27 Aprile 2024
Approfondimenti

Innocence Project: perché si può condannare un innocente

di Simone Cavagnoli

Martedì 5 settembre 2023, New York. A distanza di 47 anni dal processo a suo carico, tenutosi nel marzo 1976, Leonard Mack viene ritenuto non colpevole per i reati di violenza sessuale e possesso d’arma da fuoco, per i quali aveva scontato 7 anni e mezzo di detenzione. La sua ingiusta condanna, che ne ha macchiato irrimediabilmente la reputazione per il resto della vita, è la più lunga ad essere mai stata ribaltata grazie alla prova del DNA da “Innocence Project”, un’organizzazione nata presso la “Benjamin N. Cardozo School of Law” di New York nel 1992 e divenuta no-profit nel 2004. Creata dagli avvocati Barry Scheck e Peter Neufeld, noti per essere stati parte del “Dream Team” di legali a difesa di O. J. Simpson nel caso di omicidio a suo carico, vede nella tecnologia del DNA un aiuto per le persone ritenute erroneamente colpevoli di crimini, così da dimostrare le ingiustizie alla base della loro condanna.

Ed è sui casi in cui il DNA, ottenibile grazie a prove biologiche quali sangue o altri fluidi corporei, ha una valenza centrale (come violenza sessuale e omicidio), che “Innocence Project” si concentra. Ad oggi, l’organizzazione è formata da avvocati, studenti, volontari ed ex detenuti come Calvin Johnson, che nel 2004 è diventato il primo ex detenuto a entrare nei ranghi del team. L’uomo era stato condannato per rapina e stupro nel 1983 e aveva scontato 16 anni di ingiusta detenzione, prima di essere riconosciuto innocente nel 1999.

L’organizzazione stima che tra il 2,3% e il 5% di tutti i prigionieri negli Stati Uniti siano stati condannati pur non essendo realmente colpevoli. Per meglio far comprendere la reale portata del fenomeno, si fa presente che l’1% di tutti i prigionieri detenuti negli istituti americani è pari a più di 20mila soggetti.

“Innocence Project”, inoltre, è membro fondatore di “Innocence Network”, una coalizione di organizzazioni e scuole di legge, scuole di giornalismo e studi legali, operanti in tutti i 50 Stati americani e in 12 altri Paesi, che collaborano tra loro con l’obiettivo di dimostrare l’innocenza di persone condannate ingiustamente. Ammontano a più di 65.600 le richieste di revisione dei processi fatte pervenire all’organizzazione da persone condannate tra il 1992 e il 2023, con un costo che varia dai 5mila ai 50mila dollari laddove vi fossero le condizioni per eseguire il test del DNA con cui poter dimostrare la loro innocenza.

Perché un innocente viene condannato

Prima della fondazione dell’organizzazione nel 1992, nella società americana vi era una diffusa convinzione che il sistema penale statunitense fosse infallibile ed era presente, di conseguenza, una scarsa comprensione del problema delle condanne ingiuste.

Prima di elencare quanto rilevato da “Innocence Project” come cause di ingiuste condanne, è importante sottolineare come anche bias di tipo razziale contribuiscano al fenomeno. Dal 1992 ad oggi, le persone che hanno ritrovato la libertà grazie all’opera dell’organizzazione sono afroamericani per il 57% del totale (nonostante questi rappresentino solo il 13,6% della popolazione statunitense), seguiti dal 34% di caucasici, dal 7% di latini e da un eterogeneo 2% di nativi, asiatici e altri gruppi razziali. 

Ecco le 8 cause alla base degli errori giudiziari riscontrati nei casi trattati dal progetto:

1. Errata identificazione dei testimoni oculari. Secondo la “American Psychological Association”, consiste nel recuperare il ricordo di un evento precedentemente osservato, che, in mancanza di elementi oggettivi, risulta decisivo. Il 64% dei casi presi in esame ha contemplato questo tipo di fattore, cosa che lo rende il più comune nel contribuire alle ingiuste condanne. Infatti, la testimonianza oculare svolge un ruolo privilegiato nel convincere il collegio giudicante della colpevolezza di un soggetto, pari a circa l’80% nei soli Stati Uniti. Numeri simili sono stati riportati dalla Commissione sulla Giustizia Britannica del 1976, in cui si era constatato come da un campione di 2000 casi giudiziari analizzati, 850 erano basati solo sulla testimonianza oculare. Nel 74% dei casi l’accusato era stato condannato dalla giuria.

