28 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Il prete e il pendolo: storia di un ragazzo scomparso a Novara

Giandujotto scettico n°137, di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo (20/04/2023)

L’8 dicembre 1949, da Novara scomparve un sedicenne. Per cercarlo si mossero forze dell’ordine, amici, parenti, ma anche due radiestesisti, due parroci della zona che praticavano abitualmente ricerche col pendolino. Questa è la storia di quelle ricerche e dello strascico di polemiche che si portarono dietro.

La radiestesia

Ma prima, una piccola parentesi su cos’era questa disciplina, e perché piaceva da matti al clero cattolico. La radiestesia nacque negli anni Venti del Novecento, come tentativo più o meno esplicito di dare alla rabdomanzia la dignità di una scienza. Non che prima non si praticasse già qualcosa di simile, ma fu proprio la prima metà del secolo scorso a dare alla radiestesia fama, notorietà e uno stuolo di praticanti più o meno entusiasti. Il principio alla base era lo stesso della rabdomanzia: usando il pendolino al posto della più tradizionale bacchetta, i praticanti trovavano acqua, tesori, persone scomparse, diagnosticavano malattie e sapevano indicare se una persona era viva o morta. 

Lo stesso termine “radiestesia” fu inventato intorno al 1929 dall’abate francese Alexis Timothéè Bouly (1865-1958), che diede origine con un suo confratello anche a un’Associazione degli amici della radiestesia. Per loro, la bacchetta era un’antenna che permetteva di captare le deboli radiazioni emesse da ogni oggetto esistente. Erano gli anni del radio visto come essenza stessa della vita, e della radio come nuova forma di comunicazione di massa. Diventando radio-estesia, la rabdomanzia si era data una nuova veste in linea coi tempi.

Forse anche a causa di quell’illustre precursore, la radiestesia diventò una moda tra il clero cattolico, soprattutto fra quello francese. Uno dei più celebri radiestesisti fu il prete Alexis Mermet (1866-1937), che secondo le leggende avrebbe annunciato la tragedia della caduta del dirigibile Italia nell’Artico due giorni prima che la notizia giungesse sulle pagine di tutti i giornali. La Seconda guerra mondiale, con le sue migliaia di dispersi sui fronti, contribuì non poco all’ulteriore diffusione di questa pseudoscienza: famiglie in ansia interrogavano il pendolino per conoscere la sorte dei loro cari, affidando ai radiestesisti la loro speranza di rivederli vivi.

Nel 1942, avendo constatato che tanti sacerdoti cattolici si erano dati a questa forma di divinazione, il sempre occhiuto Sant’Uffizio corse ai ripari e il 26 marzo decretò:

Riguardo agli sconvenienti atteggiamenti che si compiono a danno della religione e della vera pietà a causa della pratica della radioestesia compiuta dai chierici al fine di conoscere eventi e circostanze relative ad alcune persone […] gli Eccellentissimi Ordinari dei luoghi e i Superiori Religiosi proibiscano ai propri chierici e religiosi di procedere a quelle forme di divinazione tra le quali anche la Radioestesia.

Pur dichiarando di non volersi esprimere sulla “questione scientifica circa la radiestesia”, la Chiesa cattolica prendeva così decisamente posizione contro la sua pratica da parte dei religiosi, suggerendo anche, attraverso l’Osservatore Romano, l’adozione di sanzioni penali di diritto canonico per chi non si fosse adeguato. Eppure, come in realtà accadde in mille altre occasioni sin dal Concilio di Trento per questioni di assai maggior rilevanza, parroci e frati non recepirono le disposizioni delle istanze centrali della loro chiesa e continuarono a praticarla fino almeno agli anni Sessanta, come mostra la storia che oggi vi raccontiamo.

Un ragazzo scomparso

Torniamo dunque a giovedì 8 dicembre 1949. Quel giorno, da Novara scompare un ragazzo. Si chiama Pier Luigi Curini e ha sedici anni. L’ultima a vederlo è stata la nonna: Pier Luigi è andato a trovarla nel sobborgo di Sant’Agabio e le ha chiesto 25.000 lire (al cambio attuale, circa 450 euro) dicendo che servivano al padre. È una bugia, il genitore non ne sa nulla. Ma la nonna gli crede e glieli dà. Poi, forse Pier Luigi torna a casa per prendere un ombrello, in un momento in cui i genitori non sono ancora rientrati (gestiscono una sartoria in città). Da quel momento, nessuno lo vede più.

