28 Aprile 2024
Giandujotto scettico

L’autostoppista fantasma di Borgo San Martino

Giandujotto scettico n° 123 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (06/10/2022)

Oggi il Giandujotto scettico torna su un tema caro a questa rubrica: le leggende e dicerie che circolavano tra la popolazione durante gli anni della Prima guerra mondiale. La storia di cui ci occuperemo, per la verità, si diffuse prima che l’Italia entrasse nel conflitto, e lo fece in modo particolare a Borgo San Martino, comune dell’Alessandrino che non superava (né supera ora) le duemila anime.

A parlarne fu L’Azione, settimanale cattolico di proprietà della diocesi di Novara, nella sua edizione del 23 aprile 1915:

Borgo San Martino è da qualche giorno in fermento per un misterioso caso, che la fantasia popolare infiora di deduzioni mistiche, soffuse d’una certa poesia, e che passerà probabilmente – avvolta in una nube di leggenda alle generazioni future.

Ma qual era il caso misterioso? Beh, la storia che correva sulla bocca di tutti, e che in realtà era ripresa da un quotidiano, Il Giornale (forse, fra i diversi periodici con quel titolo, quello che usciva a Milano dal 1906 e che era fra i più importanti del tempo) aveva per protagonista un non meglio identificato carrettiere, che il sabato prima della pubblicazione del giornale (non è chiaro se il riferimento fosse alla fonte originale) si era trovato a fare la strada da Borgo San Martino a Mandello Vitta, in provincia di Novara. Doveva portare lì un carico di tavole di legno bianche.

A un certo punto era arrivato a un ponte sull’Agogna, il torrente che sfiora Novara. Oggi la strada diretta tra San Martino e Mandello non lo attraversa, ma nel 1915 naturalmente la rete stradale era assai meno sviluppata: possibile quindi che si dovesse fare qualche giro in più. Qui, nei pressi di una chiesetta, il nostro carrettiere aveva visto un “vecchio lacero e cadente”, appoggiato a un paracarro, che gli aveva fatto segno di fermarsi. 

– Dove andate col carro? chiese il vecchio.
– A Mandello…
– Se mi voleste prendere su…. sono tanto stanco.
– Accomodatevi! – annui il buon carrettiere, che aiutò il vecchio ad arrampicarsi, e lo fece sedere sulle assi, accanto a lui.

I due si misero a conversare, e il discorso cadde sulla guerra in corso dall’estate dell’anno procedente. Nell’aprile del 1915 l’Italia non era ancora entrata nel conflitto, ma stava per farlo. Sui campi di battaglia si scontravano gli imperi centrali (Germania e Austria-Ungheria) e i membri della Triplice Intesa (Francia, Inghilterra, Russia con i loro alleati).

Il carrettiere manifestò al suo compagno di viaggio la paura che anche l’Italia potesse essere “presa nell’orrenda macchina”. Per tutta risposta, il suo interlocutore gli fece un’inquietante profezia:

– No. […] Prima che la guerra avremo la rivoluzione.
– Purtroppo – rispose il carrettiere – non mancano i segni; laggiù a Milano, oh?

Il riferimento va spiegato. Dagli inizi del 1915 l’influenza dei nazionalisti interventisti, fino a quel punto ridotta, era cresciuta. Il mancato sfondamento tedesco sul fronte francese aveva ormai reso chiaro che non era in vista nessuna vittoria eclatante delle potenze centrali. In questo senso, gli interventisti scorgevano un rischio nella possibilità di arrivare a una pace senza che l’Italia fosse scesa in campo, e cioè che il nostro Paese non avrebbe potuto godere dei frutti della dissoluzione degli Imperi germanofoni, in particolare di quello asburgico.

Socialisti e cattolici invece erano largamente contrari all’intervento: questi ultimi, in particolare, erano restii a sostenere una guerra totale contro l’Austria-Ungheria, ultimo grande impero cattolico (questa cosa genererà nei primi mesi di guerra molte accuse nei confronti del clero, considerato un covo di spie del nemico). I socialisti, invece, erano maggiormente divisi: al tradizionale pacifismo si sovrapponevano le pulsioni dell’ala sindacalista e di quella rivoluzionaria, che nel caos della guerra vedeva la possibilità di rivolgimenti sociali di portata generale. Proprio in quei mesi Mussolini, già direttore del quotidiano del Partito socialista, Avanti!, aveva rotto clamorosamente con i suoi compagni, trasformando Milano in uno dei centri di maggior consenso all’entrata in guerra: non a caso, subito dopo la vittoria nella guerra, proprio a Milano sorgeranno i Fasci italiani di combattimento, cioè, il nucleo originario del Partito fascista.

