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L’indicatore di Myers-Briggs è utile per definire la personalità?

Popolarissimo nel web ma anche in contesti professionali, il test di personalità basato sull’indicatore di Myers-Briggs (noto con l’acronimo MBTI) presenta, però, dei grossi limiti sul piano del rigore scientifico

Una breve sigla, quattro lettere, in diverse combinazioni: INTJ, ENFP, ISTJ… le possibilità sono 16 e sembrano onnipresenti. Popolarissime sui profili dei social network, sono, però, ricorrenti anche in contesti professionali, come lavoro e istruzione. Ma che cosa rappresenta quello che appare come uno strano codice, usato e compreso da molti, che sembra fare riferimento alla personalità e alle sue caratteristiche?

L’indicatore di Myers-Briggs

Queste strane sigle si riferiscono al cosiddetto “indicatore di personalità di Myers-Briggs”, conosciuto anche con l’acronimo MBTI, da Myers-Briggs Type Indicator, una notissima proposta di classificazione dei tipi umani in 16 personalità, attuata mediante la somministrazione del test omonimo. Le sigle sono composte dalle quattro iniziali di altrettante parole, che derivano da quattro coppie di caratteristiche considerate tra loro contrapposte. Si parla quindi di E, da extraversion, ovvero, “estroversione”, e I, da introversion, cioè “introversione”, intendendo con questa coppia di caratteristiche l’ “orientamento dell’energia”, vale a dire il fatto di privilegiare il mondo esterno o quello interno. Poi c’è S, da sensitivity (“sensitività”) e N, intuition (“intuizione”, l’iniziale viene scelta dalla pronuncia della lettera N in inglese, per non sovrapporsi con quella di “introversion”), che fanno riferimento alla modalità di raccolta di informazioni. Quindi c’è T (da thinking, “ragionamento”) e F (da feeling, “sentimento”), che riguardano il processo decisionale e, infine, J (judgment, “giudizio”) e P (perception, “percezione”), ovvero il modo d’azione.

Le diverse combinazioni possibili generano 16 diversi tipi di personalità, indicati con la corrispondente sigla oppure anche con un nome suggestivo, come “architetto”, “dibattente”, “mediatore” e così via.

L’ideazione del MBTI si deve a due scrittrici statunitensi, Katharine Cook Briggs e sua figlia Isabel Briggs Myers, che si ispirarono al libro Tipi psicologici dello psicanalista svizzero Carl Gustav Jung, tradotto in inglese nel 1923. Nessuna delle due autrici aveva seguito un corso di studi formale in psicologia, materia che avevano approfondito da autodidatte. Tra i primi scopi che si proposero con l’elaborazione del loro indicatore di personalità, vi era quello di aiutare le donne che cominciavano ad affacciarsi al mondo del lavoro a trovare il settore professionale più adatto alla singola persona. In seguito, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, anche grazie al sostegno di note personalità nel campo dell’istruzione e della psicologia, l’MBTI ha iniziato a godere di una crescente popolarità e di una buona reputazione, che dura anche ai giorni nostri. In tutto il mondo ancor oggi il test dell’MBTI viene somministrato a moltissime persone, nei contesti più svariati. È alla base di percorsi di orientamento e di sostegno psicologico rivolti agli studenti delle scuole e delle università o in contesti formativi di diverso tipo, ed è usato dai professionisti nella valutazione delle risorse umane aziendali per la selezione di personale adatto a ricoprire diverse mansioni. Questo consente all’azienda che lo produce di percepire annualmente introiti di tutto rispetto. L’indicatore è anche adoperato – in curriculum, siti web, pagine social – come strumento di autopromozione, per lasciar intendere quali siano le doti “scientificamente fondate” che si possono riconoscere alla persona che si presenta, rappresentate dalle quattro lettere, sintetiche ed efficaci al tempo stesso.

I problemi sul piano psicometrico

Una simile popolarità potrebbe far pensare a uno strumento esente da critiche o, almeno, da forti limiti, ma si tratterebbe di una conclusione decisamente fragile. L’indicatore di Myers-Briggs è, infatti, ritenuto uno strumento di scarsa utilità proprio da parte degli esperti di psicometria, ovvero quel settore della psicologia che si occupa della teoria e della tecnica della misura in questo campo, che comprende anche gli strumenti che valutano e misurano aspetti della personalità.