Nel presentare la denuncia di scomparsa in Questura, i genitori riferiscono che un “giovane biondo, di qualche anno più anziano”, ha minacciato a più riprese Pier Luigi, chiedendogli del denaro. Non ne sono tuttavia sicuri: si tratta di voci che hanno raccolto dai compagni del ragazzo, alla ricerca di possibili motivi per l’improvvisa scomparsa. Eppure, anche così, quel particolare vago getta un’ombra oscura su tutta quella storia… Che cos’è successo? Qualcuno stava forse taglieggiando il ragazzo? Gli ha forse fatto del male?

Al colmo della preoccupazione, ecco balenare davanti a loro una soluzione “paranormale”: rivolgersi a don Giani, che ha fama di infallibile radiestesista. Solo lui può ritrovare Pier Luigi…

Due parole su don Giani

Carlo Giani (1880-1952) fu per quarant’anni il parroco di Mezzomerico, in provincia di Novara. Nel 2015 sul suo conto è uscito un libro scritto da Pietro Mattacchini. Il volume si concentra in particolare sul carattere del sacerdote (diventato poi arciprete e monsignore): vi viene descritto come un “despota travestito da prete” che aveva condotto il suo gregge con eccessiva irruenza e caparbietà (Novara Oggi, 20 novembre 2015). 

Di lui scrive Pietro Mattachini:

Don Giani è dotato di grande ingegno e di doti innate; è capace di fare un po’ di tutto: è musicista, pittore, elettricista, costruttore di radio, rabdomante, muratore. Don Giani è stato un moderno frate Savonarola, grande predicatore e fustigatore. Possenti sono le sue prediche appassionate. Infatti non si diceva “andiamo a messa”, ma si usava dire «andiamo a sentire cosa dice don Giani». Durante l’omelia don Giani, minaccioso, con voce potente, denuncia e biasima pubblicamente persone, accadimenti e fatti che secondo lui sono da condannare, senza però mai nominare i nomi dei “colpevoli”. Se mentre predica viene disturbato dalle voci di qualche fedele che, durante la celebrazione della messa, si ferma fuori sul piazzale antistante la chiesa, don Giani interrompe le prediche ed esce dalla chiesa per affrontare coloro che sono sul piazzale: “O in chiesa o a casa!”, inveisce minaccioso.

Questo “moderno Savonarola”, prete di un’Italia ancora clericale, era affascinato dalla rabdomanzia. Sia chiaro: non la praticava solo per sé; usava i proventi per opere a favore della sua comunità. Nel secondo dopoguerra, i cittadini di Mezzomerico si erano autotassati per costruire l’acquedotto, la fognatura e l’asilo. Don Giani contribuì generosamente a queste opere, e in particolare all’asilo, per il quale sborsò mezzo milione di lire (La Stampa, 28 aprile 1949). Non è un caso che la scuola dell’infanzia porti ancora il suo nome.  

Ma non è solo per questo che don Giani era entusiasta della radiestesia: a lui quella pratica sembrava funzionare. E quindi ne parlava ai giornali con entusiasmo – che, dal canto loro, non mancavano di fornire lunghi elenchi dei suoi presunti successi. Ma torniamo alla nostra storia.

Il responso del pendolino

Il responso di don Giani purtroppo non fu quello che speravano i genitori. A riferirlo fu Stampa Sera nella sua edizione del 12 dicembre 1949

Purtroppo il sacerdote, che di tante vicende ora drammatiche ora pietose ha saputo sollevare il velo del mistero che le circonda, avrebbe dato un responso tutt’altro che confortante; un responso secondo il quale lo studente sarebbe stato aggredito, imbavagliato e ferito. Il giovane scomparso, in base alle informazioni del parroco medesimo, doveva trovarsi probabilmente, al momento dell’aggressione, nella zona tra il comune di San Pietro Mosezzo e la tenuta Marangana, a pochi chilometri da Novara.

Amici e familiari scandagliarono la zona individuata dal parroco e ispezionarono strade, corsi d’acqua, campagne. Tutto inutile: dello studente non c’era traccia. Ma don Giani sembrava sicuro del fatto suo:

[…] il parroco è convinto dell’esattezza del suo responso. Egli è infatti […] convinto che la radiestesia ha la serietà della scienza. Ne parla con estrema sincerità, citando alcuni sorprendenti episodi da lui conseguiti in questi ultimi tempi.