La memoria è tuttavia estremamente fragile e malleabile, e ciò fa in modo che un testimone oculare possa avere difficoltà a ricordare correttamente i dettagli di ciò che ha visto. Già a inizio Novecento i problemi relativi alla sua affidabilità sono stati oggetto di esame, mentre un esperimento condotto nel 1946 da Jerome Bruner e Leo Postman ha mostrato come in condizioni di ambiguità, i processi di percezione tentino di colmare la mancanza di memoria attraverso precisi processi costruttivi basati su elementi preesistenti, come aspettative e stereotipi. Ciò fa comprendere come quanto visto dal testimone viene interpretato anche per quelle che sono le sue aspettative pregresse, così da riportare informazioni che non corrispondono alla realtà.

La memoria è generalmente influenzata da elementi come il semplice passare del tempo, l’intensa pressione esercitata dalla polizia oppure la suggestione. Se le identificazioni dettate da quest’ultima variabile si verificano per lo più durante l’individuazione fotografica del colpevole tramite confronto all’americana (o Lineup), essa è presente due volte più frequentemente nei casi di condannati afroamericani e latini rispetto a quelli che contemplano condannati caucasici. Questo perché, anche senza la volontà di identificare erroneamente una persona, l’identificazione effettuata da testimoni oculari di altro gruppo razziale risulta essere particolarmente inaffidabile: alcuni studi dimostrano che le persone hanno maggiori probabilità di identificare erroneamente una persona di razza diversa. Le persone caucasiche, in particolare, sono particolarmente incapaci nel riconoscere le persone non caucasiche. 

Le identificazioni interrazziali errate hanno un ruolo particolarmente importante nei casi di violenza sessuale, in cui uomini afroamericani condannati per aver stuprato donne caucasiche presentano sei volte in più la probabilità di essere innocenti rispetto a uomini caucasici condannati per lo stesso tipo di crimine.

A contribuire all’errata identificazione dei testimoni sono anche le variabili di stima e di sistema. Le prime sono quelle che contemplano la sfera soggettiva dell’individuo, mentre le seconde sono quelle legate alle procedure e alle pratiche giudiziarie. Queste ultime hanno avuto un impatto su un gran numero dei casi di errata identificazione dal 1992 ad oggi.

Tra le variabili di stima che possono influenzare l’accuratezza della testimonianza vi sono caratteristiche proprie del testimone come il genere, l’età, i tratti di personalità, le sue capacità e l’uso di alcolici. Il genere non sembra essere un criterio determinante per valutare una maggiore o minore accuratezza nell’identificazione, anche se i maschi sono tendenzialmente più sicuri nel riportare la propria testimonianza. Le donne, di contro, sono più propense all’identificazione con la vittima. L’età vede, invece, maggiori difficoltà nel riconoscimento dei criminali da parte delle persone anziane, che confidano di più sulla familiarità nell’effettuare il riconoscimento, a scapito del ricordo consapevole del preciso episodio in esame. I bambini sopra i 5 anni non mostrano particolari differenze dagli adulti rispetto alla correttezza dell’identificazione, e nonostante abbiano difficoltà nel riconoscimento attraverso il line-up, sono più attendibili laddove il resoconto avvenga attraverso il disegno con cui possono esprimersi liberamente.

Pur avendo la mente umana una raffinata capacità innata nella discriminazione dei volti, tanto da riconoscerne uno fra decine di migliaia, tuttavia questo può andare incontro a variazioni addirittura maggiori rispetto a quelle osservabili tra visi di persone diverse. Uno studio del 2005 riporta come 1/3 dei testimoni dichiara di avere assoluta fiducia nella possibilità di ricostruire il volto di un ladro partendo dalla semplice descrizione di elementi quali occhi, bocca, naso e mento, nonostante sia difficilissimo poter vedere il volto di un autore di reato così bene da descriverlo accuratamente. Infatti la descrizione di un volto attraverso 4 soli elementi calza a pennello con le sembianze di migliaia di altre persone.

