28 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Pian Cavallone e il fantasma di Ferragosto

Giandujotto scettico n° 120 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (11/08/2022)

Tra le escursioni più classiche del Verbano, c’è quella verso Pian Cavallone. Ci si arriva partendo dalla valle Intrasca, in genere da Miazzina o da Intragna; poi, a circa 1500 metri di quota, si trova un pianoro con il rifugio del CAI, fatto costruire nel 1882 ed inaugurato il 29 luglio dell’anno seguente. 

Una leggenda di montagna

Negli anni, Pian Cavallone diventò una meta tipica per le scampagnate di Ferragosto; lassù ci si poteva godere il fresco e la quiete della valle. Ma negli Anni 30 del Novecento, gli escursionisti avevano una ragione in più per salire al pianoro: cercare di avvistare, almeno per una sera, il fantasma di Martinas, che compariva ogni anno alla vigilia del 15 agosto e ritornava un mese dopo, a settembre. La tragica leggenda parlava di un amore non corrisposto e di una donna uccisa: 

Circa centosettant’anni fa e precisamente nel 1769, viveva sulle pendici del monte Zeda un rude e perverso pastore di nome Martino (Martinas comunemente chiamato nel dialetto di allora) il quale s’era invaghito di una bionda e bellissima pastorella che viveva, nei mesi estivi, in una baita situata nei pressi del Pian Cavallone press’a poco nella zona ove ora è costruito il rifugio del C.A.l. La bionda pastorella, vergine e pura come il rododendro che nasce e fiorisce al Pian Cavallone, non voleva affatto saperne delle profferte d’amore che il maturo Martinas le faceva continuamente e cercava di sfuggirne la presenza.

Una sera d’agosto e precisamente il giorno 14 dell’anno di grazia del 1769, Martinas deciso più che mai a godere delle grazie della pastorella, scese dallo Zeda cavalcando un bianco cavallo e si presentò all’amata rinnovando le sue odiose brame. Ai rinnovati rifiuti il torvo Martinas, nel colmo del furore, si slanciò sulla pastorella e, dopo averne abusato, la buttò nel burrone sottostante, uccidendola. Il sangue della pastorella, così barbaramente uccisa, si sparse sulle pendici del Pian Cavallone che si ricoprì d’una selva sanguigna di rododendri che ancora oggi si possono ammirare. Compiuto il delitto Martinas rimontò sul cavallo bianco ma, nel fuggire verso lo Zeda, il cavallo inciampò e trascinò nel burrone il bieco Martinas che si sfracellò. (La Gazzetta del Lago, 23 agosto 1939) 

Da quel momento – si raccontava – alla mezzanotte del 14 agosto, annivesario dell’omicidio, compariva il fantasma dell’assassino, spirito senza pace condannato a vagare in eterno. Aveva l’aspetto di un cavaliere senza testa che risaliva le pendici di Pian Cavallone in groppa a un cavallo bianco (perché fosse decapitato, il racconto non lo dice; probabilmente, era una semplice suggestione dalla più celebre leggenda di Sleepy Hollow). In alcune versioni della storia, Martinas faceva una seconda apparizione un mese dopo, il 16 settembre, quando calava dalla montagna. 

Sull’origine della storia non si può dire molto. Probabilmente era solo un aneddoto che serviva a spiegare il proliferare dei rododendri rossi in quella zona. I particolari, come avviene sempre in questi casi, cambiano a seconda della versione, così come mutano  le date in cui sarebbe avvenuto il fattaccio. E non ha nemmeno troppo senso chiedersi se la vicenda avesse un fondo di verità: prendiamola così, come una leggenda di montagna da raccontarsi intorno al fuoco. 

Se la riproponiamo nella nostra rubrica, però, è perché a un certo punto la storiella si trasformò in cronaca: nel 1939, a quanto pare, il fantasma apparve davvero… 

La prima apparizione

A riferire questa vicenda fu La Gazzetta del Lago nella sua edizione del 23 agosto. Quell’anno, alla vigilia del 15, una trentina di turisti di ambo i sessi aveva raggiunto Pian Cavallone. Pietro Tincheri, che gestiva il rifugio, aveva servito un’ottima cena e l’allegria regnava sovrana. Fu in quel momento che uno dei presenti si ricordò della leggenda. 

 – Ragazzi, stasera è il 14 d’agosto! 

– E bene? 