Da lì in avanti, il giornale elencava una serie di episodi miracolosi (riferiti – ovviamente – dal sacerdote stesso, e senza alcuna verifica da parte del quotidiano): a un bimbo cieco e incapace di camminare, il parroco aveva corretto una diagnosi; i suoi sintomi non erano conseguenza di un tumore, come affermavano i medici, ma erano invece frutto di una forma di “arteriosi cerebrale”. Consigliò perciò un decotto a base di prezzemolo e l’applicazione di una lastra di zinco alla nuca, e il bambino tornò a vedere e camminare. Lo stesso era accaduto a una bambina dodicenne. A un collega di Stresa, don Giacometti, Giani aveva invece diagnosticato un carcinoma, mentre i medici brancolavano nel buio. A un dottore dell’ospedale di Novara aveva infine annunciato un’ulcera del duodeno e del fegato, cosa di cui poi il poveretto era morto… Per il giornale torinese, insomma, c’era da fidarsi dei responsi del sacerdote:

La verità è che la radiestesia talora vede e sente là ove la radioscopia e la radiografia si rivelano insensibili e cieche: nuovo mezzo al servizio degli uomini di scienza che si prodigano per il bene dell’umanità, reca purtroppo non soltanto messaggi lieti; dice quel che vede con una franchezza che talora può parere spietata.

Un secondo parere “paranormale”

Il giorno dopo, 13 dicembre 1949, La Stampa era ancora più esplicita nel descrivere il presunto esito della vicenda. Secondo don Giani

Il giovinetto giacerebbe ora cadavere in un fossato coperto di foglie, ma alla madre è stato taciuto quest’ultimo particolare.

Nel frattempo, malgrado tutto, la famiglia non si era fermata: uno zio del ragazzo scomparso aveva chiesto un secondo parere a un altro radiestesista, pure lui sacerdote cattolico. Si trattava di don Francesco Manzini, parroco di Sillavengo, altro paesino in provincia di Novara. Il suo responso confermava quello di don Giani: il ragazzo era rimasto vittima di un’aggressione tra le 19.45 e le 20, poco fuori da Novara, in prossimità della roggia Biraga. Era stato colpito con un corpo contundente e gettato in un fossato.

Lo stesso don Manzini ha pregato di non prendere le sue parole come una indicazione certa, ma il fatto che egli, non informato prima del responso di don Giani lo abbia presso a poco ripetuto, ha provocato un senso di meraviglia e di sbalordimento. Perfino la zona di campagna in cui il giovane avrebbe trovato tragica fine è la medesima in senso lato, indicata dai due radiestesisti.

La Stampa premeva sul pedale del paranormale, ma in realtà nessuno poteva sapere se il secondo parroco fosse già a conoscenza di quanto aveva detto il suo collega: le informazioni rilevanti, infatti, erano apparse sul quotidiano già il giorno prima, ed erano quindi facilmente ottenibili. 

Sulla scorta di queste indagini “paranormali” le ricerche proseguirono nella zona indicata dai due sacerdoti: si giunse a scandagliare il canale Cavour, e alle ricerche della famiglia si unirono anche agenti della squadra mobile della Questura di Novara e i Carabinieri. A breve, sarebbe arrivato anche un cane poliziotto, e pure don Giani, pronto a cercare il corpo nella zona vaticinata…

Sulle tracce di un cadavere, armati di pendolino

Nel Novarese la vicenda del ragazzo scomparso era ormai sulla bocca di tutti, e, come accade spesso in questi casi, le dicerie correvano libere. Ai genitori, già angosciati per i responsi dei due parroci-radiestesisti, prima era stato detto che Pier Luigi era stato ritrovato e ricoverato in ospedale; poi che ne era stato trovato il corpo. Entrambe le voci si rivelarono prive di fondamento. Intanto le indagini si ampliavano: qualcuno aveva raccontato di aver visto una colluttazione tra tre persone, giovedì sera, sulla strada per Lumellogno. Si trattava forse di un episodio legato alla sparizione? Anche il giovane dai capelli biondi – il presunto ricattatore – era oggetto di ricerche, e forse era stato persino identificato (La Stampa, 13 dicembre 1949).

Le indagini, comunque, proseguivano anche sul fronte del paranormale. Don Giani aveva provato a ripetere l’esperimento radiestesico con l’utilizzo degli indumenti del ragazzo, forniti dai familiari. Il responso era stato lo stesso delle volte precedenti. Il prete era stato quindi accompagnato in auto sul luogo individuato dal pendolino, e lì, con il suo fedele strumento, aveva battuto la zona in tutte le direzioni. 