Ma c’erano anche altri timori d’imminenti stravolgimenti dell’ordine sociale. Nel giugno del 1914, la settimana rossa che aveva avuto come teatro le Marche e la Romagna aveva fatto sorgere in molti la paura di una prossima guerra civile e del ricorso alle armi da parte di socialisti massimalisti e anarchici. Nell’aprile del 1915, dunque, tutto sembrava sul punto di precipitare. 

Anche tra i giornali era evidente la spaccatura: La Stampa, ad esempio, era su posizioni neutraliste, il Corriere della Sera interventiste, e, più modestamente, il settimanale della diocesi novarese su cui fu pubblicata la nostra storia – L’Azione – seguiva ovviamente la linea vaticana. Mal vedeva, quindi, le grandi manifestazioni interventiste che si stavano svolgendo in tutta Italia, al grido di Trento e Trieste Italiane. Il 17 gennaio, a Genova, una conferenza tenuta all’Università Popolare – ma forse dovremmo chiamarla un comizio – provocò una violenta manifestazione davanti ai consolati tedesco e austro-ungarico. Nei giorni seguenti, Parma, Padova e Pisa furono teatro di risse e proteste. Il 25 febbraio un altro comizio bellicista che si stava svolgendo al Teatro Lirico di Milano degenerò: anarchici e socialisti si scontrarono con gli interventisti, e ci furono diversi feriti. Analogo copione andò in scena, lo stesso giorno, a Reggio Emilia: il bilancio fu di un morto e parecchi feriti, sia tra i protagonisti del tafferuglio, sia tra le forze dell’ordine che erano intervenute per reprimerlo. Ovvio che un settimanale neutralista come L’Azione considerasse queste violente manifestazioni un rischio per il Paese, forse anche i prodromi di una rivoluzione. Dai primi di maggio, le manifestazioni e le intemperanze interventiste avranno il sopravvento.

Ma torniamo alla nostra storia. Pronunciata la fatidica profezia, il nostro vecchietto aveva proseguito il viaggio a fianco del carrettiere. I due erano arrivati a un’osteria, “isolatissima nella vasta pianura”, dove il conducente si era fermato per bere un goccio di vino. Il vecchio gli aveva dato un soldo, cioè cinque centesimi, chiedendo di prendere un bicchiere anche per lui, ma il carrettiere aveva rifiutato: glielo avrebbe offerto lui.

Per farla breve, l’uomo era entrato nell’osteria, aveva salutato qualche conoscente, aveva bevuto il suo vino e ne aveva portato un bicchiere fuori al suo passeggero; il vecchino, però, era scomparso.

Ecco l’epilogo della nostra storia:

[…] Il vecchio non c’è più. Guarda di qua, guarda di là; nulla. Il carrettiere attende dieci minuti… Il suo compagno di viaggio non riappare. E allora si decide a proseguire; e risale sul carro. Ma gli sfugge un grido di meraviglia. Sulla tavola sulla quale il vecchio s’era seduto, una bella asse bianca, che era bene intatta e bianca prima, appare, nera, incisa a fondo – e come solo si può fare con un ferro rovente – una croce correttamente disegnata, recante in alto le quattro sacre lettere I.N.R.I. (Jesus Nazarenus Rex Judaeorum) scritte dai giudei sulla croce di Cristo e piamente riprodotte in tutte le croci.

Una croce impressa a fuoco su una tavola prima bianca, quasi una firma: la prova tangibile che non si era trattato di un’allucinazione, che il vecchino c’era stato davvero – e la rivelazione della sua natura: l’allusione era che ad apparire come un fantasma fosse stato lo stesso Cristo. 

L’uomo aveva proseguito per Mandello rimuginando sullo strano caso – l’apparizione del passeggero proprio di fianco a una non meglio identificata “chiesetta del miracolo”, la sua sparizione improvvisa, le sue parole. Arrivato a destinazione, aveva raccontato a tutti la storia, aveva scaricato le tavole ma si era tenuto quella con la croce, ossia la prova della realtà dell’accadimento: pur essendo un pover’uomo, non avrebbe venduto a nessuno quel pezzo di legno, fosse pure per 10.000 lire. Conclusione del settimanale:

E la folla commenta, e infiora e crea la leggenda; e c’è chi parla d’un’apparizione del Signore, nelle lacere vesti di un vecchio e povero viandante!…

Ecco, in sintesi, la storia che stava circolando nell’Alessandrino in quelle concitate settimane che precedettero l’entrata italiana nel conflitto.

