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I serial killer prima dei serial killer: Gilles de Rais e gli altri

di Marianna Cuccuru

Prima degli anni Settanta, prima degli studi della moderna criminologia e delle unità di analisi comportamentale, che cercano incessantemente di incasellare e classificare i serial killer, come venivano visti questi criminali? La loro terrorizzante presenza scardinava ogni certezza sulla natura umana e sul senso del male, nel loro caso un male apparentemente senza un perché e ai danni di innocenti. I seriali da sempre praticano comportamenti che violano ogni tabù possibile: omicidi “senza ragione”, cannibalismo, necrofilia, abusi sessuali e perversioni senza fine. Il rapporto peculiare con la morte cagionata intenzionalmente che hanno i seriali è stato a volte attribuito al diavolo, alla vicinanza col mondo animale, alla follia. In ogni epoca, chi si è macchiato di crimini così anomali è stato messo al di fuori del consesso civile. La violenza ha sempre fatto parte della storia umana, ma i seriali normalmente “operano” oltre un contesto di brutalità legittimata, come le condanne a morte o le battaglie.

Il mito del lupo, del mostro

In diversi poemi epici e leggende popolari troviamo figure che uccidono in serie, in modo sempre uguale, ad esempio se l’eroe fallisce una prova, come la sfinge di Edipo, o il mostro Grendel del poema inglese Beowulf o le sirene che tentano Odisseo, che si possono lontanamente paragonare alle “mantidi” seduttrici odierne. La creatura assassina, che di solito rappresenta residui delle culture arcaiche precedenti o paure ancestrali, punisce spesso una qualche debolezza umana, e viene usata solitamente come spauracchio o monito riguardo a un pericolo. Il medesimo ruolo è ricoperto dalle creature malefiche delle fiabe. Ad esempio il lupo di Cappuccetto rosso, che può essere interpretato come un vero e proprio predatore sessuale seriale. Naturalmente, queste figure rappresentano archetipi antichissimi e diffusi in ogni cultura. Sarebbe quindi riduttivo e fuorviante ricondurle ai serial killer moderni, ma di sicuro ci parlano del fascino di creature capaci di mietere vittime senza pietà.

Quando la stampa cerca di definire i seriali o gli assassini dei nostri giorni, spesso ricorre all’immaginario dei mostri, al linguaggio della fiaba o del mondo animale: la Circe della Versilia, la Mantide di Cairo Montenotte, il Lupo dell’Agro Romano sono solo alcuni esempi tratti dalla cronaca nera italiana recente. Tra i più celebri all’estero, troviamo il Vampiro di Hannover, Fritz Haarman, o il Vampiro di Sacramento, Richard Trenton Chase. [1]

Già dal Medioevo abbiamo resoconti di quelli che oggi avremmo chiamato serial killer, che aumentano gradualmente fino al Rinascimento. Di solito, le cronache antiche li chiamavano “Lupi mannari”, forse perché alcuni crimini vengono associati necessariamente a un legame mai reciso tra l’assassino e il regno animale. La pena era necessariamente la morte.

La figura del licantropo si trova, con nomi diversi, in tutta l’Europa antica, mentre in altri Paesi troviamo uomini capaci di tramutarsi in orsi o tigri. È ragionevole pensare che almeno una parte di queste leggende abbia origine da delitti con delle caratteristiche di ferinità, tanto brutali da far pensare a un animale furioso. Da diverse fonti emerge che nel Medioevo fosse piuttosto rara una credenza della possibilità di un’effettiva metamorfosi in animale, più che altro si legavano i comportamenti sregolati e violenti all’animalesco. Talvolta si parla di un’autentica convinzione di essersi trasformati in animali. Anche gli stessi seriali, in alcuni casi, probabilmente vivevano una sorta di identificazione psicotica con un animale, ma con maggior probabilità questo accostamento era solo metaforico. [2]

