, certo non maggioritaria ma sempre più consistente.
Dal mito di Atlantide ai nuraghi “alfabetici”
In ogni ambito fantarcheologico che si rispetti non può mancare l’intramontabile Atlantide. Gli studiosi di antichistica concordano da lungo tempo che si tratti di un’invenzione a fini retorici di Platone, a cominciare dallo stesso Aristotele, il suo più brillante allievo, che quindi ben conosceva il pensiero del maestro, il quale così si espresse: «L’uomo che l’ha sognata l’ha anche fatta scomparire». Ma secondo i fantarcheologi Atlantide sarebbe la Sardegna della fase nuragica, e la prova regina di questo sarebbe il fango marino di uno tsunami, identificato nel cataclisma che nel racconto platonico fece inabissare la mitica isola, seppellendo gli insediamenti della sua parte meridionale.
Molte sono le evidenze contrarie ed ecco alcune delle principali: la presenza sotto il preteso fango marino di materiali ben posteriori, cioè di età punica e romana; la totale assenza di scheletri che in quegli insediamenti dovrebbero comparire per ogni dove, come i cadaveri a Pompei, e che invece riposano tutti nelle relative tombe monumentali; l’assenza di tsunami in Sardegna nella carta di questi eventi degli ultimi 8000 anni redatta dall’INGV, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia; il totale silenzio su Atlantide nelle fonti letterarie precedenti a Platone; i 9000 anni ai quali la fantasia di Platone fa risalire la vicenda.
Un altro cavallo di battaglia della fantarcheologia sarda è l’inesistente scrittura nuragica, che non solo viene “letta” anche su reperti di età romana e persino altomedievale come la cosiddetta “tavola di Tzricotu” – che in realtà si confronta molto bene con puntali di cintura del VII-VIII secolo d.C. come quelli della necropoli longobarda di Castel Trosino – ma viene letta persino sui bronzetti, nei quali una mano sarebbe una lettera, il copricapo un’altra e così via, e addirittura nei nuraghi, nei quali la sagoma troncoconica sarebbe una lettera, la scala una seconda, il terrazzo una terza, e così via. È lampante che con questo “metodo” si può leggere ciò che si vuole su qualsiasi edificio o oggetto di artigianato artistico di qualsiasi epoca e civiltà.
I problematici Shardana
Più complesso è il caso degli Shardana. Attorno al 1200 a. C. vari potentati che si affacciano sul Mar Egeo, ovvero i regni micenei, l’impero ittita, il regno di Cipro, i piccoli regni di Canaan, Ugarit e le città protofenicie, entrano in una fase di forte destabilizzazione di cui approfittano gruppi di avventurieri predoni, i cosiddetti “Popoli del Mare”, che ne razziano, spesso con successo, svariati centri costieri, così contribuendo al crollo di alcuni di quei poteri statali, a eccezione delle città fenicie (Tiro e Biblo) e parzialmente di Cipro e di alcuni siti cananei. Le fonti scritte dell’epoca, soprattutto egizie, tramandano i nomi di questi gruppi e tra essi quello degli Shardana, che furono i soli a intrattenere relazioni alterne con l’Egitto, a volte scatenandosi invano contro di esso e a volte testimoniati anche come annessi alle forze armate dei faraoni.
La critica dibatte da tempo sull’identificazione e la provenienza geografica di ogni singolo gruppo dei Popoli del Mare. Un certo consenso si registra sui Libu = Libici, Lukka = Lici, Akawaša = Achei, Danuna = Danai e Peleset = Filistei (di origine balcanica da analisi del DNA), ma sugli altri si confrontano ipotesi su un’origine dalla parte occidentale del mondo euro-afro-mediterraneo, circa la quale i Turša sarebbero italici, gli Šekeleš i Siculi e gli Shardana i Nuragici. Non esistono ancora evidenze che accertino senza ombra di dubbio tale identificazione, e va ricordato che, mentre ceramiche nuragiche rinvenute a Ugarit, Cipro, Creta e Tirinto assicurano la presenza in quei luoghi di elementi umani arrivati dalla Sardegna come agenti di commercio, nulla di nuragico è noto finora in Egitto ed è fallito anche il recente tentativo di attribuire agli Shardana il sito archeologico di El-Ahwat in Israele, anch’esso privo di evidenze in tal senso.