Infine l’alcol è riconosciuto essere, per qualsiasi utilizzatore, un elemento capace di peggiorare le capacità di attenzione e di ricordo anche per un’assunzione moderata.

2. Patteggiamenti forzati. Questi spingono persone innocenti a dichiararsi colpevoli di crimini che non hanno commesso. Ciò avviene grazie a un accordo tra il pubblico ministero e l’imputato, in cui alla persona accusata viene data la possibilità di dichiararsi colpevole, anche se innocente, di un reato minore così da non dover andare a processo, evitando, così, di affrontare una pena potenzialmente più severa. Oltre il 95% delle condanne penali negli Stati Uniti, fino ad oggi, sono state ottenute attraverso questo metodo.

Questa pratica coercitiva può scoraggiare fortemente le persone non colpevoli dall’esercitare il loro diritto a un giusto processo, incoraggiandole ad ammettere di aver compiuto un crimine mai commesso. Non solo, essa può essere proposta e accettata dall’accusato mentre questi è in carcere, anche se nel frattempo ha portato prove solide a favore della sua innocenza. Così facendo, può avere una riduzione della propria condanna o, addirittura, ottenere la scarcerazione grazie al tempo già scontato. Laddove si rifiutasse, potrebbe rimanere in carcere mentre gli appelli da lui presentati affrontano il loro iter giudiziario. Anche in questo caso, il razzismo sistemico sembra avere un’importanza cruciale: quasi il 25% di tutti i detenuti scagionati dalle accuse a partire dall’anno 1989 si sono dichiarati colpevoli, e di questi circa il 75% erano persone appartenenti a minoranze.

3. False confessioni. Il 27% dei casi presi in esame ha contemplato questo tipo di fattore, cosa che ne fa il terzo più comune nel contribuire alle ingiuste condanne. Queste sono frutto dell’uso di tattiche coercitive e ingannevoli utilizzate durante un interrogatorio: una persona innocente può infatti confessare un crimine che non ha commesso a causa dell’intimidazione esercitata dalle forze dell’ordine con la forza, l’isolamento durante gli interrogatori, oppure perché ingannata sulle prove a suo carico. La confessione può avvenire anche a causa di un aumento di stress, di esaurimento mentale, della promessa di sentenze miti o per un’errata comprensione dei propri diritti costituzionali. Sono soprattutto bambini, persone con disabilità intellettive e persone con barriere linguistiche ad essere particolarmente vulnerabili, vista la mancanza di comprensione situazionale.

In media, le persone che hanno confessato reati da loro non realmente commessi sono state interrogate per 16 ore. In merito a ciò, la ricerca mostra che l’affidabilità delle confessioni è notevolmente ridotta dopo un interrogatorio prolungato. In alcuni casi, esse sono state condannate nonostante le prove del DNA contraddicessero chiaramente il loro presunto coinvolgimento. In tali casi, i pubblici ministeri si sono prodigati a convincere le giurie affinché le ritenessero colpevoli, nonostante la prova del DNA ne sostenesse fortemente l’innocenza.

4. Errata applicazione delle tecnologie investigative. I sistemi tecnologici di sorveglianza che utilizzano algoritmi come il riconoscimento facciale possono interpretare erroneamente le informazioni personali o utilizzare in modo impreciso quelle presenti nei database, così da indurre in errore gli investigatori. A peggiorare le cose, c’è talvolta anche la poca trasparenza relativa al funzionamento interno di tali apparecchiature.

Molte tecnologie già in uso sono state implementate prima di essere completamente testate e convalidate, e agiscono senza l’adeguata regolamentazione e supervisione. Oltre a perpetrare pregiudizi di tipo razziale, queste spesso memorizzano e sfruttano i dati personali, lasciando le comunità più vulnerabili e storicamente marginalizzate e criminalizzate, esposte a potenziali errori di valutazione. Il più delle volte, tali strumenti indirizzano le forze dell’ordine in modo erroneo, incoraggiando gli investigatori a concentrarsi su uno o più individui specifici in qualità di potenziali colpevoli, anche in presenza di prove convincenti a loro discolpa.