Un buon esempio di questo fenomeno è Peter Stübbe, il “Lupo mannaro di Bedburg”, che fu arrestato in Germania nel 1589. Le accuse contro di lui erano gravissime: avrebbe commesso almeno diciotto omicidi brutali, caratterizzati da violenze sessuali e atti di depezzamento e cannibalismo. Venne accusato di avere fin dall’infanzia rapporti col maligno, a cui avrebbe promesso l’anima in cambio della facoltà di trasformarsi in lupo grazie a una cintura incantata, per soddisfare i suoi desideri di carne umana. Le cronache dell’epoca riferiscono di un uomo capace di mantenere comunque una “doppia vita”, una facciata rispettabile:

“Girava per le strade in abiti eleganti e con atteggiamento molto civile, ben noto a tutti gli abitanti del luogo, spesso veniva salutato da coloro i cui amici e figli aveva massacrato, quando non era sospettato di quegli atti”. [3]

Questa descrizione potrebbe essere tranquillamente riferita a un seriale organizzato moderno, come Dennis Rader o Gary Ridgway. Stübbe, dopo la cattura in flagranza di reato, venne torturato sulla ruota e condannato a morte per decapitazione il 18 ottobre 1589.

L’archetipo: Gilles de Rais

Il XV secolo è un periodo particolarmente interessante dal punto di vista dei delitti sanguinosi. Uno degli esempi più celebri di seriale ante litteram è quello di una figura affascinante e con elementi leggendari, Gilles de Rais. Non si hanno notizie certe sull’infanzia di questo oscuro personaggio; sarebbe nato intorno al 1405 nella fortezza di Champtocé da una famiglia molto ricca e potente, di origine nobile. È un uomo colto, che ha accesso a un’ottima istruzione con dei precettori, due eruditi ecclesiastici. A quanto sembra, le letture dei classici latini proposti dai suoi maestri e la conoscenza delle gesta più crudeli degli imperatori romani avrebbero acceso la sua immaginazione, forgiando sempre più le fantasie sadiche. Questa immagine, molto suggestiva, ricorda Alex di Arancia Meccanica che, durante le letture bibliche nel carcere dove è detenuto, vive con sadica eccitazione le scene del calvario di Cristo, identificandosi con i suoi carnefici. Molti seriali moderni hanno affermato di aver creato il loro immaginario prima indefinito proprio grazie a letture suggestive, che fossero tratte dalla Bibbia o da romanzi e fumetti horror.

L’ideale dell’eroe potente e invincibile è incarnato, per il giovane Gilles, dall’imperatore romano Caligola e da Bertrand du Guesclin, condottiero francese noto per la sua forza e destrezza fisica, oltre che per le sue abilità in battaglia. Per De Rais, du Guesclin rappresenta il culto della forza virile e della sopraffazione. Inizia a coltivare la passione per le armi e per ogni mezzo che procuri morte e sofferenza, imparando “l’arte di uccidere” dal suo maestro d’arme.

Il giovane resta orfano di entrambi i genitori nel 1415 e un suo zio cade durante la battaglia di Azincourt. De Rais diventa così erede di un’immensa fortuna. In seguito alla morte dei genitori, vive col nonno, Jean de Craon, un calcolatore amorale, che non esita a calpestare gli altri per ottenere un tornaconto personale. L’adolescenza di Gilles è caratterizzata da una completa mancanza di limiti di qualunque tipo, ad esempio molesta sessualmente i suoi servitori, probabilmente arrivando ad atti di sadismo.

Il giovane si sposa verso i sedici anni con una cugina, Catherine de Thouars, anch’essa ricchissima di famiglia e con un’ottima dote. Il matrimonio, puramente di interesse, suscita scandalo per via della parentela tra gli sposi, che aggirano il problema con quella che ricorda la fuitina italiana: un finto rapimento della sposa. In realtà, Catherine verrà sempre trattata dal marito con indifferenza, così come la figlia Marie, nata dieci anni dopo le nozze.

