12 Novembre 2024
Approfondimenti

Alla ricerca del principio dei simili – prima parte

Alla ricerca del principio dei simili – Gli omeopati confutano la dottrina di Hahnemann
di Rob Nanninga. Articolo originale pubblicato su Kloptdatwel. Si ringrazia Giulia Maffucci per la traduzione.

Secondo la teoria omeopatica, i prodotti omeopatici somministrati alle persone sane causano una forma molto lieve di malattia poiché generano in loro particolari sintomi. Quando tali sintomi indesiderati si presentano nella forma di una vero e propria malattia, gli stessi prodotti diventano anche la cura adatta. Questo è il principio dei simili, il fondamento dell’omeopatia: “similibus similia curentur”, i simili si curano con i simili. Negli ultimi duecento anni gli omeopati hanno effettuato numerosi esperimenti dai quali risulterebbe che quasi tutte le sostanze generano sintomi e quindi si possono usare come cure, ma solo negli ultimi anni molti omeopati hanno scoperto quanto sia difficile dimostrare scientificamente che i rimedi omeopatici si comportino diversamente dal placebo.

Per stabilire quale sia la cura adatta per ogni paziente gli omeopati possono consultare una Materia Medica. Quest’opera di riferimento contiene informazioni su molti prodotti omeopatici che vengono sperimentati su volontari sani e per ognuno vi è una lista di sintomi riscontrati dalle persone testate dopo la sua assunzione.

Negli esperimenti sulle cure omeopatiche, chiamati proving, quasi sempre la diluizione è così alta che non restano più molecole della sostanza originaria (vedere “Diluizioni e potenze”). L’esperimento si può fare con pillole di zucchero, inumidite precedentemente con il prodotto, che le persone testate (quasi sempre omeopati o studenti di omeopatia) fanno sciogliere in bocca. Generalmente i tester ricevono l’istruzione di continuare dai tre ai cinque giorni e di smettere non appena avvertono i primi sintomi anomali; dopo di che per qualche settimana devono annotare con precisione quali esperienze soggettive psicologiche e fisiche vengono probabilmente causate o influenzate dal prodotto. I sintomi possono essere riscontrati anche dopo un mese, ma fortunatamente nessuno dei tester presenta danni permanenti.

Tutte le persone testate sono guidate da un supervisore con cui hanno contatti regolarmente. Il supervisore deve fare attenzione a segnali insoliti, da una palpebra tremula al prurito alle dita, da rimorsi di coscienza a sogni sul volo. Ogni dettaglio deve essere registrato e sono importanti anche il momento e la circostanza in cui un sintomo si manifesta. Prima del test il supervisore deve annotare dettagliatamente per iscritto lo stato di salute del tester così da valutare meglio i sintomi riscontrati rispetto al loro normale stato di salute. È consuetudine sin dall’inizio del secolo scorso che il supervisore e il tester non sappiano quale farmaco sarà testato (il cosiddetto “protocollo cieco”).

È stato ormai accettato che un rimedio non causa in tutti gli stessi sintomi, poiché gli individui hanno sensibilità diverse ai vari effetti. Per avere un quadro completo il prodotto può essere somministrato a un buon numero di persone, così da ottenere centinaia di sintomi specifici. Un esempio di sintomo potrebbe essere la paura del futuro, ma anche la paura quando ci si alza al mattino, dopo aver bevuto il caffè, quando si ascolta la musica o si è in bagno. Quando si ripete il test su altri volontari sani, si possono riscontrare sintomi differenti, e ancora altri sintomi si possono osservare anche quando il farmaco viene somministrato a persone malate.

Diluizioni e potenze

Un farmaco omeopatico può essere preparato da una pianta triturata e messa a bagno in una soluzione alcolica per circa due settimane. Il preparato viene poi filtrato e pressato fino a ottenerne un liquido; se ne prende una goccia, si aggiungono 99 gocce di acqua e alcool e si agita con forza per 14/15 volte. Si ottiene così una bottiglia con circa 5 ml di liquido in potenza C1 (una diluizione centesimale). Se si vuole fare tutto a regola d’arte, allora la bottiglia deve essere riempita per due terzi del liquido e chiusa con un tappo quando la si agita. In seguito si può mescolare una goccia di questo liquido con 99 gocce di alcool e acqua e ottenere una potenza C2. Le restanti 99 gocce di C1 possono essere buttate via o usate per ottenere 99 bottiglie di C2. Le cento bottiglie così possono essere trasformate a loro volta in centomila bottiglie di C3, un milione di C4, cento milioni di C5, ecc.