Di questo avviso è, infatti, Andrea Fossati, professore ordinario e preside della facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed esperto di psicometria noto a livello internazionale. «Pur essendo molto diffuso e popolare, – ci ha detto – l’indicatore di Myers-Briggs non soddisfa i criteri psicometrici attuali e non risponde agli standard che emergono dalla ricerca scientifica e dalle più recenti revisioni degli studi. La stessa storia dell’indicatore ha alcuni elementi che lasciano chiaramente perplessi. Per esempio, l’iniziale validazione attuata dalle autrici attraverso la somministrazione del test a un ristretto gruppo di persone che conoscevano bene, i cui esiti coincidevano con i profili attesi, sembra rivelare caratteristiche di circolarità e autoreferenzialità. Il test ha aspetti che lo rendono piuttosto attraente per il grande pubblico, per esempio perché propone descrizioni suggestive dei tipi di personalità, nelle quali è facile rivedersi, ma senza che questo implichi un’aderenza tra questi tratti di personalità e le caratteristiche effettive della persona che si sottopone al test. Un aspetto piuttosto singolare è il fatto che il test preveda anche che chi vi si sottopone dichiari se è d’accordo o meno con l’esito ricevuto. Si tratta di una pratica difficile da giustificare sul piano psicometrico, ma che favorisce nel soggetto l’identificazione con il risultato ottenuto, alimentando un circolo autoconfermativo».

In particolar modo, sul piano della psicometria, non sono presenti prove a sostegno della cosiddetta “validità”, cioè il fatto che il test misuri effettivamente quello che vuole misurare e che quanto rilevato corrisponda a un’accurata descrizione della realtà. Una lacuna su questo aspetto è considerata particolarmente rilevante sul piano psicometrico, proprio perché non ha senso affidarsi a uno strumento che non sappiamo se riesca a individuare e misurare davvero quanto promesso. Per fare qualche esempio semplice ma calzante, nessuno penserebbe di affidarsi, per una misurazione, a un metro di plastica che, rimasto vicino a una fonte di calore, si sia deformato nella lunghezza e nella forma, perché non si potrebbe avere una ragionevole certezza del valore misurato. Allo stesso modo, affidarsi a un test pseudoscientifico per le intolleranze alimentari (quelli, per capirci, che sostengono di poter valutare la risposta a centinaia di alimenti), sebbene in un contesto apparentemente serio e professionale, come un laboratorio di analisi o uno studio medico, può fornire solo risposte inattendibili perché non ci sono prove scientifiche a sostegno della capacità dichiarata di misurare questi aspetti.

Idee sbagliate su test e personalità

Un’idea molto “romantica” ma assai poco fondata relativamente ai test di personalità è quella che consentirebbero, a partire da una serie di domande con diversi gradi di genericità o ermeticità, di guardare dentro sé stessi in modo sorprendente, scoprendo aspetti insospettati della propria psiche. Attraverso questo “accendersi di un faro” sulla propria reale natura sarebbe possibile fare scelte appropriate nella vita personale o professionale. Ma, come sottolineano gli esperti, lo scopo di un test di personalità non è “sorprendere”, rivelando aspetti sconosciuti al soggetto che vi si sottopone, ma fornire una misurazione precisa delle caratteristiche fondamentali del suo funzionamento individuale, che necessitano di una lettura da parte di uno psicologo professionista.