La carriera militare del nobiluomo De Rais è in rapida ascesa, ed è durante le sanguinose battaglie contro gli inglesi combattute nella Guerra dei Cent’anni che il suo gusto macabro per il sangue e le esecuzioni diventa sempre più forte. Combatte anche al fianco di Giovanna D’Arco e si guadagna fama di grande guerriero.

I bambini scompaiono

I primi a scomparire sono giovanissimi garzoni e figli di contadini o pastori, dal villaggio di Tiffauges. Le sparizioni, di solito a seguito di una visita di un emissario di De Rais, non suscitano troppo scalpore: i bambini scomparsi, sia maschi che femmine, sono figli di povera gente, e che un ragazzo venga rapito dai banditi o preso a servizio da qualche nobiluomo non è un fatto così insolito.

Approfittando del potere e del prestigio della sua posizione, De Rais inganna i ragazzi promettendo loro un incarico importante, una vita agiata e comoda. Il mito dell’orco, nel suo caso, si fonde con il killer pedofilo moderno, come Luigi Chiatti, Giulio Collalto o Fritz Haarmann: orchi contemporanei, che attirano in qualche modo i bambini, facendo leva sulla solitudine, promettendo favori oppure simulando una candida amicizia.

La differenza tra De Rais e i suoi “colleghi” novecenteschi è che il nobile francese non ricerca la solitudine per compiere i suoi crimini, anzi: sembra compiacersi dal fatto di avere un pubblico di astanti che partecipi alle sue turpi gesta, privilegio che il suo status gli consente. Testimoni oculari parlano di bambini di ambo i sessi circuiti e ospitati in diverse residenze di De Rais, dove si tengono banchetti pantagruelici. A questi, fanno seguito le brutali violenze, commesse a volte prima, a volte dopo la morte dei bambini, di solito uccisi da Gilles con un colpo di arma da taglio, dopo essere stati ingannati, promettendo doni e garantendo loro che non sarebbe accaduto nulla di male.

Lo strumento preferito per compiere questi infanticidi è un grosso pugnale, chiamato braquemard, termine volgare che indica sia un tipo di arma sia il pene. I corpicini delle vittime vengono di solito bruciati poco distante dai possedimenti del nobiluomo. Le atroci descrizioni delle torture inventate da De Rais somigliano molto a quelle che avrebbe perpetrato la contessa Bathory un paio di secoli dopo, ma con ogni probabilità le “gesta” della Bathory sono state molto ingigantite o perfino del tutto inventate. Al contrario, i delitti di De Rais sono ampiamente documentati.

Come accadrà in Germania a Fritz Haarmann, che si innamorerà di una delle sue potenziali vittime, risparmiato solo per diventare suo fidato complice, anche De Rais nutre un’ossessione erotica per alcuni ragazzi che quindi non vengono uccisi, ma diventano paggi del loro abusatore. Sono noti i nomi di alcuni di questi “schiavi sessuali”, ad esempio André Buchet e Jean Rossignol. De Rais resta tanto affascinato dal giovane Rossignol da donare un appezzamento di terreno e duecento scudi ai genitori del ragazzo pur di averlo con sé.

Fino ad ora, i crimini del nobiluomo sono del tutto simili a quelli di un moderno sadico pedofilo, che commette delitti di matrice sessuale e necrofila molto evidente, con una componente di esibizionismo. L’elemento che lo caratterizza più marcatamente come un uomo del suo tempo è il rapporto con la religione e la magia: a un certo punto della sua “carriera” criminale unisce rituali alchemici e magici agli omicidi per cercare di ottenere maggiori ricchezze, dopo aver dilapidato buona parte del suo patrimonio, sfruttando in tal senso i corpi delle sue piccole vittime.

