27 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Cuneese, 1972: l’estate dei mostri

Giandujotto scettico n° 50 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (07/11/2019)

La storia di oggi è quasi un caso da manuale per le manie da “animali misteriosi”. È avvincente, e al tempo stesso mostra come queste vicende, in molti casi, oscillino tra racconti su animali “pericolosi” ma congruenti con il contesto culturale dei posti (lupi, cani randagi), oppure su animali al limite di quel contesto (orsi, sciacalli dorati), o estranei ad esso (puma) – ma comunque sempre da zoologia “normale” – e zoologia mitica in senso proprio, quella dei “mostri”, del totalmente altro.

Nella storia che si dipanò fra il giugno e il luglio del 1972 abbiamo tutto questo, persino con qualche cenno non esplicito a presenze ancora più “misteriose” di quelle animali (strane tracce che farebbero quasi pensare ad attività rituali).

Qualcosa si aggira lungo l’alveo della Stura…

A dare l’allarme all’opinione pubblica piemontese non furono i periodici della Provincia Granda. Per quanto ci è dato vedere, la stampa locale per qualche motivo preferì praticamente ignorare quanto stava accadendo. Forse non ritenevano la storia degna di nota, forse – un po’ moralisticamente – non voleva dar corda a racconti che riteneva poco seri. Sta di fatto che testate come La Guida di Cuneo, Corriere di Saluzzo, Gazzetta di Saluzzo, Il Saviglianese e così via omisero di riferire qualsiasi notizia al riguardo.

Fu compito dei principali quotidiani torinesi farlo – La Stampa e, soprattutto, la Gazzetta del Popolo, che ci fornisce le cronache più emotive e articolate sulla saga dei mostri cuneesi del 1972.

Ad aprire le danze fu, appunto, l’edizione del 13 giugno della Gazzetta. Nella zona della Stura a sud di Fossano, dai primi di giugno circolavano dicerie sulla presenza di “un grosso animale selvatico”, un vero e proprio “mostro” del quale si raccontavano “particolari terrificanti”, tanto che i contadini di Sant’Albano Stura, di Castelletto Stura, Murazzo e Montanera alla sera non uscivano più di casa, lasciavano le luci esterne accese e rinunciavano ad irrigare i campi dopo il tramonto.

Agli inizi la storia era stata ritenuta uno scherzo, ma, visto che negli ultimi due giorni la paura era cresciuta, delle voci si erano interessati i Carabinieri della Tenenza di Fossano, che la sera di domenica 11 giugno, insieme a guardiacaccia e guardiapesca avevano compiuto una prima battuta, che si era estesa dalla periferia di Fossano sino al limite con il territorio del comune di Cuneo. Dai sentieri che dai campi scendevano alla boscaglia che delimitava il greto della Stura, qualcuno aveva già rinvenuto delle orme. Sembravano – raccontava la Gazzetta – appartenere a un orso. Anzi, visto che ce n’erano di grandi e di piccole, gli orsi potevano essere due – di dimensioni diverse.

Ma in che cosa consisteva, orme a parte, l’evidenza intorno cui ruotavano quelle paure? Sulle cortecce degli alberi erano state notate parecchie unghiate sino a 2,5 metri da terra; alcuni tronchi erano completamente scorticati. Era stato anche rinvenuto un cane dilaniato.

Circa la battuta effettuata, scriveva il corrispondente della Gazzetta del Popolo,

I più sono scettici sulla possibilità che stamane i Carabinieri tornino in caserma con la preda… D’altra parte l’intervento dei militi si propone di accertare l’eventuale presenza dell’animale, ma soprattutto vuole riportare tra i contadini della zona la serenità.

Questo elemento dell’intervento delle autorità è una costante nella presenza “infestatoria” di aree specifiche da parte di animali misteriosi, “mostri”, fantasmi e altre entità soprannaturali: l’azione in quanto tale di norma sfocia in un nulla di fatto, ma in qualche raro caso razionalizza le paure collettive. È, comunque, qualcosa di fortemente desiderato: conferma che è meglio darsi da fare che restare inerti, e che il panorama geografico e culturale che consideriamo “nostro” è assoggettabile a interpretazioni rassicuranti.

In contemporanea, però, quello stesso 13 giugno, il quadro che Stampa Sera dipingeva da Fossano andava in direzione assai diversa rispetto a quella “rassicurante” con cui Gazzetta del Popolo aveva esordito al mattino.