– Non vi dice niente questa data, qui al Pian Cavallone? 

Nessuno parlò. – Sicuro – continuò – è la notte nella quale il fantasma di Martinas viene, su un cavallo bianco, sul luogo del delitto. Un brivido scosse le numerose signorine presenti e l’annunciatore fu assalito da una ridda di domande. 

– Racconta, racconta – urlarono tutti. Ed egli raccontò la storia. […] Non ci voleva di più per impressionare ed elettrizzare l’ambiente.

Beh, cosa avreste fatto voi a questo punto? Quasi tutti i presenti, ovviamente, volevano andare a vedere se il fantasma sarebbe comparso. Qualcuno tentennava, ma fu convinto dai più entusiasti. Una trentina di persone salì verso il luogo della leggenda:

Verso le ore undici la comitiva, che aveva atteso sul piazzale dell’albergo raccontando e ripetendo la storia di Martinas, s’incamminò per il sentiero che conduce alla cappelletta. Le donne si tenevano per mano e qualche giovanotto, approfittando della magnifica occasione e dello speciale stato d’animo, non elemosinava i suoi aiuti. La notte era fonda. Nuvole nere oscuravano il cielo ed una nebbiolina umidiccia invadeva e copriva tutte le quote intorno. […] Arrivati sullo spiazzale antistante alla cappelletta, la comitiva si sdraiò sull’erba.

– Che ore sono? – si chiese, – Sono le undici e mezza – si ripose – ancora mezz’ora.

– Ho paura – mormorò una ragazza – io torno. – Fatevi coraggio – sussurrò una voce – e appoggiatevi tutta a me. Undici e quarantacinque;’ undici e cinquanta.

I minuti passavano e nessuno fiatava. Tutti guardavano il piazzale antistante il pianoro. E a mezzanotte, accadde l’impossibile. 

Amici lettori e lettrici. Suggestione collettiva, autosuggestione, fantasia? Tutto quello che volete e potete anche riderne, ma quello che è certo è che, improvvisamente, un battere di zoccoli di cavallo si udì. Si sentiva il tonfo secco caratteristico degli zoccoli che arrancavano e salivano l’erta opposta.

– Viene – sussurrò un giovanotto. 

– Oh Dio! Svengo – fece eco una signorina con un soffio di voce. 

– Fra le mie braccia – ripeté una voce. 

Il rumore degli zoccoli, udito distintamente da tutti, s’avvicinava sempre più. Ad un tratto un chiarore apparve sulla dorsale ed una forma vaga, evanescente, bianchissima, a forgia di cavallo sbucò sullo spiazzo. Sul dorso una forma umana, senza testa, guidava con mani diafane l’apparizione. – Martinas, Martinas, – si mormorò. Il bianco destriero s’avanzò e s’arrestò davanti alla cappelletta; emise un debole nitrito a cui fece eco un gemito cupo del fantasma cavaliere e, dopo un ampio giro, scomparve verso il dirupo della dorsale opposta. Si sentì ancora il rumore degli zoccoli che lentamente si spensero, assieme a continui gemiti nel silenzio della notte.

Ebbene sì: il fantasma era comparso. Il settimanale locale che ne aveva parlato si chiedeva se Martinas sarebbe comparso anche nell’altra data fatidica, quella del 16 settembre. E aggiungeva:

Ognuno faccia ora i commenti che vuole. Padronissimo di farlo. Noi, per nostro conto, abbiamo la nostra idea. Questa è la vera storia della notte del 14 agosto al Pian Cavallone ed i testimoni furono una trentina di persone, gente pratica, posata e che non ha ubbie nel cervello.

Racconti e fantasie

Più che a un fenomeno di suggestione collettiva, verrebbe da pensare a una studiata rappresentazione: qualcuno che si era travestito da fantasma e aveva deciso di cavalcare di notte, per dar qualche brivido all’allegra compagnia o per far pubblicità all’amena località. I folkloristi parlerebbero di ostensione (la messa in scena di una leggenda, dal momento che, come hanno suggerito i folkloristi Linda Dégh e Andrew Vázsonyi, “un fatto può diventare narrazione e una narrazione può trasformarsi in fatto”). 

Nel caso dei fantasmi, il Giandujotto scettico vi ha raccontato diversi episodi di messe in scena a base di spiriti (ricordiamo, ad esempio, la caccia al Batù bianc di Chieri e l’incidente occorso a Massimo D’Azeglio). Quanto al perché il fantasma di Martinas fosse saltato fuori proprio nel 1939, possiamo fare soltanto una congettura. 