Nonostante la sua crudeltà e i riti a sfondo blasfemo, pare che non si sia mai votato del tutto al satanismo e ai sacrifici al demonio, conservando un certo timore di Dio, per quanto possa sembrare paradossale. Avrebbe avuto anche un autentico terrore di un’eventuale apparizione del diavolo in persona, che immaginava come una possibilità concreta. Per dirla con lo scrittore Ernesto Ferrero:

“Continuava a temere la collera del dio bianco più di quanto bramasse le regalìe del dio nero”. [4]

Per i rituali a sfondo satanico e di evocazione di demoni, occorre quindi un sacerdote che faccia da intermediario, che in qualche modo deresponsabilizzi De Rais. La persona giusta per questo ruolo è Francesco Prelati, giovane e attraente chierico di Montecatini. Abbandonata la religione cattolica, Prelati si dedica alla negromanzia, alla magia nera e all’alchimia. È questo personaggio ambiguo e inquietante che rende gli efferati delitti di De Rais molto simili a messe nere con sacrifici di bambini, in cui la componente sessuale e mistica si fondono.

La cattura e la condanna

A mettere in difficoltà De Rais non sono inizialmente i suoi delitti, ma scontri a carattere politico ed economico, che portano ad accuse di eresia e violazione dell’immunità ecclesiastica. Tuttavia, delle indagini segrete sulle sparizioni dei bambini vengono portate avanti da Jean Malestroit, cancelliere di Bretagna e vescovo di Nantes. Le voci sui delitti di Gilles de Rais giravano da tempo e sono proprio queste voci, che il vescovo giudica affidabili, a portare ad un’incriminazione ufficiale anche per gli omicidi, sia in sede di giustizia civile che ecclesiastica.

Non è possibile calcolare il numero preciso dei delitti commessi dal nobiluomo francese: gli studiosi ipotizzano tra le cinquanta e le oltre quattrocento vittime. Anche i rituali a sfondo satanico vengono riportati nelle accuse a carico di De Rais. L’uomo pensa di potersela cavare con un’ammenda, si lascia processare senza eccessive proteste. Si presenta al processo elegantissimo, vestito di bianco e con pelliccia di ermellino. Anche i suoi tirapiedi, tra i quali Francesco Prelato, vengono arrestati. Il processo si svolge a Nantes; l’elemento chiave sono le testimonianze disperate dei familiari dei bambini scomparsi. Questi riferiscono che i loro figli erano stati visti l’ultima volta in compagnia di persone al servizio di De Rais e che lo stesso nobiluomo aveva a volte ammesso di aver preso i bambini a servizio, ma senza che questi fossero mai tornati a casa.

Ci sono prove di decine di delitti, come i resti di quindici bambini nella residenza di La Suze, di proprietà della famiglia di Gilles. Lui non ammette nulla, nega ogni responsabilità, ma i testimoni e complici dei delitti fanno parecchie confessioni.

L’ultimo colpo di teatro, Gilles de Rais lo mette in scena con la conversione, puntualmente arrivata dopo la scomunica, durante il processo. Potrebbe sembrare un classico caso di conversione in extremis, per affrontare la pena di morte con l’appoggio della fede, o una messinscena per sperare nella grazia. Secondo Ernesto Ferrero, invece, questo momento sarebbe in continuità col personaggio De Rais, che passa dai più profondi abissi della crudeltà umana ad autoaccusarsi, confessare ogni colpa, per interpretare il trionfo del bene, la luce che prende il posto delle tenebre, la santità inaspettata. Forse anche il suo antico timore di Dio riemerge, proprio al momento della fine del suo regno di terrore e sadismo. [5]

Incredibilmente moderna, nel contesto processuale, è la domanda che pone l’accusa al reo confesso: cosa lo ha ispirato nel delitto? Chi gli ha dato idee tanto malvagie? Un ricco e nobile signore come poteva essere tanto corrotto, senza un traviamento esterno? E infine, perché uccidere tutti quei bambini innocenti?