La “misteriosa belva” seminava il terrore, attaccava quasi ogni notte i bovini della zona, dilaniava cani da guardia… C’erano già state battute da parte di contadini e cacciatori, e ora addirittura si parlava del prossimo impiego di un elicottero dei Carabinieri: un quadro da psicosi collettiva. A questo si aggiungeva il dettaglio clou. La storia, infatti, era esplosa il 7 giugno, quando, alle 4 di mattina, una famiglia di allevatori di Ceriolo di Sant’Albano Stura era stata svegliata dai latrati del loro cane da pastore, Felin. Uno di loro, afferrato un fucile, si era affacciato alla finestra della Cascina Brondero e aveva visto, a trenta metri dalla recinzione, il cane “che lottava disperatamente con un altro animale, una bestia molto più grande di lui”. Nessuna descrizione dettagliata: un secondo componente della famiglia aveva scorto solo un’ombra, e poi aveva ritrovato il corpo esanime di Felin.

Era stato ucciso con un morso alla gola. Si vedevano distintamente i segni di due denti, dei buchi profondi, sui lati della gola. Il corpo era straziato da unghiate. Si è fatto uccidere cercando di salvare le nostre bestie.

Si parlava poi di altri avvistamenti, ma senza dettagli. Forse – di qualsiasi cosa si trattasse – era una bestia fuggita da un circo, o da uno zoo. Senza dirlo in modo esplicito, dunque, qui l’idea era che potesse essere un qualche animale esotico, non consueto per la piana piemontese.

Un orso, magari, ma chi lo aveva visto diceva che somiglia a un cane, secondo quanto scriveva Luigi Botta per la Gazzetta del Popolo del 15 giugno, e comunque una bestia pesante, visto che lasciava impronte “enormi, quasi della grandezza di una mano aperta” anche sulla terra dura. Numerose pure le unghiate che gli erano attribuite, da Ceriolo di Sant’Albano Stura sino a Consovero, Morozzo, Murazzo, Castelletto Stura e Montanera, con segni visibili anche sull’asfalto e sui tronchi degli alberi…

Sembrava, anzi, che degli alberi rovinati si parlasse già dal settembre dell’anno scorso, il 1971, ma alla fine era stata l’uccisione di Felin a scatenare il terrore di massa. In realtà, anche nel caso dell’attacco al cane della cascina, l’osservazione del “mostro” era stata del tutto fuggevole. Dal cortile, con una torcia elettrica, a una cinquantina di metri di distanza, i due proprietari del pastore dilaniato avevano scorto “due enormi occhi puntati” verso di loro, ma nient’altro.

Dalle unghiate e dai morsi sugli alberi, si ipotizzava, doveva trattarsi di un qualcosa “alto due metri e mezzo”. Ma se davvero era un orso, come mai le orme lasciate presentavano quattro unghie, e non cinque, come quelle del plantigrado? Allora magari, poteva trattarsi “di una specie estinta da tempo” (?).

I contadini della zona spiegavano a Botta, il cronista della Gazzetta del Popolo, che da allora in poi sarebbero andati ad irrigare i campi, la sera, in gruppo e armati di fucili.

Sabato 17, ecco una battuta in stile ancora più grande. Vi prendono parte, in un terreno segnato da piogge abbondanti lungo il corso della Stura, un centinaio fra Carabinieri della Tenenza di Fossano, cacciatori esperti e guardiacaccia. Ma da Cuneo, dove in Piazza d’Armi ha piazzato i tendoni, arrivano anche i domatori del Circo Orfei con reti adatte ai grandi animali.

Le cronache di Gazzetta del Popolo e Stampa Sera del 17 giugno restituiscono il senso di allarme e della mobilitazione in corso. Tutti mettono l’accento sull’arrivo del personale circense. Ora si riparla di “lupo” o di cane inferocito, e comunque di più di un animale – forse due – ma, morte di Felin a parte, quello che colpisce tutti sono le unghiate vistose sugli alberi.

Dopo un paio di giorni, il 20 giugno, le acque sembrano placarsi. Gazzetta del Popolo scrive che la tensione nel Fossanese è calata. La grande battuta di sabato non ha portato a nulla, e il Circo Orfei si è spostato ad Alba, da dove non potrà più mandare i suoi uomini e i suoi mezzi; al contempo le “uscite” degli animali misteriosi (perché ormai se ne parla al plurale) paiono essersi diradate. Un’immagine scattata dal fotografo Badino mostra il calco di un’impronta del “mostro” – forse un lupo, si dice di nuovo. Per la didascalia che l’accompagna “le quattro grosse protuberanze corrispondono al palmo e alle falangi distali”.