Niente vieta che un domani si accerti l’identità degli Shardana con i Nuragici, su ciò nessuna preclusione o preconcetto, ma quello che è metodologicamente vietato è stravolgere i termini della questione come fa la fantarcheologia sarda. Alcuni attribuiscono ai soli Shardana, identificati nei Nuragici senza i “se” e senza i “ma” del mondo scientifico, il crollo delle compagini statali orientali e la loro conquista e dominio. In realtà il crollo si deve a varie altre concause, tra le quali certo anche gli attacchi, però di tutti i Popoli del Mare e non solo degli Shardana, mentre la conquista e il dominio non sono mai avvenuti perché nelle compagini politiche che emergono da questa fase di riassetto di potere sulle coste dell’Egeo non c’è alcuna traccia di Shardana: predoni e razziatori sì, conquistatori e dominatori no.
Da qui prende le mosse l’ancor più fantasiosa conquista e dominio da parte dei Nuragici-Shardana dell’intero mondo antico euro-afro-mediterraneo. Dapprima si scinde il nome Shardana in Shar-Dan, mentre nulla lo autorizza in base all’intera documentazione nota, poi altrettanto immotivatamente lo si traduce in “Tribù di Dan”; infine, approfittando del fatto che le due “a” della parola Shardana sono aggiunte eufoniche moderne per pronunciare un nome che le fonti tramandano come Shrd, senza vocali, si va a ricercare la sequenza -dn- con qualsiasi vocale intermedia, e ovunque essa si trovi: diventano così di origine shardana la Denmark (Danimarca), la Skandinavien, il fiume Don, Londonderry, eccetera: tutte aree nelle quali non è stato rinvenuto assolutamente nulla di nuragico. Con questa linguistica fai-da-te potrebbero così diventare shardana le città di Handan in Cina e Mandan negli Stati Uniti. E d’altronde perché no, dato che chi la propone vede nuraghi anche in Oman, Albania e persino sull’Isola di Pasqua?
Mater, magistra et domina
Ma non basta. Non solo i Nuragici devono essere i conquistatori e dominatori dell’intero mondo antico e oltre, ma la Sardegna deve addirittura essere la culla di tutte le conquiste dell’umanità, dalla scrittura (c’è chi parla di alfabeto sardo vecchio di 7000 anni, “leggendo” lettere su qualsiasi incisione anche solo verticale o puntiforme presente su oggetti posteriori di molti millenni) alla navigazione, dalla metallurgia all’agricoltura all’astronomia, come si può leggere nella propaganda di testi a stampa (esempio: in Sardegna «vengono dati per la prima volta i nomi alle costellazioni […]al bronzo, ai luoghi e alle prime forme sociali legate all’allevamento e all’agricoltura […] viene determinato il destino degli uomini e delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo antico») e nei social (esempio: «La Antica Civiltà Sarda ha insegnato tutte le conoscenze a etruschi, romani e a tutto il mondo»).
Un altro esempio di fantasia è l’esistenza sotto le numerose colline coniche della Sardegna, del tutto naturali, di altrettante piramidi vecchie almeno di 20.000 anni, quando cioè il resto della specie umana abitava ancora nelle caverne o in semplicissime capanne. Altre affermazioni però rivestono carattere di particolare gravità per chi ingenuamente vi presta fede: c’è infatti chi invita persone affette da varie patologie a curarsi sdraiandosi presso le tombe di giganti, perché ricche di misteriose energie terapeutiche: un’idea che prende le mosse dai cosiddetti reticoli di energia di Hartmann, una serie di linee di energia magnetica che attraverserebbero l’intero pianeta ma la cui esistenza non solo non è provata da alcunché, ma è contraria alle più elementari nozioni di geologia e fisica. Restando in ambito di arcane energie, alcuni pozzi sacri sono ormai luogo di pellegrinaggio neopagano, tra chi fa abluzioni, chi prega, chi depone offerte, chi promuove eventi new age di recupero dei “registri akashici” (memorie delle precedenti reincarnazioni), e si moltiplicano altri rituali di tipo sciamanico presso anche altri monumenti preistorici della Sardegna.
