29 Aprile 2024
Misteri vintage

Mark Twain e gli uomini pietrificati

di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Siamo abituati a pensare all’etica del giornalismo come a un dato acquisito, cioè a qualcosa che andrebbe rispettato senza batter ciglio: i quotidiani esistono per informare su quanto accade nel mondo. Per dirci la verità, non certo per inventare frottole. Questa idea di un ruolo sociale della stampa, però, appartiene a una fase abbastanza recente. Agli albori del giornalismo contemporaneo era considerato assolutamente normale che i quotidiani inventassero storie per vendere qualche copia in più. Anzi, soprattutto per quanto riguarda il giornalismo anglosassone, l’hoaxil falso creato a tavolino – potrebbe essere considerato un vero e proprio genere letterario, a volte caratterizzato da creazioni di alto livello autoriale.

Lo sapeva bene il giovane corrispondente del Territorial Enterprise di Virginia City, nel Nevada, che il 4 ottobre del 1862 pubblicò, dietro autorizzazione del suo direttore, la storia di un uomo pietrificato ritrovato a Gravelly Ford. La firma era quella di Samuel Clemens, che in seguito sarebbe diventato noto con lo pseudonimo di Mark Twain, l’autore di grandi classici come Le avventure di Tom Sawyer o Un americano alla corte di re Artù

Con la storia dell’uomo pietrificato, il grande scrittore voleva prendersi gioco di una mania diffusissima all’epoca:

Nell’autunno del 1862, in Nevada e California la gente impazziva per le pietrificazioni e per altre meraviglie naturali di questo tipo. Si poteva a malapena sfogliare un giornale senza trovarci una o due incredibili scoperte di quel genere. Questa mania aveva sfiorato il ridicolo. Ero appena stato assunto in un giornale locale, a Virginia City, e mi sentivo chiamato a estirpare questo male dilagante; abbiamo tutti la nostra aspirazione a salvare il mondo prima o poi, credo. (Sketches, New and Old, 1875)

La mania per le pietrificazioni

Negli anni in cui queste storie ebbero maggior circolazione (tra la fine degli anni ‘50 e la fine degli anni ‘90 dell’Ottocento), era piuttosto diffusa l’idea che i fossili – sia quelli animali, sia quelli umani – non fossero altro che esempi di pietrificazione. L’ipotesi che circolava, non soltanto fra il pubblico generale ma anche fra alcuni eruditi, era che quel processo fosse avvenuto in maniera rapidissima, a causa del Diluvio biblico

Queste elucubrazioni si sovrapponevano in maniera polemica alla controversia sull’evoluzionismo. L’origine delle specie di Darwin era uscito nel 1859 e, anche se le storie sulle pietrificazioni non nacquero da lì (ce ne sono di precedenti, come vedremo fra poco), ricevettero comunque un forte impulso dalla diatriba sul ruolo dei fossili nelle argomentazioni darwiniane. Se non come testimonianze del Diluvio, i fossili erano interpretati sovente come scherzi della natura, come curiosità, magari come pietre che per uno strano caso del destino avevano assunto l’aspetto di antiche ossa, piante, animali. 

La confusione era accentuata dal fatto che a livello popolare il processo di fossilizzazione non era ancora ben capito – e soprattutto non era chiaro che per la “pietrificazione” dei tessuti sono necessari archi di tempo lunghissimi, anche milioni di anni.

Un esempio: l’uomo pietrificato dal geode

Quattro anni prima dello scherzo giocato da Twain, una curiosa storia di pietrificazione aveva fatto il giro del mondo. Fu pubblicata da un quotidiano di San Francisco, Alta California, il 18 luglio del 1858. 

Si trattava della presunta lettera di un medico tedesco, F. Lichterberger, di Fort Langley (presso Vancouver, Canada). Costui raccontava l’incredibile morte di un minatore, un certo Ernest Fluchterspiegel” (il cognome, tradotto, vuol dire “Specchietto-che-svolazza”). Il “resoconto dettagliato” della vicenda era incredibile: nel corso del suo lavoro, l’uomo si era imbattuto in un geode che all’interno conteneva un liquido, “l’acqua della cristallizzazione”. In modo assai imprudente, aveva deciso di bersi la “soluzione di silice” appena trovata. Fluchterspiegel aveva quindi ricavato una specie di coppa dal geode diviso in due, dentro la quale c’era “circa mezza pinta” del liquido maledetto. Il medico, presente al fatto, raccontava che – dopo aver riso delle perplessità dei suoi compagni –  l’uomo aveva mandato giù il tutto d’un sol colpo. 