Dal Fossanese a Marene

In questo modo si chiudeva la prima parte del ciclo delle storie di mostri cuneesi dell’estate 1972: quella incentrata sul Fossanese. Come visto, probabilmente voci sulla presenza di animali minacciosi circolavano in quella zona da parecchi mesi, ma fu la morte di Felin a farle detonare in psicosi, forse attenuata dalle battute del 13 e del 17 giugno, che si conclusero senza esito. Ma la stessa storia si ripresentò poco tempo dopo a Marene, decisamente più a nord di Fossano, e lontano dal corso del fiume.

Il 24 giugno 1972 la Gazzetta del Popolo annunciò infatti che c’era stata una seconda vittima dei “due mostri”. Si trattava di Riki, il cane più fidato di una cascina di Costa Trucchi, a cinque chilometri da Marene. Tre notti prima il proprietario ne aveva notato la scomparsa. Un secondo cane era stato trovato quasi subito coperto di sangue, nascosto, con un orecchio tranciato di netto.

Al mattino, la scoperta peggiore: Riki giace col corpo straziato a un chilometro di distanza, ma senza esser stato divorato. “i mostri si limitano a succhiare il sangue”, commenta il quotidiano torinese. E aggiunge:

Tutto intorno il raccolto era rovinato. Sembrava ci fossero tracce di danza, di una sorta di rito con teste raccolte a cerchio.

La sera dopo, il contadino sente altri rumori inconsueti. I cani abbaiano, prende la doppietta, esce, intravede “un’ombra di notevoli dimensioni” e spara. Al mattino dopo trova le impronte che vi presentiamo qui sotto, ed evidenti tracce di sangue. Ora uno dei “mostri” dev’essere ferito. Forse sono due lupi che non temono l’uomo, ma è strano che si limitino ad uccidere senza sfamarsi, scrive la Gazzetta del Popolo per aumentare il mistero.

Il panico riesplode. Il due mostri sono giunti a Savigliano, dunque sono alle soglie di un centro urbano più grosso, scrive il 25 ancora la Gazzetta.

Dopo gli allevatori e i contadini, entra in scena un’altra categoria lavorativa, quella dei macellai.

Mentre due di loro, residenti a Savigliano, rientrano in auto da una cena, si vedono attraversare la strada da “uno strano animale” che li incrocia sulla strada della frazione Sanità di Savigliano, presso il bivio per Costigliole Saluzzo. Il guidatore prosegue la marcia, ma poi pensa alle bestie del Fossanese, torna indietro e rivede la bestia oltre il torrente Maira, verso la nuova piscina comunale, in via Becco d’Ania. La tallona, la costringe a fermarsi in un campo, l’abbaglia con i fari. Quella è ferma, a soli quattro metri dalla vettura. Si tratta di animale robusto, lungo circa un metro e mezzo, con la testa piuttosto grossa, muso affusolato, denti lunghi e pronunciati, pelo abbastanza lungo e rossiccio. Fugge. I due chiamano altri amici, insieme trovano le tracce di un esemplare. Sembrano quelle di un lupo, ma la cosa non li convince del tutto.

Intanto, sindaco e veterinario esaminano la carcassa di Riki, che è stato morso alla schiena, fino agli organi vitali. Una battuta di cacciatori non dà esito, malgrado un capretto sorvegliato da alcuni di loro sia posto come esca nella zona.

La sera del 28 giugno – racconta la Gazzetta del Popolo del giorno dopo – un terzo abitante di Savigliano, un uomo che si trova alla guida dell’auto insieme a due amici sulla provinciale per Marene, si trova davanti “uno dei due mostri” e lo descrive in modo simile a quello dei macellai pochi giorni prima. I tre lo seguono per un po’, poi quello si allontana nei campi. Corrono dai Carabinieri. Il pelo rossiccio stavolta fa pensare non più a un lupo, ma a un puma. I contadini, comunque, sono fiduciosi che quando il grano sarà tagliato non potrà più nascondere la belva e si potrà procedere alla sua cattura.