I test sui farmaci omeopatici vengono fatti il più delle volte con una potenza di C30 o C12. Già la potenza C12 (e corrisponde alla potenza D24, ventiquattresima diluizione decimale, cioè 10-24) è fortemente diluita, quanto una goccia della sostanza originaria in 50 milioni di km cubici di soluzione alcolica. Se si prendono un paio di quelle gocce, sarà improbabile assumere ancora qualcosa della sostanza originaria; per non parlare della C30. Dunque gli omeopati credono che una proprietà officinale in sé, in quanto immateriale, sia debole, ma si manifesti con più intensità e purezza mano a mano che la sostanza viene diluita più volte e agitata con forza. È utile usare una bottiglia nuova per ogni diluizione, ma esiste anche un metodo più rapido con il quale basta svuotare ogni volta la stessa bottiglia e riempirla di nuovo con una soluzione alcolica. Non è più necessario aggiungerci quella goccia potenziata perché secondo gli omeopati la quantità necessaria di liquido rimane attaccata alla bottiglia.

Circa il 70% delle cure omeopatiche è ricavato dalle piante; in linea di massima però si può usare quasi tutto come rimedio: oro, arsenico, sale da cucina, ragno velenoso o castoro canadese. Le sostanze non solubili vengono mescolate con 99 parti di zucchero e pestate a lungo in un mortaio di porcellana. Una parte di questo mix può essere mescolata ancora con 99 parti di zucchero per ottenere una potenza più alta. Alla fine la miscela è costituita (quasi) solo da zucchero che può essere sciolto in acqua e alcol per preparare potenze più alte.

Il rimedio appropriato

Tutti i sintomi riscontrati dai tester vengono elencati in un rapporto di ricerca, ma la lista rischia di diventare così lunga e sconnessa da non permettere più una visione d’insieme. Perciò, una volta concluso l’esperimento, i partecipanti vengono spesso invitati a fare una valutazione per accordarsi su quali siano stati i sintomi più rilevanti. Il curatore di una Materia Medica in seguito cerca di riordinare ulteriormente i risultati della ricerca dando risalto a quei sintomi che sono più frequenti e caratteristici. Un sintomo riscontrato da una persona sana può essere confermato da un paziente che non ha più avuto quel sintomo dopo aver preso la cura. Non esistono regole fisse per stilare una Materia Medica e la maggior parte delle informazioni viene tratta da manuali precedenti. Molti omeopati riconoscono che queste fonti probabilmente sono inquinate da sintomi annotati in maniera scorretta e possono scegliere arbitrariamente a quale Materia Medica dare preferenza. Ce ne sono una dozzina disponibili che non sempre corrispondono tra loro; i curatori hanno opinioni discordanti, così uno può enfatizzare i sintomi psichici tanto quanto un altro può guardare alle circostanze in cui un sintomo si manifesta.

Durante un consulto gli omeopati cercano di annotare tutti i sintomi caratteristici di un paziente. Due pazienti che hanno la stessa malattia possono essere molto diversi, secondo gli omeopati, perché hanno esperienze diverse. Gli omeopati non si focalizzano sulla causa della malattia ma semplicemente sui sintomi. È l’arte di trovare una cura che si adatti agli specifici sintomi e alle caratteristiche di un paziente. Da qui è possibile scegliere tra circa 3000 cure omeopatiche diverse.