La Stampa del 14 dicembre descriveva nei dettagli le ricerche:

Don Giani si è messo all’opera silenzioso, osservato ora da vicino e ora a distanza da congiunti e amici della famiglia Curini. Seguendo quindi le oscillazioni del pendolino, egli ha percorso il terreno in un certo senso, spostandosi di tanto in tanto da una direttrice all’altra, e ritornando infine su quella che egli riteneva la «giusta», la stessa cioè che dovrebbero avere seguito lo scomparso e i due suoi aggressori. Don Giani «sentiva», come egli stesso ha affermato più volte, il percorso fatto dai tre e lo indicava senza esitazione. Le ricerche si sono poi spostate più a sud, lungo la strada di Lumellogno, a poche centinaia di metri dalla nazionale Milano-Novara-Torino, nel punto stesso ove due coniugi novaresi, certi Rastelli, da Granozzo, la stessa sera di giovedì avrebbero visto tre giovani colluttarsi [sic] tra loro e udito uno di essi invocare soccorso e gridare «Basta, mi ammazzano!». Nulla di particolare il pendolo ha rivelato in quel punto a don Giani. Egli non «sentiva» il passaggio dello scomparso. Poco dopo mezzogiorno le ricerche sono state sospese.

Anche l’altro prete-veggente, don Manzini, aveva ripetuto gli esperimenti, aggiungendo alcuni dettagli al responso precedente: il ragazzo giaceva sotto uno strato di sterpi e foglie, non lontano dal fiume Agogna, e gli erano stati rubati soldi e orologio. Certo, non sempre le sue intuizioni erano certe: prudente, il parroco si assegnava un 30-40% di successo. Al tempo stesso, però, raccontava anche lui al giornale le proprie vittorie, come la ricostruzione esatta delle circostanze in cui era morto un commerciante biellese, risultate del tutto simili a quelle appurate attraverso le indagini delle forze dell’ordine. E poi, la consonanza dei due responsi dava parecchio da pensare (Stampa Sera, 14 dicembre 1949).

Dal canto suo la polizia si limitava ad affermare di non aver prove per supporre la morte di Pier Luigi, e indagava sull’ambiente scolastico e familiare del ragazzo (L’Unità, 14 dicembre 1949).

La svolta

Il 14 dicembre corse per tutta la giornata la voce che il giovane era stato rinvenuto cadavere, ancora imbavagliato, colpito da tre pugnalate. Di nuovo, si trattava di voci prive di fondamento (Stampa Sera, 15 dicembre 1949).

Fu a questo punto che, mentre tutti i giornali erano concentrati sulle ricerche dei due parroci-radiestesisti, arrivò la sorpresa: il ragazzo era stato visto in Trentino da un conoscente della famiglia Curini, un certo Mario, che aveva subito mandato un telegramma ai genitori dello scomparso!

Vostro figlio pernottato venerdì a Borsago (Trento). Ripartito sabato per Campiglio.

Per Pier Luigi quelle località non erano sconosciute: vi aveva soggiornato in precedenza, con la famiglia. 

Nel frattempo, la polizia aveva cercato di risalire al motivo dell’allontanamento. Il sedicenne aveva frequentato la scuola media “senza molto profitto” e, dopo una sospensione, era passato alle scuole professionali, che frequentava peraltro con “risultati mediocri”. Aveva appena riportato a casa un 2 in geografia, voto che l’insegnante aveva scritto sul diario, chiedendo che fosse firmato dai genitori. Il giovane aveva falsificato la firma del padre. A quest’ultimo, poi, Pier Luigi aveva l’abitudine di mostrare un secondo diario in cui riportava solo “quello che egli riteneva conveniente”. Il giorno della scomparsa non aveva svolto due temi che gli erano stati assegnati. La polizia supponeva che il giovane fosse scappato di casa volontariamente, per sottrarsi alla severità del genitore (La Stampa e Stampa Sera, 15 dicembre 1949).