Sottolinea Andrea Fossati: «Il più importante limite che grava sull’indicatore di Myers-Briggs è il fatto che non collima con le conoscenze solide e ampiamente condivise che la ricerca scientifica ha permesso di appurare. Sebbene diversi aspetti dello studio della personalità siano ancora oggetto di dibattito, alcuni assunti sono ritenuti certi e tra questi il fatto che gli esseri umani non possano essere fatti rientrare in tipologie, perché i tratti che definiscono la personalità non variano secondo dei tipi ma secondo l’intensità. Si tratta di un dato ritenuto molto solido sulla base degli studi scientifici in nostro possesso. Quando cerchiamo di definire qualsiasi cosa, compresa la personalità, viene spontaneo farlo attraverso categorie, ma, in realtà, tutte le caratteristiche che possiamo descrivere sono distribuite, in natura, in un continuum, che segue una classica curva gaussiana, ovvero a campana, senza cesure che possano determinare una divisione in tipi. Nel corso di ogni processo di valutazione della personalità si cerca di misurare l’intensità di ciascun aspetto, senza poter individuare nessun tipo. Avviene così anche quando si valutano aspetti disfunzionali, per esempio nelle patologie psichiatriche. Un aspetto paradossale è il fatto che, mentre il test MBTI è stato quasi completamente abbandonato nella ricerca scientifica perché queste criticità rendono difficile riconoscere allo strumento una qualche utilità, la sua popolarità non è diminuita, così come il suo utilizzo anche da parte di chi deve prendere decisioni con un diretto impatto sulla vita delle persone, come nelle istituzioni educative (per esempio, nel reclutamento universitario) o nella selezione del personale. Questo mette in evidenza un pericoloso scollamento tra il dato scientifico e importanti decisioni prese nella quotidianità anche da parte di istituzioni autorevoli». Peraltro alternative molto più fondate sono già a disposizione. Continua Fossati: «Oggi, per esempio, la psicometria dispone di modelli molto più funzionali e utili per la valutazione della personalità, come il cosiddetto Five Factor Model o Big Five, che rappresenta un modello integrato nato come punto di convergenza tra i diversi modelli teorici di descrizione e misurazione della personalità nei loro aspetti replicabili. Un aspetto particolarmente apprezzabile di questo modello, che poggia su solidi dati scientifici, è anche la sua altissima replicabilità transculturale. Tra l’altro, assumere, come fa l’indicatore di Myers-Briggs, che 16 tipi di personalità basati su 4 coppie di caratteristiche sia il numero corretto di possibilità in campo contraddice i dati che provengono dalla letteratura scientifica. D’altra parte, tutto dipende dallo scopo per il quale il soggetto si sottopone al test: se solitamente 5 dimensioni appaiono sufficienti per una valutazione generale, in altri casi, per un esame più dettagliato, potrebbero servirne anche 30 e gli strumenti scientificamente solidi a disposizione della comunità scientifica consentono di farlo e, per la maggior parte, anche gratuitamente, senza dover ricorrere a uno strumento oneroso sul piano economico e controverso dal punto di vista psicometrico come il test MBTI. Nel tempo l’azienda titolare dei diritti sul test ha spesso sottolineato come nelle ultime versioni dell’MBTI siano stati superati i limiti messi in luce dalla ricerca scientifica, ma si tratta di affermazioni difficili da verificare in modo indipendente. In generale, ritengo che il successo del test di Myers-Briggs sia dovuto alla consuetudine d’uso e ad alcuni aspetti suggestivi (per esempio nella descrizione dei tipi di personalità) più che all’effettiva validità di costrutto, visto che la scienza ha fatto molti passi avanti dal tempo in cui l’MBTI è stato concepito. Non è da escludere anche un certo fascino del “proibito”, derivante dallo scarso utilizzo dello strumento nell’ambiente della ricerca, che ne ha agevolato l’uso in altri contesti».

I dubbi sugli esiti del test

Allo stesso modo, non esiste nessuna prova che le previsioni relative al successo professionale, nello studio e nei rapporti umani legate all’MBTI siano realmente collegate alla validità dei suoi indicatori tipologici. Questo non è in contraddizione con le affermazioni entusiastiche dei sostenitori dell’MBTI, che riferiscono una vasta aneddotica che sembrerebbe provare la sua capacità di prevedere il successo delle persone negli studi e nel lavoro. Sottolinea, infatti, Fossati: «Non mi stupisce particolarmente che si ravvisi nel test una certa dose di predittività, anche se non paragonabile ad altri strumenti scientificamente più fondati, certamente non perché esistano i tipi di personalità descritti o sia valido il costrutto teorico, ma perché le correlazioni casuali sono possibili e frequenti, ma non provano l’esistenza di un nesso causa-effetto specifico».  In pratica, anche laddove sembra di poter individuare una correlazione (cioè il concorrere simultaneo delle due condizioni) non è affatto provato che l’una (per esempio, l’estroversione, posto che si possa ritenere valida la definizione presente nell’indicatore) sia la causa dell’altra (essere abili venditori, per esempio). «Inoltre – aggiunge Fossati – l’assunto secondo cui il rapporto tra la personalità e il comportamento è di natura deterministica non è affatto provato, quindi non è fondato ritenere che la personalità determini come ci si comporterà in un dato ruolo».