Tornando alla Sardegna mater, magistra et domina dell’intero mondo antico, un ricco filone è anche quello delle paretimologie, ovvero etimologie formulate per semplici assonanze senza adottare il rigoroso metodo della materia. Partendo dal ribaltamento per cui non sarebbero i dialetti sardi a derivare dal latino ma il contrario, e quindi contraddicendo secoli di consolidate ricerche, si pubblica un’opera dal titolo Roma colonia sarda mentre altri identificano i primi abitanti dell’Urbe con gli Shardana, malgrado non esista alcun riferimento alla Sardegna e ai suoi abitanti nelle numerose fonti letterarie sulla fondazione di Roma e nulla di nuragico sia stato rinvenuto nel Palatino e nel Foro.
E ancora: si propone la derivazione del nome di Atene dal cognome, tipicamente sardo, Atzori, mentre quello della greca Neapolis (Nea polis = città nuova, ovvero Napoli) starebbe per “nuova Pula” (Pula è il comune moderno nel cui territorio si trova il centro fenicio, poi punico e romano, di Nora), e i nomi dei sovrani Hyksos, che regnarono sull’Egitto tra 1650 e 1550, corrisponderebbero ad altrettanti patronimici isolani. E via così, nonostante anche in questi casi non esista nessuna correlazione storica, archeologica, linguistica eccetera che possa supportare tali affermazioni.
La glorificazione della civiltà nuragica oltre ogni limite non può tollerare che essa, così come non ha lasciato tracce di autonoma scrittura, non sia giunta alla fase urbana, e quindi le città di origine fenicia della Sardegna (S. Antioco, Nora, Tharros, Cagliari, Olbia, Bithia eccetera) sarebbero shardana perché i Fenici non esistono in quanto anch’essi erano, appunto, Shardana. Ed è molto grave che il libro I Fenici non sono mai esistiti fosse acquistabile con il buono 18app o la Carta del docente, agevolazioni per studenti e insegnanti finanziate dallo Stato.
Non stupisce, infine, che la Sardegna sia la patria anche dei giganti, le cui ossa si ritroverebbero nell’agro del comune di Pauli Arbarei, e persino di Babbo Natale: ennesime fantasie sulle quali glissiamo, come su molte altre, per non annoiare ulteriormente il lettore.
Dall’identità alla “razza”
Giunti a questo punto, infatti, appare più utile riflettere sui motivi del crescente favore che riscuote il fenomeno: per fare solo un esempio, la pagina Facebook che propone la scrittura sarda di 7000 anni fa e le centinaia di piramidi sotto le colline vanta ben 20.000 seguaci, tutti plaudenti.
I motivi del successo che la pseudoscienza incontra sono molteplici e non è questa la sede per discuterli. Per quanto attiene alla fantarcheologia sarda, un motivo di gran successo tutto isolano è l’individuazione della civiltà nuragica quale unica componente dell’identità culturale dei sardi odierni, che induce a una totale identificazione con quel popolo, fino al punto di usare la prima persona plurale quando se ne parla («noi», «eravamo», «costruivamo»…); un atteggiamento da cui consegue il rifiuto delle successive fasi culturali (fenicia, punica, greca, romana, vandala, bizantina, eccetera) come aliene, nemiche, inquinanti e fonti di impurezza. Come se 2700 anni di altra e alta cultura fossero passati invano senza tracce; come se chiunque viva oggi in Sardegna, come nel resto del mondo, non fosse l’esito culturale e antropologico di tutte le fasi storico-culturali avvicendatesi sulla stessa terra; come se ciò non debba essere ragione di orgoglio invece che di rifiuto; come se non fosse evidente che, se si potesse tradurre in percentuali matematiche la quantità di eredità culturale derivante dalle varie fasi storiche, quella delle più recenti sarebbe più cospicua e più flebile quella delle più antiche man o a mano che si precipita all’indietro nell’abisso del tempo; come se gli esseri umani vivessero in un eterno presente, o passato, invece di mutare incessantemente in ogni momento del tempo.