Il ritorno a casa

Ci volle ancora qualche giorno perché la vicenda si concludesse – in maniera assai meno cupa di quella preconizzata dai due sacerdoti. Quando il padre ricevette il telegramma, partì immediatamente per il Trentino, ma il figlio aveva già fatto perdere le sue tracce. A Borzago il ragazzo aveva soggiornato in casa della famiglia dove era stato in villeggiatura l’estate precedente, affermando di essere accompagnato da un adulto che però era rimasto in albergo, e che era lì per trattare l’acquisto di una casa. Poi se ne era andato a Campiglio, dove era arrivato “contento come una pasqua”, dichiarando ad alcune persone del posto di essere in gita. In paese aveva acquistato dei giocattoli e aveva poi ripreso il viaggio per Milano. Era senza documenti e senza portafoglio, e pagava con la somma che aveva carpito alla nonna (La Stampa e Stampa Sera 16 dicembre 1949).

Il quotidiano torinese sembrava pronto a dar la colpa di tutto alle “cattive letture” del giovane:

Su questo ragazzo sedicenne che fugge di casa e si mette a viaggiare in lungo e in largo per l’Italia provocando con la sua scomparsa tutta una serie di grossi guai, è interessante sapere un particolare significativo che ne illumina la personalità. Il Curini che a scuola per la sua svogliatezza non ritraeva alcun profitto, era in compenso un appassionato lettore di giornaletti di avventure e di album a fumetti. (La Stampa, 17 dicembre 1949)

A partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, con la rapidissima diffusione dei fumetti, le accuse contro quel tipo di pubblicazioni stavano diventando comuni

A Milano, il ragazzo rimase pochi giorni. Esaurito il denaro, fu fermato dalla polizia nei pressi della stazione: disse di chiamarsi Giuseppe D’Antoni, e fu spedito all’istituto di rieducazione “Cesare Beccaria” per aver fornito false generalità alle forze dell’ordine. Se la cavò con una diffida, e fu riconsegnato alla famiglia. 

E così Pier Luigi Curini, che secondo i radiestesisti avrebbe dovuto giacere cadavere sotto un mucchio di foglie, tornò a casa il 21 dicembre 1949, tredici giorni dopo la sua sparizione, giusto in tempo per festeggiare Natale con la sua famiglia. E la vicenda ebbe un lieto fine (La Stampa, 21 dicembre 1949). 

Lo stesso era accaduto per un’altra “sparizione” avvenuta negli stessi giorni: un ex-compagno di classe di Pier Luigi, il sedicenne Giustino Berni, si era anche lui allontanato da casa. Secondo La Stampa era proprio lui il “ragazzo biondo” di cui tanto avevano parlato i giornali in relazione alla sparizione di Pier Luigi; secondo L’Unità, invece, il biondo era un altro, da tempo non frequentava più Curini e aveva persino un alibi per il giorno della sparizione. Fatto sta che Berni era stato interrogato dalla polizia, si era impaurito e aveva deciso di scappare insieme a un altro amico, un diciassettenne. Furono entrambi riacciuffati a Genova pochi giorni dopo (La Stampa, 16 dicembre 1949). L’Unità del 16 dicembre non perse occasione per calcare la mano sulle “avventate asserzioni del famoso prete radiestesista, cui la stampa gialla ha dato il massimo risalto”.

Una storia dimenticata

Questa piccola vicenda a lieto fine si concluse dunque con il ritrovamento di entrambi i ragazzi. Si tratta di una storia ormai dimenticata, che, comprensibilmente, non si legge nei libri agiografici sulla personalità – pur notevole – di don Giani, scomparso nel 1952. Ma mette in risalto una cosa: del paranormale si ricordano sempre i presunti successi, dovuti spesso a causalità o ad erronee attribuzioni, assai raramente i palesi e innumerevoli insuccessi. Siamo convinti che i trionfali articoli sugli exploit del parroco soffrissero dello stesso, sistematico errore di fondo. Per dare un giudizio serio sulla radiestesia, come sul resto del “paranormale”, serve tener nota di tutto, in primo luogo di quelle volte in cui il pendolino prende un abbaglio. È anche per questo che oggi vi abbiamo raccontato questa storia: è la storia di un insuccesso dimenticato, ma che andrebbe invece ricordato.

Nel suo necrologio, il 17 ottobre 1952, L’Azione scrisse riguardo a quello strano potere dell’arciprete:

Era conosciuto ovunque per la sua abilità sulla radiestesia. Il tempo dirà più chiaramente se egli è un precursore.

La storia della scienza è andata in un’altra direzione. E lo ha fatto anche perché quei pochi successi, nel quadro generale, non erano altro che un accidente statistico, assunti come significativi in un eccesso di speranza.

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