5. Difesa inadeguata. In alcuni dei peggiori casi di condanna ingiusta ribaltati dal test del DNA, gli avvocati della difesa sono risultati essere addormentati in aula durante il processo, assenti alle udienze o addirittura esclusi da esso a causa della cattiva condotta tenuta.

Più spesso, tuttavia, gli avvocati che hanno il compito di rappresentare persone povere non hanno le risorse necessarie per indagare e difendersi dalle prove raccolte da dipartimenti di polizia, procure e laboratori di analisi forense. Senza l’ausilio di investigatori ed esperti di parte, della giusta formazione e della garanzia di un risarcimento, i difensori non possono contestare in modo appropriato la causa intentata contro i propri assistiti, cosicché le probabilità di una condanna ingiusta aumentano. L’organizzazione “American Bar Association”, in un rapporto del 2022, ha rilevato come i finanziamenti per gli avvocati d’ufficio, che spesso rappresentano la prima linea di difesa per le persone innocenti accusate di crimini, dovrebbero triplicare se concretamente si volessero soddisfare gli standard di efficacia della difesa garantiti dal Sesto Emendamento statunitense.

6. Errata applicazione della scienza forense. Il 52% dei casi presi in esame ha contemplato questo tipo di fattore, cosa che ne fa il secondo più comune nel contribuire alle condanne ingiuste. Ciò è stato possibile a causa dei diversi metodi che in passato erano ampiamente accettati dal sistema penale americano, come l’analisi dell’impronta del morso, il confronto tra capelli, le impronte o i segni prodotti da un utensile, le indagini sugli incendi dolosi, le analisi delle impronte digitali, le rilevanze olfattive dei cani, le analisi comparative dei proiettili di piombo, l’errata diagnosi della sindrome del bambino scosso e l’analisi delle macchie di sangue, oggi sostituiti dal test del DNA e dai progressi nelle differenti discipline scientifiche forensi.

Errori commessi dai periti forensi hanno contemplato testimonianze fuorvianti che hanno esagerato la connessione tra le prove della scena del crimine e la persona di interesse, hanno erroneamente considerato inconcludenti le prove che avrebbero potuto discolpare gli accusati e hanno minimizzato i limiti del metodo utilizzato per verificarne le responsabilità. In altre occasioni, hanno commesso errori nell’esecuzione dei test di laboratorio, portando prove che rafforzavano l’impianto accusatorio o, viceversa, celando prove a discolpa degli imputati. 

Il “National Registry of Exonerations” riporta come, dopo aver ricevuto una condanna ingiusta, un soggetto afroamericano può combattere in media tre anni in più rispetto ad una persona caucasica in casi di omicidio. Per quanto concerne reati di violenza sessuale, gli anni in più sono quattro. In molti casi, ciò è dovuto al fatto che le prove che avrebbero dovuto essere fornite alla difesa prima del processo rimangono nascoste per decenni.

7. Informatori carcerari inaffidabili e non regolamentati. Il 18% dei casi presi in esame ha contemplato questo tipo di fattore, cosa che ne fa il quarto più comune nel contribuire alle ingiuste condanne. Alcuni detenuti forniscono informazioni alle forze dell’ordine e ai pubblici ministeri, venendo esplicitamente o implicitamente incentivati a farlo in cambio di qualche tipo di beneficio. Per rafforzare la loro accusa contro una persona, i pubblici ministeri spesso promettono tali benefici a porte chiuse, senza che questi siano divulgati o registrati in alcun modo.

Talvolta, gli informatori del carcere vengono istruiti nei dettagli sul crimine prima o durante le dichiarazioni che rilasciano alla polizia, così da dare un’impressione di credibilità in tribunale. Sul banco degli imputati, possono fabbricare ipotetiche interazioni con la persona accusata, sostenendo che quest’ultima avrebbe confessato il crimine per la quale è in giudizio. I pubblici ministeri, inoltre, possono incoraggiare gli informatori affinché testimonino in più casi tra loro non correlati, così da trovare una soluzione ad essi senza dover intraprendere ulteriori indagini.