Appena sei mesi prima, nell’edizione del 5-11 febbraio 1939, la popolarissima Domenica del Corriere aveva pubblicato un racconto basato sulla leggenda di Martinas. Potete trovare qui la pagina digitalizzata sul sito della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma. L’autore era Francesco Maria Macciò, scrittore di romanzi, di storie di spionaggio e testi radiofonici (nel 1946 andrà a dirigere una delle prime riviste italiane di fotoromanzi, Grand Hotel). 

Il testo – decisamente più letterario di quello della Gazzetta del Lago – è narrato in prima persona dal protagonista della vicenda, che si trova con amici a Pian Cavallone proprio la vigilia di Ferragosto. Quella notte, dopo aver ascoltato i racconti su Martinas (l’omicidio, in questa versione, avviene nel 1885), avvista un cavallo bianchissimo che sale sulla montagna. I suoi amici scappano, una sua amica sviene. Lui rimane solo di fronte all’animale e si accorge che ha le redini tirate, come se fosse cavalcato da un uomo invisibile. Al pronunciare la frase “Martinass, sei tu?”, dall’apparizione esce un grido umano. Il protagonista cade in ginocchio, recitando il Padre Nostro… Quando riapre gli occhi, il fantasma è scomparso. Il giorno dopo, troverà sul suolo orme di cavallo miste a impronte di stivali, che si dirigevano verso la croce dedicata alla morta.

La narrazione si manteneva incerta tra finzione letteraria e pretesa di realtà. In chiusura, il testo faceva oscillare il pendolo nella seconda direzione, quando affermava “questo è il racconto che mi ha fatto il signor Luigi Pennati, di Novara”, ma in occhiello, in cima alla pagina, il titoletto ammoniva che la storia faceva parte dei “Racconti assurdi”. La Domenica del Corriere, d’altra parte, faceva spesso così: si trattava dell’inserto illustrato del Corriere della Sera: una delle sue caratteristiche era proprio quella di presentare brevi racconti di fantasia o storie “vere” rielaborate (culmine di questo genere letterario sarà la rubrica “La realtà romanzesca”, ad opera di Mino Milani). 

Ecco, quindi, come potrebbe essere nato il tutto: un racconto di fantasia che aveva dato lo spunto per uno scherzo messo in scena pochi mesi dopo la pubblicazione del quasi-racconto sulla Domenica del Corriere.  

Un’altra testimonianza

Non sappiamo se a settembre del 1939  il fantasma fece rivedere. Non abbiamo trovato nulla sui giornali locali. Ma, prima della data fatidica, la Gazzetta del Lago del 9 settembre aveva ancora uno scoop da fare: il racconto di un’altra apparizione del fantasma di Pian Cavallone, giunto via lettera da parte di un non meglio identificato “pensionato residente ad Intra”.

Anche lui aveva visto Martinas, nel settembre del 1919. Così raccontava

[…] mi trovavo a Miazzina per un breve periodo di riposo. Amante delle passeggiate notturne in montagna, ogni sera, dopo cena, mi allontanavo dal paese spingendomi talvolta verso Pian Cavallone. Una domenica (mi ricordo benissimo che oltre Zeda si profilava la minaccia di un temporale), respingendo i consigli dei familiari, mi – avventurai sulla montagna deciso a pernottare in qualche baita in caso di maltempo. Alle 22, mentre attraversavo un bosco, ebbi la precisa sensazione che uno spaventoso uragano stava oramai per scatenarsi. Infatti, dopo qualche ora, lampi sinistri cominciarono a squarciare l’oscurità mentre i primi goccioloni picchiettavano sulle foglie ancora immobili. Ritornare a Miazzina non c’era nemmeno da pensare; l’unica via di scampo era quella di rifugiarsi in qualche casupola. E così feci.