L’antropologia culturale e le neuroscienze nutrono molti e fondati dubbi verso le identità forti come sono comunemente intese, sia quella di un singolo, sia quella culturale di un intero popolo: una trappola ideologica, quest’ultima, storicamente sfociata, in casi estremi, in tragici nazionalismi.
Ma anche ammettendo che esista un’identità culturale di quel tipo, cosa mai resta di nuragico nei sardi di oggi? Sperando che si convenga sul fatto che l’identità culturale di un popolo si componga anzitutto di valori, ideali, visioni del mondo, princìpi etici e così via, e che essa non si possa ridurre a poche manifestazioni esteriori come qualche pietanza, ballo o strumento musicale, quali sono i valori e ideali nuragici sopravvissuti?
Non abbiamo né letteratura né iscrizioni nuragiche e perciò di quel popolo ignoriamo le caratteristiche in cui rintracciare affinità con noi. Ignoriamo quasi tutto persino della religione; conosciamo luoghi di culto ed ex voto, ma quasi null’altro, a cominciare dalla mitologia e proseguendo con le divinità e le prescrizioni di vita e comportamento che avrebbero imposto. Chi tra i sardi è religioso sarà probabilmente cattolico e fonderà i propri valori su quel credo, e chi è laico li baserà sul pensiero scientifico e illuminista o su ideologie come liberismo, socialismo e simili: che cosa ha a che fare tutto ciò con i Nuragici di 3000 anni fa?
Stante questa fallace identificazione diretta di una quota di sardi con i Nuragici, è inevitabile che qualsiasi proposta attribuisca ai secondi imprese sempre più incredibili riscuoterà sempre più credito presso i primi, fino all’incoerenza che porta a esaltare “noi” Nuragici quali conquistatori e dominatori del mondo antico anche da parte di chi magari partecipa a marce della pace. Proiettare sul lontano passato la nostra etica è un colossale errore di metodo storico, ma se lo si fa, ci si aspetterebbe almeno un po’ di coerenza.
E ormai si affacciano cenni alla purezza della razza, dallo sbandierare come un vanto la minore variabilità genetica dei sardi rispetto agli altri italiani a chi sui social si accredita come «Shardana, vero, con DNA verificato». Di questo passo c’è il rischio del comporsi di un quadro piuttosto inquietante: i sardi di oggi sono i discendenti diretti e incontaminati culturalmente (e geneticamente) di un popolo superiore a tutti, conquistatore e dominatore del mondo, inventore di tutto lo scibile umano antico. Al lettore avveduto non sfuggirà un allarmante parallelismo.
Cui prodest?
L’onda del favore verso queste falsità è cavalcata dai media isolani, i quali rilanciano acriticamente qualsiasi fantasia, pur se proveniente da dilettanti senza alcun titolo e curriculum attinenti alla materia che trattano e anche quando l’enormità è tale da non necessitare di alcuna verifica. Altrettanta spregiudicatezza mostra la politica, dal livello comunale a quello della stessa amministrazione regionale, concedendo loghi, spazi, patrocinio e, in alcuni casi, anche fondi pubblici, a iniziative che di scientifico hanno poco o nulla, ma sono utili per raccogliere facile consenso: giustificandosi a volte con l’intento di incrementare i flussi turistici, come se fosse accettabile ingannare i visitatori con teorie senza fondamento.
Per esempio, una quindicina di anni fa fortunatamente non andò in porto la proposta di istituire un organismo di studio “Sardegna Atlantide” con fondi pari a 10 milioni di euro, nel cui preambolo si dichiarava apertamente che la leggenda avrebbe attirato i turisti; purtroppo in seguito passò in sordina il finanziamento di una mostra sempre sullo stesso argomento.