8. Cattiva condotta delle forze di polizia. Questo tipo di fattore è alla base di più di un terzo dei casi di scarcerazione dal 1989 ad oggi, e ha contribuito in modo sproporzionato alla ingiusta condanna di persone non caucasiche, molte delle quali vivono in comunità che sono più pesantemente sorvegliate dalle forze di polizia. In molti casi, queste abusano della loro autorità violando i diritti costituzionali con tecniche di interrogatorio coercitive, dichiarando il falso in tribunale, non riportando prove a favore dell’indagato, lavorando con informatori inaffidabili o per pregiudizio. A causa della mancanza di trasparenza e di meccanismi di responsabilità individuale, questo tipo di cattiva condotta spesso non ha alcun tipo di controllo. Attualmente, la maggior parte degli Stati mantiene riservati i registri disciplinari della polizia.

A ciò si può aggiungere la cattiva condotta del pubblico ministero, quando cioè questo viola gravemente la legge o il codice etico che deve rispettare. Nella maggior parte dei casi in cui le persone condannate ingiustamente hanno sperimentato questo tipo di cattiva condotta, i pubblici ministeri sono stati accusati di aver portato argomentazioni improprie durante il processo, o di aver intenzionalmente nascosto prove dell’innocenza dell’accusato e altri elementi a lui favorevoli. Poiché essi, spesso, controllano l’accesso alle prove necessarie per indagare su tali denunce di cattiva condotta, è difficile misurare la portata di tale fenomeno. Inoltre, il sistema disciplinare in vigore non permetterebbe di sanzionare questi comportamenti in modo adeguato.

Una menzione meritano anche le decisioni preprocessuali prese nei tribunali: le persone di origine afroamericane e latine accusate di un crimine hanno una maggiore probabilità di essere detenute prima del processo, con tutto ciò che ne consegue in termini di mantenimento del proprio lavoro, alloggio e famiglie.

I risultati raggiunti 

Al 30 giugno 2023 sono state 245 le vittorie legali conseguite da “Innocence Project” in 34 diversi Stati oltre a Washington D.C., grazie alle quali 199 persone sono state riconosciute, attraverso l’analisi del DNA, come vittime di condanne ingiuste. Dei 245 soggetti scagionati da ogni accusa a proprio carico, il 5% si era dichiarato colpevole e il 9% era stato condannato a morte. Nel complesso, i clienti di “Innocence Project” hanno trascorso un totale di 3.826 anni di carcere senza aver commesso i reati a loro addebitati.

Malcolm Alexander, condannato il 5 novembre 1980 per una violenza sessuale commessa l’8 novembre dell’anno precedente in Lousiana, è il detenuto che si è rivolto a “Innocence Project” ad aver scontato più anni in assoluto di detenzione da innocente, quasi 38, essendo stato scarcerato il 30 gennaio 2018. La sua condanna prevedeva il carcere a vita senza possibilità di libertà condizionale. In media l’età dei clienti è di 27 anni per l’ingresso in carcere e di 44 al momento della scarcerazione. Il numero di ex detenuti che non hanno ricevuto una compensazione economica per le loro condanne ingiuste è di 68, complice anche la mancanza di una legislazione adeguata sul risarcimento in 14 Stati americani.

Importante è anche il costo sociale derivante da questi errori giudiziari: l’organizzazione stima che siano stati commessi altri 99 crimini mentre una persona innocente era imprigionata al posto del reale colpevole: 54 aggressioni sessuali, 22 omicidi e 23 altri crimini violenti. La riapertura dei casi promossa da “Innocence Project” ha portato all’identificazione di 87 colpevoli mai raggiunti dalla legge.

Infine, va sottolineato come siano stati diversi gli interventi promossi al fine di eliminare tutti quegli errori che possono portare a una condanna ingiusta e allo sproporzionato danneggiamento delle comunità di minoranza, riuscendo a far approvare più di 200 tra leggi statali e federali e riforme.  

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