Tra i limiti del test c’è anche un eccesso di schematismo, che porta all’individuazione delle coppie di caratteristiche contrapposte, anche se è difficile trovare una persona che sia, per esempio, introversa o estroversa in tutte le circostanze e gli ambienti, come lo stesso Jung, che ha ispirato le ideatrici del test, sottolineava.

Un elemento che solleva importanti dubbi sullo strumento è la scarsa affidabilità dei risultati: una percentuale, variabile secondo gli studi ma comunque considerevole, delle persone sottoposte al test ottiene risultati diversi anche ripetendolo dopo poche settimane. Si tratta di un fenomeno che non rappresenta un mistero neppure per i fan del Myers-Briggs, tra cui alcune celebrities internazionali come i membri del gruppo K-pop BTS, che aggiornano periodicamente il loro profilo.

«Tra le criticità teoriche del modello di Myers-Briggs – sottolinea Andrea Fossati – c’è anche una certa confusione tra aspetti diversi, smentita dalla ricerca scientifica, per esempio tra stili decisionali e aspetti della personalità. Sappiamo, per esempio, dagli studi di decision making che gli stili decisionali derivano dal modo in cui sono processate le informazioni finalizzate alla risoluzione dei problemi: questo non rientra nei tratti di personalità, ma nelle strategie cognitive. Allo stesso modo, l’MBTI mal si adatta a un dato che emerge chiaramente dalla letteratura scientifica, ovvero il fatto che la personalità non possa essere considerata qualcosa di totalmente innato, ma si tratta di uno schema duttile, che si definisce nel corso della storia evolutiva della persona, soggetto a cambiamenti anche in età adulta, come mostrano chiaramente i dati meta-analitici».

Qualità non confermata

Nel corso del tempo, la ricerca indipendente sull’MBTI non ha supportato le affermazioni sulla qualità dello strumento attribuite allo stesso dall’azienda che ne gestisce i diritti, contribuendo, al contrario, a confermare i tanti dubbi al riguardo. Alcune ricerche hanno evidenziato alcuni campi in cui sembra che l’uso dell’MBTI possa essere utile (per esempio, una revisione del 2020, a cura di Ramachandran e altri, si sofferma sulla formazione medica in alcuni specifici aspetti), ma nel complesso nulla giustifica la così estesa diffusione dello strumento.

D’altra parte, la grande popolarità del test nonostante gli importanti limiti è stata attribuita anche a un noto fenomeno psicologico, l’effetto Barnum (conosciuto anche come effetto Forer), alla base della credenza negli oroscopi e in altre discipline pseudoscientifiche. I profili relativi alle diverse personalità descritte nell’indicatore di Myers-Briggs sono sufficientemente generici da poter permettere a persone diverse di riconoscervisi facilmente, tenendo anche conto del fatto che sono illustrati con toni che mettono in evidenza soprattutto le potenzialità del soggetto rispetto ai limiti e favoriscono, quindi, l’identificazione con la descrizione. Quello che, in pratica, accade è che la persona sottoposta al test tende senza accorgersene a selezionare, all’interno del profilo, le affermazioni nelle quali si riconosce, comprese quelle che fanno più piacere al suo ego, trascurando le altre.

Tirando le somme, non sembra che ci siano ragionevoli motivi alla base dell’estesa diffusione dell’indicatore di Myers-Briggs nei tanti settori in cui è adoperato. Il fatto di inquadrare (o inquadrarsi) in una delle 16 tipologie di personalità può, quindi, essere considerato semplice intrattenimento, senza solide prove scientifiche.

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