In questo caso, l’anonimo protagonista della storia si rifugia in un’abitazione, mentre infuria l’uragano, Verso mezzanotte, sente bussare alla porta. Lui esita, ma i colpi aumentano di frequenza e d’intensità. L’uomo decide di aprire piano piano…

Una visione terribile mi fece gelare il sangue nelle vene. Un essere senza capo e col corpo avvolto da un tabarro nerissimo, stava sulla soglia. A due passi un bianco destriero annusava una catasta di fascine. Il terrore mi aveva inchiodato sul posto e non trovavo più la forza per reagire. La spaventosa visione durò per tre o quattro minuti: poi il fantasma decapitato, allargate le braccia come per un gesto disperato, scomparve nella boscaglia seguito dal cavallo di cui però non sentii lo scalpiccio degli zoccoli. Mi ritirai tutto sconvolto e disfatto. Pareva che fossi appena entrato in convalescenza dopo una tremenda malattia. Il mattino scesi in fretta a Miazzina, ma dell’accaduto non ne feci cenno ai congiunti e nemmeno agli amici. Ma il «segreto» di quella notte lontana mi tormentò a lungo il cuore. 

Un’apparizione attesa con ansia

L’estate successiva, quella del 1940, l’attesa era palpabile. Il 10 agosto, la Gazzetta del Lago alimentava la suspence:

La mezzanotte del 14 agosto c. m. è attesa con ansia dagli appassionati della montagna amanti delle più forti emozioni. Il fantasma di Martinas, che l’anno scorso è apparso puntualmente col suo bianco destriero, si farà vedere anche questa volta? La risposta dovrebbe essere affermativa perché la maledizione eterna che pesa su Martinas è come una terribile condanna che si rinnova di anno in anno inesorabilmente. Chi vuol vedere Martinas deve recarsi all’alpe Cavallone mercoledì prossimo ed attendere la calata delle ombre notturne. Poi il resto verrà… 

E il resto, appunto, arrivò. Il 24 agosto la solita Gazzetta del Lago poteva darne notizia: anche quell’anno il fantasma si era ripresentato, puntualissimo. I numerosi escursionisti che si erano appostati a Pian Cavallone per vederlo non erano rimasti delusi. Era stata un’apparizione “terrificante”, che aveva fatto “gelare il sangue nelle vene” anche a quelli che avevano preso la cosa sul ridere. Il settimanale concludeva:

Chi ha «visto» ben difficilmente ritornerà al Pian Cavallone nel Ferragosto dell’anno prossimo perché la visione di Martinasc è una visione da incubo. Per quanto tempo ancora questo truce fantasma scenderà sul Pian Cavallone una volta all’anno? E se si trattasse di un’eterna dannazione? 

La delusione del 1941

La dannazione eterna terminò, a quanto pare, l’anno successivo. La vigilia di Ferragosto 1941 frotte di curiosi accorsero a Pian Cavallone per vedere il fantasma. Lui, però, non si fece vedere. Lo riferiva, un po’ delusa, la Gazzetta del Lago del 20 agosto:

Quest’anno il fantasma di Martinasc, che la notte dal 14 al 15 agosto appariva immancabilmente col suo cavallo bianco, sopra al Pian Cavallone, non è apparso. Di questa mancata apparizione sono rimasti scontenti le solite comitive di escursionisti che aspettavano soltanto il Ferragosto per assistere alla spaventosa Cavalcata. Anche i cronisti hanno provato una forte delusione. Non è giusto imprecare contro Martinasc, perchè se quest’anno non si è fatto vedere, avrà certamente avuto le sue buone ragioni… Non vogliamo, quindi, associarsi a coloro che se la prendono con il fosco bandito medievale qualificandolo come uno screanzato ed un villano…

Da quel momento, per quanto ne sappiamo, Martinas non si mostrò più. Forse il bel gioco doveva durare poco; forse erano arrivati anche in quell’angolo remoto fantasmi ben più spaventosi di lui, quelli della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1941 cominciava a risentirsi dell’andamento del conflitto: nei mesi precedenti l’ltalia aveva subito pesanti sconfitte: il riuscito attacco aereo inglese contro la flotta di base a Taranto, la tragedia del fallito attacco alla Grecia e la disfatta della X Armata al confine fra Libia ed Egitto, ancora ad opera degli inglesi e degli altri Paesi del Commonwealth. È probabile che ci fosse meno voglia di scherzare. Forse, semplicemente, chi aveva messo in atto quella farsa aveva ormai raggiunto il suo scopo…

Rimase, nella gente del posto, un legame con il fantasma del Martinas, immortalato anche in due illustrazioni dell’artista locale Mario De Micheli: una vicenda tragica di morte e dannazione che nel 1939-40, almeno per un istante, era diventata vera.

Foto di Voicu Horațiu da Unsplash