Per semplificare la scelta della cura giusta è indispensabile un repertorium, ossia un indice suddiviso in categorie di tutti i possibili sintomi, ciascuno associato a dei prodotti, ed esistono anche programmi informatici per velocizzare la ricerca. Se si cerca un rimedio che in persone sane causa sintomi che sono caratteristici in un paziente malato, allora è quello il rimedio per curare il paziente, anche se nella pratica non è così semplice trarre una conclusione univoca. Il dottor H.G. Bodde, che fino al 2001 è stato docente nella Vrije Universiteit di Amsterdam (dove teneva un corso di omeopatia, N.d.T.), racconta a un congresso degli scettici olandesi: «Se mandi un paziente da dieci omeopati, avrà venti prescrizioni diverse». La situazione è paragonabile a quella degli oroscopi in astrologia: esistono tantissime interpretazioni diverse e ognuno ha le sue regole e preferenze.

Il principale consiglio che viene dato è di prestare attenzione a sintomi inusuali, particolari, inattesi e strani, perché potrebbero aiutare l’omeopata a trovare una cura più velocemente; è possibile anche scartare un prodotto quando il paziente non presenta nessun tratto che vi possa essere associato. Quindi ad esempio il Sulphur (lo zolfo), che causerebbe confusione e distrazione, non può essere prescritto a una persona meticolosa. E se a qualcuno non piacciono le caramelle, in nessun caso sarà preso in considerazione l’Argentum nitricum (il nitrato d’argento).

Gli omeopati non sanno spiegare bene come funzioni il principio dei simili, ma trovano che questo sia di importanza secondaria. Hanno a malapena bisogno di sapere che funzioni. Secondo Samuel Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia, le malattie sono da attribuire a un disturbo della “forza vitale“. Hahnemann credeva che un prodotto omeopatico provocasse una malattia fittizia che poteva contrastare ed eliminare una malattia vera simile a essa, perché entrambe le malattie non possono coesistere. Il vantaggio è che tale malattia fittizia non dura a lungo e può essere guarita con la forza vitale. (Nel 1790 Hahnemann manifestò sintomi simili a quelli della malaria dopo che aveva assunto corteccia di china, un rimedio usato contro la malaria. Così nacque l’idea che una certa sostanza provochi in persone sane sintomi che invece vengono curati in persone malate. In seguito divenne chiaro che Hahnemann si era sbagliato. (Qui è disponibile un breve testo di approfondimento in olandese.)

L’effetto nocebo

Gli omeopati riescono a scoprire molto facilmente nuove cure; tutte le piante, gli animali o materiali inorganici che risultano interessanti possono essere testati sulle persone dopo esser stati diluiti agitandoli. Si riscontra sempre un certo successo perché mediamente l’80% dei tester riporta sintomi che prima non aveva, a prescindere dal tipo di prodotto usato. (Dantas, 2007; Rowe, 2008).

Gli omeopati da sempre danno per scontato che tutti i sintomi annotati possano essere attribuiti al prodotto. Hahnemann lo trovava stupefacente; inizialmente usava dosi nomali, ma poiché ne risultavano cambiamenti inaspettati, nel corso degli anni finì per diluire sempre di più le sostanze. Era sorpreso dal fatto che i prodotti fossero comunque in grado di causare dei sintomi nei parenti e nei sostenitori che usava come tester, e dopo venti anni di riflessione concluse che tutte le sostanze probabilmente contengono proprietà curative nascoste che venivano liberate nel momento in cui venivano agitate più volte.

Per spiegare questa meraviglia, tuttavia, non abbiamo bisogno di accettare che si tratti dell’azione di particolari forze. Hahnemann non teneva conto del fatto che anche molte persone sane potevano soffrire regolarmente di un qualunque disturbo come mal di testa, dolori muscolari, difficoltà nella concentrazione, sonnolenza, irritabilità, inappetenza e incubi, e possiamo aspettarci che i tester annotino sul loro diario una quantità maggiore di disturbi e reazioni inattese man mano che prestano più attenzione a ciò che sentono.

Il professor Conrad Wesselhoeft, docente di omeopatia a Boston, scoprì già nel 1877 quanto fossero inaffidabili gli esperimenti quando chiese a sedici studenti di assumere un prodotto omeopatico. Ogni settimana dovevano aggiornare le reazioni riscontrate e questo produsse una lista di 919 sintomi. Wesselhoeft non aveva detto, però, agli studenti che aveva somministrato solo pillole di zucchero. Allora si chiese fino a che punto tutti i sintomi raccolti nella letteratura omeopatica fossero dovuti davvero ai rimedi assunti. Ma le sue scoperte finirono ben presto nel dimenticatoio.