A quel punto sarebbe avvenuto il disastro: in breve tempo il malcapitato sarebbe morto, e il rigor mortis si sarebbe manifestato in un tempo eccezionalmente breve. L’autopsia avrebbe rivelato la completa pietrificazione del suo intero organismo. 

Da “Sketches new and old”, 1885, Project Gutenberg 

La bufala dell’uomo pietrificato di Twain

Ma torniamo a Twain. Per salvare il mondo dal malcostume delle storie sui “pietrificati”, lo scrittore si era inventato la vicenda dell’uomo di Gravelly Ford. Lo descriveva come seduto, in posizione pensosa, con ogni arto perfettamente trasformato in roccia, compresa una gamba che in origine doveva esser stata di legno. L’articolo chiamava in causa anche il giudice Sewell, un magistrato di Humboldt City, che il giornalista aveva in profonda antipatia: secondo il racconto, era stato proprio lui a occuparsi dell’inchiesta sulla morte del “pietrificato”, stabilendo che il decesso era sopraggiunto per un’esposizione protratta agli agenti atmosferici. Il giudice si era persino opposto ai cittadini che volevano far saltare la “statua” con la dinamite per darle un’adeguata sepoltura!

Twain aveva però inserito un particolare rivelatore, grazie al quale, almeno nelle sue intenzioni, il lettore avrebbe potuto accorgersi della bufala: le mani dell’uomo pietrificato. Dalle descrizioni si poteva intuire che la posa (con le mani divaricate e poste una di seguito all’altra, appoggiate al naso) era quella tipica di una persona che si prendeva gioco di un’altra, come lo scrittore spiegò poi nella raccolta di storie brevi Sketches, New and Old (1875). Il guaio, però, è che nel racconto di Twain i particolari erano mescolati e la descrizione confusa, al punto che i lettori del Territorial Enterprise non colsero affatto il lato ironico del racconto e si ritrovarono a credere alle incredibili assurdità raccontate dallo scrittore. 

Agli inizi, peraltro, Twain rimase deluso dall’esito della sua burla (che comunque non rimarrà l’unica pubblicata dallo scrittore nella sua carriera giornalistica). Ammetterà in seguito: 

Per essere una satira sulla mania della pietrificazione, o qualsiasi altra cosa fosse, il mio Uomo Pietrificato fu un fallimento scoraggiante; tutti lo avevano accolto in perfetta buona fede, ed io ero incredulo nel vedere la creatura che avevo plasmato per abbattere questa mania sensazionalistica e coprirla di ridicolo, salire disinvoltamente ai piani più alti nella lista di meraviglie che il nostro Nevada aveva prodotto. 

Più tardi, quando si rese conto che la sua storia si era diffusa al di fuori dei confini americani ed era finita persino sulle pagine del London Lancet (ma pure in Australia!), cambiò opinione circa la beffa. A quanto pare, i minatori della zona continuarono a scherzare per mesi sull’uomo pietrificato di Gravelly Ford e sul giudice Sewell, e Twain non mancò di far recapitare a quest’ultimo, ogni volta che li trovava, tutti gli articoli dei quotidiani che parlavano del caso…

I pietrificati al loro meglio: il gigante di Cardiff

Se Twain sperava di mettere in ridicolo la mania per le pietrificazioni e di fermare le bufale sulla questione, si era sbagliato di grosso. Almeno a partire dal 1864, si parlò addirittura di cadaveri di marziani fossili all’interno di meteoriti arrivati dallo spazio, ma nel frattempo stava per arrivare uno dei falsi più dibattuti ed eclatanti dell’Ottocento: quello del gigante di Cardiff. 

Questa volta si trattava di un “vero” uomo pietrificato, in carne e sassi, non di una semplice notizia pubblicata su qualche giornale, senza riscontri tangibili.

Tutto iniziò il 16 ottobre 1869, quando William Newell, scavando un pozzo di Cardiff, nello stato di New York, tirò fuori dal terreno un gigantesco uomo pietrificato. Era alto circa tre metri, si teneva una mano sul ventre e aveva i genitali in bella vista. Newell mise una tenda intorno al gigante e cominciò a far pagare un biglietto a chiunque volesse ammirarlo.

Il gigante di Cardiff, 1869, da Wikimedia Commons, pubblico dominio

Si trattava, in realtà, di un beffa ideata da George Hull, un tabaccaio newyorkese di idee atee, dopo un’accesa discussione con alcuni membri di una chiesa protestante, quella metodista. Questi, sulla scorta di alcuni passi biblici, sostenevano con forza l’esistenza reale dei giganti nel nostro passato remoto. Per questo, Hull aveva assunto uno scalpellino per scolpire la “statua”, l’aveva invecchiata artificialmente con degli acidi e si era messo d’accordo con William Newell (suo cugino) per far ritrovare il reperto. 