Per noi è una testimonianza preziosa delle paure e dei timori di una parte della popolazione: che quella spaccatura nel Paese fosse ormai insanabile, che il clima politico sempre più acceso stesse per condurre a una vera e propria guerra civile. Su un punto  L’Azione aveva torto: la storia non passò “avvolta in una nube di leggenda alle generazioni future”; non ne abbiamo trovato traccia nel folklore alessandrino, né sembra essere conosciuta in zona. Oggi è sostanzialmente dimenticata.

Eppure, si tratta di una variante davvero interessante di una leggenda metropolitana dell’autostoppista fantasma. Nelle storie moderne, in genere un giovanotto dà un passaggio a una donna che sta facendo l’autostop, di notte, lungo una strada. La passeggera è pallida e infreddolita, così l’uomo le offre la sua giacca, affermando che verrà a riprendersela il giorno seguente – un astuto espediente per poterla rivedere, dato che lei è anche molto bella. Il giorno seguente il guidatore torna all’indirizzo a cui è scesa la misteriosa autostoppista, ma lì non trova nessuna ragazza di quell’età: l’unica giovane che vi abitava è morta anni prima in un incidente stradale – gli viene spiegato. Sulla tomba della giovane, l’uomo troverà la giacca lasciata alla donna la notte precedente (dunque, anche in questo caso, come per la tavola del carrettiere, la prova che il racconto non è fantasia).

La leggenda è antichissima e presenta un gran numero di varianti. Per un’analisi dettagliata, consigliamo questo articolo di Paolo Toselli, fondatore del Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee e, per combinazione, anche lui alessandrino. Ma suggeriamo anche qualche versione un po’ più particolare come queste, questa o questa

Nel 1942, con un lavoro diventato classico per gli studiosi del leggendario contemporaneo, i folkloristi Richard K. Beardsley e Rosalie Hankey pubblicarono su California Folklore Quarterly due articoli nei quali sostenevano di aver individuato quattro filoni. Due di questi erano, rispettivamente, quello dell’autostoppista profeta che lascia al guidatore una profezia sul futuro, e quello dell’autostoppista divino, in cui l’identità del passeggero – inizialmente non nota – viene poi identificata con quella di un santo, di una divinità locale, di altra figura religiosa, o di una creatura soprannaturale. 

Esempio del primo filone è la storia della vecchina che, nel 1977, chiedeva passaggi alle auto di Milano preannunciando per il 27 febbraio un disastroso terremoto che avrebbe distrutto la città, e che poi scompariva dai veicoli lasciando una testimonianza del suo passaggio (un ombrello, un fazzoletto, o una carta di identità appartenuta a una donna morta dieci anni prima). Per il secondo filone, si può menzionare la vicenda del giovane biondo che, nel 1982, faceva l’autostop sull’autostrada Monaco-Salisburgo: diceva di essere l’arcangelo Gabriele e preannunciava la fine del mondo per il 1984, sparendo poi all’improvviso.

Si direbbe che nella nostra storia figurino entrambi gli elementi, oltre a quelli più tipici dei racconti di autostoppisti fantasma: la scomparsa misteriosa del passeggero dal mezzo e la testimonianza tangibile della sua presenza (nel caso del 1915 la croce, altrove la giacca o un oggetto personale dell’autostoppista). A questo si somma la presenza di una profezia sul futuro dell’Italia, tratto tipico delle leggende che si diffusero durante la Prima guerra mondiale. Ne abbiamo numerosissimi esempi, come la storiella su sant’Antonio che si diffuse a Torino nel 1916, o le varie previsioni che comparvero sui quotidiani durante tutti gli anni del conflitto. 

Spesso, comunque, si trattava di pronostici sulla durata e sull’esito della guerra; questa, a nostra conoscenza, è la prima leggenda che sembra voler allontanare la prospettiva dell’evento bellico, paventando però, al suo posto, lo spettro della rivoluzione e della discordia civile.

Tre giorni dopo l’uscita dell’articolo su L’Azione, cioè il 26 aprile 1915, l’Italia firmava segretamente il Patto di Londra, con il quale si impegnava a scendere in campo nell’arco di un mese contro l’impero Austro-Ungarico in cambio dell’annessione di nuovi territori dopo la vittoria. Il 24 maggio, l’esercito italiano dava il via alle operazioni militari lungo tutta la frontiera orientale, smentendo così clamorosamente la profezia del passeggero divino. Sarà la carneficina che ben conosciamo e che durerà sino al novembre 1918. 

Vatti a fidare degli autostoppisti fantasma.

Foto di Dorothe da Pixabay