Allo stesso tempo ci sono molti ricercatori omeopatici che chiedono ai loro tester di annotare i loro sintomi una settimana prima di prendere il farmaco. È un consiglio anche dell’European Council for Classical Homeopaty (2009). Così facendo, si spera di poter valutare meglio quali sintomi possano essere attribuiti al farmaco. Purtroppo è impossibile eliminare le aspettative che possono condizionare i tester: notoriamente le persone che credono di prendere una cura percepiscono effetti collaterali solo perché hanno sentito che a volte si manifestano quegli effetti. Questo fenomeno è noto dal 1961 come “effetto nocebo”.

Nei test con prodotti “regolari” c’è spesso un gruppo di controllo che prende un placebo inefficace. I pazienti non sanno se prendono o no un prodotto “vero” ed è utile informarli prima circa i possibili effetti collaterali. Ci si potrebbe aspettare che non riscontrino disturbi se prendono pillole finte, eppure anche nel gruppo-placebo ci sono sempre pazienti che comunicano di avere effetti indesiderati, e di solito sono gli stessi riscontrati nel gruppo che prende il rimedio. (Colloca, 2011; Wells, 2012). Un esempio sono i test con le statine per la riduzione del colesterolo, che possono avere una lista interminabile di effetti collaterali; a volte un quarto dei pazienti nel gruppo-placebo non vuole più prendere il farmaco perché soffre troppo per questi presunti effetti. Anche nei test con prodotti contro emicrania e depressione succede regolarmente che i pazienti si lamentino per effetti collaterali quando in realtà hanno preso un placebo inefficace. Inoltre i pazienti presentano nuovi disturbi anche quando passano da un farmaco brevettato a un farmaco generico, sebbene la composizione sia identica a quella del farmaco precedente.

Più si hanno aspettative e più ci sono possibilità di riscontrare disturbi. In questi esperimenti le aspettative possono giocare un ruolo molto importante, perché i test sono fatti esplicitamente per provocare effetti negativi. Tutti i partecipanti stanno ad aspettare; di solito non sono scettici, ma persone che credono fermamente nell’omeopatia. Ma chi non nota niente non è un buon tester, e magari neanche tanto adatto come omeopata. Visto che molti tester sono dediti allo studio dell’omeopatia, non è impensabile che riportino quanti più sintomi possibili solo per fare bella figura. Se il supervisore fatica molto a scoprire nuovi sintomi, può usare una check-list per visitare tutto il corpo dalla testa ai piedi e non lasciarsi sfuggire nessun sintomo impercettibile o transitorio. Lo stesso Hahnemann lavorò sulle proprietà nascoste delle sue diluizioni con un paio di tester esperti, molto sensibili agli occhi, che segnalavano continuamente strani sintomi. È chiaro che non è accettabile pensare che un rimedio omeopatico sia responsabile di tutti i sintomi, e per mostrare che questo effettivamente ha una certa influenza, lo si dovrebbe confrontare con le pillole di zucchero a cui non viene aggiunto nulla.

Fine prima parte – L’articolo continua qui.

Immagine: Nanteuil, Ch., “Méthode homœopathique (similia similibus),” OnView: Digital Collections & Exhibits, accessed May 10, 2023, https://collections.countway.harvard.edu/onview/items/show/6371.

3 pensieri riguardo “Alla ricerca del principio dei simili – prima parte

  • Pingback: Alla ricerca del principio dei simili – seconda parte

  • Il primo capoverso del paragrafo “Diliuizioni e potenze” fa una certa confusione tra gocce e bottiglie se non conoscessi l’argomento temo che non capirei.

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  • forse “bottiglia” non è il termine più appropriato e date le quantità in gioco bisognerebbe dire “provetta” o qualcosa del genere, ma a parte questo non troviamo l’errore: può essere più preciso? Grazie

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