Ma anche ragionando in termini solo commerciali, dato che il mitico continente è stato individuato in più di cento luoghi diversi, dai Poli all’equatore, siamo certi che svendere l’unica isola degli unici nuraghi sulla bancarella delle cento banali Atlantidi pagherebbe in termini di flussi turistici? Non è certo necessario ricorrere alle favole per incrementare il turismo culturale quando si dispone, come in Sardegna, di architetture e materiali strabilianti come le statue di Mont’e Prama, su cui si possono costruire narrazioni che prevedano sì anche accorgimenti spettacolari, da concordare però in sinergia tra esperti in comunicazione e archeologi che tengano la barra dritta sulla correttezza scientifica.
Lo slogan istituzionale di un paio d’anni fa per la promozione turistica della Sardegna la definiva con evidente orgoglio «Terra di eroi e giganti, di nuraghi, di centenari e bellezza, di conquistatori e dominatori». “Conquistatori e dominatori” abbiamo visto che non è attendibile e menarne vanto non pare né coerente né eticamente commendevole per un popolo la cui costituzione ripudia la guerra. E anche occasioni di per sé condivisibili vengono declinate all’insegna della smodatezza.
Per circa un biennio è stata in campo la candidatura di 10.000 monumenti nuragici a Beni Patrimonio dell’Umanità-UNESCO, alla quale hanno aderito quasi tutte le amministrazioni comunali, quella regionale e molti altri organismi pubblici. Anzitutto quei monumenti archeologici nella stragrande maggioranza dei casi non hanno i requisiti minimi per essere candidati perché non sono in proprietà pubbliche e neppure scavati e restaurati. Inoltre, va ricordato che i Beni Patrimonio dell’Umanità-UNESCO di tipo culturale dell’intero pianeta ammontano a soli 933, perciò candidarne dieci volte tanti non può che definirsi smodatezza. Che si trattasse di un approccio all’insegna dell’eccesso è ora confermato dal crollo del numero dei monumenti candidati, scesi alla ben più ragionevole cifra di 32.
Ultimo esempio è la proposta di legge regionale, avanzata pochi mesi or sono, per insegnare nelle scuole solo la civiltà nuragica. Anche in questo caso si è poi scesi a più miti consigli, ammettendo l’insegnamento di tutta la storia, ma pur sempre con particolare approfondimento della sola civiltà nuragica in quanto, al solito, unico fondamento identitario dei sardi.
In Sardegna esiste da molto tempo un condivisibilissimo sentire e agire ideologico sardista, che giustamente rivendica migliori condizioni di vita per l’isola: per fare un solo esempio, è recente la notizia che le nuove tariffe aree prevedono, per chi volesse visitare l’isola dal resto d’Italia, lo stesso prezzo di 500 euro di un volo Roma-New York, uno scandalo che sta interessando gli organismi antitrust italiani ed europei.
Ben si sa che ogni ideologia, a prescindere dall’ambito più o meno ampio nel quale interviene, tenta di accreditarsi ulteriormente cercando giustificazioni e antecedenti nel passato, spesso manipolandolo ad hoc, ma a ben vedere questa ricerca di accreditamento nel passato è in realtà un boomerang: se le motivazioni ideologiche sono forti e corrette, andare a caccia di legittimazione in secoli lontani rischia solo di tradire insicurezza e debolezza.
Se i sardi desiderano il progresso, invece di contare sul rispetto derivante dai record, attendibili o meno, raggiunti da chi popolava in un lontanissimo passato la loro terra, dovrebbero curare che gli amministratori pubblici da loro eletti sappiano sia procacciare e spendere finanziamenti (storicamente siamo una delle peggiori regioni per capacità di acquisizione e spendita di fondi europei), sia impiegarli al meglio. Puntare sul patrimonio archeologico in termini di crescita anche economica certo si deve, ma sempre nella correttezza della narrazione che si porge, ancorché in modi e forme accattivanti, e ciò per il rispetto dovuto a tutti: ai Nuragici, ai sardi di oggi e ai visitatori della loro isola.