Il dibattito si aprì: qualcuno supponeva che fosse una statua, qualcuno pensava che fosse un vero uomo pietrificato. Altri ipotizzarono che si trattasse di un’opera fatta scolpire dai gesuiti – un babau dell’epoca – per impressionare i nativi americani. Ad ogni modo, la fama del gigante giunse anche al celebre impresario Phineas T. Barnum, che offrì una grossa somma per esporlo nel suo museo. Quando la proposta fu respinta, ne fece realizzare una copia che presentò come “il vero uomo di Cardiff”. I nuovi proprietari del gigante (nel frattempo, infatti, Hull aveva ceduto la statua a un consorzio di cinque persone) citarono Barnum in tribunale, ma il giudice rispose che avrebbero dovuto prima giurare sull’autenticità del loro reperto. E nel frattempo Hull aveva già confessato la verità alla stampa…

L’incredibile vicenda del gigante di Cardiff stuzzicò di nuovo  la fantasia di Twain, che nel 1870 scrisse A Ghost Story. Nel racconto, lo spirito del gigante appare in un vecchio palazzo di Broadway, chiedendo al suo interlocutore di essere sepolto, e non accorgendosi – preso dalla confusione – di aver infestato il museo in cui è esposta la copia di se stesso!

Il bambino pietrificato del fiume Pine

Il gigante di Cardiff fu seguita da un gran numero di tentativi di imitazione. Ve ne menzioniamo solo due. Sei anni dopo il ritrovamento del gigante più noto, il 21 ottobre 1875, il quotidiano Titusville Morning Herald raccontò che due cacciatori avevano trovato il corpo di un “bambino di pietra” in un banco di ghiaia lungo il fiume Pine, nel Michigan. Il “bambino misterioso” era alto circa un metro e venti e aveva la fronte “alta e piatta”; il giornale lo descriveva in ogni dettaglio, come se si fosse trattato di un vero ritrovamento paleontologico. 

Soltanto qualche tempo dopo si scoprì che si trattava di un falso ideato da un certo William Ruddock, della vicina città di Newport, che voleva esporre la statua del bimbo – l’aveva scolpita di persona – e far pagare un biglietto per mostrarla ai curiosi. Il povero “bambino” finì per esser venduto a un side show, una delle forme di spettacolo che precedettero i moderni Luna Park (Stockwell, G.A., “The Cardiff Giant, and Other Frauds”, in Popular Science, giugno 1878, pp. 197-203). 

…e il gigante di cemento delle cascate di Taughannoc

Ma non era finita lì. Quattro anni dopo, il 2 luglio 1879, alcuni operai che lavoravano a una strada nei pressi delle cascate di Taughannock (vicino Ulysses, nello stato di New York) si imbatterono in un nuovo strano reperto: un gigante pietrificato dell’altezza di più di due metri e dieci centimetri. La notizia finì su tutti i giornali, e anche questa volta i curiosi cominciarono ad affluire. Il “corpo” era stato scoperto in un terreno di proprietà del Taughannock House Hotel, il cui proprietario, il signor John Thompson, non perse tempo nel far fruttare il ritrovamento: piazzò una tenda intorno allo scavo, cominciò a far pagare dieci centesimi di ingresso ai visitatori, e mise in vendita fotografie e souvenir del nuovo gigante.

In breve tempo, già in cinquemila persone avevano pagato per vedere con i loro occhi l’ennesimo uomo pietrificato. Tra loro, pure alcuni scienziati della Cornell University, che ne portarono via alcuni frammenti per analizzarli… I risultati, però, non giunsero mai, anche perché la burla fu scoperta pochi giorni dopo. Era stata architettata da tre amici, di cui uno era – sorpresa, sorpresa – il proprietario dell’hotel. Il trio aveva realizzato la finta statua con una specie di cemento e poi l’aveva piazzata nel sottosuolo attraverso un tunnel, in modo che la terra al di sopra sembrasse rimasta inviolata per millenni.

A quanto pare, quando fu portato via, il finto gigante cadde e si spezzò in più parti. I pezzi furono seppelliti in un giardino nei pressi della vicina Trumansburg. Purtroppo per gli storici locali, il punto esatto del definitivo seppellimento del gigante è andato perso nella memoria degli abitanti della zona. Il gigante non fu mai più ritrovato. Casi simili a questo si ripeterono, per quanto ne sappiamo, almeno fino al 1897.

La burla “scettica” di Twain, insomma, non era servita: la moda degli uomini pietrificati continuò, inesorabile, ancora per decenni. 

Foto di apertura di Observations? Science needs your data www.inaturalist.org da Pixabay