Una conclusione ambigua

Per quanto ne sappiamo, con il 29 giugno 1972 le notizie sugli avvistamenti dei “mostri” del Cuneese cessarono. Le due fasi del Fossanese e del Marenese (e del Saviglianese, se vogliamo) si erano succedute rapidamente senza che si fosse giunti a un vero scioglimento della tensione.

Silenzio dei giornali per una settimana e poi… il chiarimento – o forse no?

Il 5 luglio un settimanale radicato più a nord-est rispetto a quelle incriminate, Gazzetta d’Alba, annuncia senza particolare enfasi (un breve articolo di una sola colonna!) che “il mostro” è stato catturato. Anzi, che è stato ucciso.

Domenica 2 luglio, a Verduno, nelle Langhe, un lupo maschio di quattro anni dal pelo grigio-rossiciccio era stato ucciso mentre “assaliva” una cascina. La breve cronaca ha toni terribili, e indica quanto la sensibilità verso le altre specie animali sia da allora cambiata. Due uomini avevano affrontato l’animale “con coraggio”, anche se “il coyote” (!) aveva cercato di avventarglisi contro. Abbagliato dai fari di un trattore che illuminavano il porticato sotto il quale l’orrendo mostro si era rifugiato, dopo una “lotta dura”, l’animale aveva avuto la peggio “colpito dai badili e dalle zappe dei contadini”.

Il mattino dopo il lupo – se di lupo davvero si trattava – fu portato in giro per il paese a mo’ di trofeo. Si ipotizzava con allegria che sarebbe stato imbalsamato e collocato nel salotto di casa.

Giustizia era fatta, il controllo del territorio minacciato dai mostri ristabilito. Fossanese, Marenese ed Albese potevano tornare tranquilli. Le preoccupazioni delle categorie sociali più interessate agli avvistamenti, alle cacce e agli inseguimenti (allevatori, contadini, macellai) potevano placarsi, e l’ondata di voci, ipotesi, avvistamenti, rinvenimenti di tracce poteva concludersi. Nessuna bestia più si aggirava nelle ricche campagne cuneesi.

O forse no.

Forse il fantasma della bestia non poteva dileguarsi con le badilate contadine ferocemente menate sul canide.

Le testate delle zone di Saluzzo e Savigliano tacevano, mentre quel cadavere faceva il giro di Verduno. Il 6 luglio fu un settimanale di una zona del tutto diversa, L’Unione Monregalese di Mondovì, a intonare un controcanto alla storia del “mostro” messo a tacere a Verduno. Ma si trattava di un controcanto stonato.

Non si diceva quando era successo, ma la bestia, definita “mostro della Stura”, alla fine era stata scoperta da un contadino vicino ad una cascina di Marene, circondata e allegramente uccisa a fucilate.

Un non meglio precisato “esperto giunto da Torino” aveva detto che si trattava di uno sciacallo dorato, animale che in Piemonte non c’è, e che in quegli anni probabilmente non era documentato nemmeno nelle parti di territorio italiano dove ora si sa esser davvero presente, ossia nel nord-est (Friuli Venezia-Giulia, Veneto, Trentino).

Sarebbe stata una scoperta eccezionale, dal punto di vista zoologico. Invece, a parte quel trafiletto di un settimanale locale, per altro neanche pubblicato nell’area della presunta uccisione, di immagini del corpo dello “sciacallo dorato” e dell’anonimo “esperto giunto da Torino” non siamo riusciti a trovarne.

Non siamo certi di cosa abbia davvero causato tutto questo ambaradan, nel Cuneese dell’estate 1972, né se davvero ci fosse un lupo, o una coppia di lupi. La storia dello sciacallo dorato è la ciliegina sulla torta di un ciclo di racconti esemplare di queste mitologie, credenze, narrazioni, visioni del mondo: storie cicliche che sembrano fatte apposta per ribadire il dominio della nostra specie sull’ambiente, il suo utilizzo senza troppe domande e la messa ai margini degli altri animali, le bestie che minacciano i nostri cortili, le nostre greggi, i nostri bambini.

Sotto il profilo antropologico i racconti sulla presenza di “animali misteriosi” svolgono varie funzioni, in specie se ambientati in aree fortemente antropizzate. Nel nostro caso – con o senza “vero” lupo da fare a pezzi – ci è parso che la virulenza del linguaggio usato dagli attori di questa saga si possa interpretare nel modo cui abbiamo appena accennato.

Questo mondo è mio, ne sono il signore, so come usarlo e nessun’altra presenza estranea lo minaccerà.

Foto di domitian da Pixabay