Le risposte di Gilles sconcertano e spaventano: nessuno lo ha influenzato, nulla lo ha convinto a perseguire la strada del male, non c’è alcun motivo nei delitti se non il suo piacere personale e la soddisfazione delle sue fantasie, quelle che oggi si considerano parte fondamentale della fase aurorale:

“Invero, non c’era nessun’altra causa, nessun altro fine né intenzione, se non quelli che vi ho già detto: vi ho già detto cose assai più grandi, abbastanza da far morire [nel senso di condannare a morte, nda] diecimila uomini”.

De Rais cerca di sminuire le colpe dell’amante e complice Francesco Prelato, senza riuscirci. Le prove sono numerose e schiaccianti. Alcuni studiosi hanno paragonato questo caso a quello di Elisabetta Báthory, che probabilmente non era la contessa sanguinaria come riporta la tradizione, anche perché sono molto esigue le prove a suo carico, forse costruite per motivi politici. [6] In realtà, nel caso De Rais, non solo abbiamo una piena confessione, ma anche prove fisiche e testimonianze

Il 22 ottobre 1440 il nobile viene condannato a morte. Si mostra piangente, abbattuto più che spaventato. Non ha obiezioni riguardo al suo processo e conferma le sue ammissioni, anzi: enfatizza ulteriormente le sue colpe. Ricorda che ha stuprato, torturato, eviscerato e ucciso molti bambini, anche se non riesce a dare una cifra precisa: sono troppi. Vuole che la confessione sia in volgare, non in latino, e che sia pubblica, nella speranza che Dio possa perdonarlo. Il 26 ottobre, Gilles de Rais viene impiccato e il suo corpo dato alle fiamme. La medesima sorte tocca ai suoi complici.

La società moderna e il delitto seriale

Per quanto sia evidente che dei criminali con elementi molto simili ai seriali moderni siano sempre esistiti, è indubbio che il Novecento sia il secolo per eccellenza per quanto riguarda l’aumento dei casi di serial killer attivi, specialmente nel mondo industrializzato occidentale. Il picco statistico si è avuto tra gli anni Settanta e Ottanta, per poi vedere un progressivo calo, in favore di una crescita dei mass e spree killer negli ultimi vent’anni circa. Studiosi come il britannico Colin Wilson hanno cercato di spiegare il fenomeno, correlando l’aumento di seriali con l’industrializzazione e la sovrappopolazione, che avrebbe portato a un aumento di uomini soli e frustrati, incapaci di gestire la nuova e inedita libertà delle donne, sia sociale che sessuale. Queste caratteristiche avrebbero portato gli Stati Uniti e i paesi europei a detenere il primato per numero di omicidi seriali a sfondo sessuale.

Queste teorie sono state in parte superate, poiché non considerano in modo sufficiente diversi fattori: i serial killer non agiscono solo a scopo sessuale; in paesi sotto dittatura o scarsamente industrializzati non è mai stato possibile un’adeguata rilevazione dei casi di serial in attività, sia per ragioni di propaganda sia per scarsa esperienza della polizia del luogo, in particolare nel creare profili criminologici adeguati o nel riconoscere i legami tra omicidi apparentemente indipendenti. Anche la diffusione di informazioni lenta e farraginosa può rappresentare un ulteriore ostacolo. Nei secoli precedenti al Novecento, inoltre, abbiamo evidentemente dati incompleti, di molti casi di “antichi seriali” abbiamo perso ogni traccia.

Tutti questi elementi portano a un elevato numero oscuro, ovvero l’insieme di omicidi riconducibili all’attività di serial killer che non vengono riconosciuti come tali. Un esempio tipico è rappresentato dall’Unione Sovietica, che ha deliberatamente nascosto i crimini di questo tipo per anni, come nel caso di Andrei Čhikatilo, che fu catturato e giustiziato solo dopo il crollo dell’URSS, dopo molti arresti ed esecuzioni arbitrarie di innocenti sospettati dei suoi delitti, svolte in segreto.

Un altro caso è quello del Sudafrica: nelle sue principali città sono aumentati notevolmente i delitti in serie da circa cinquant’anni a questa parte, probabilmente anche perché le informazioni sono più facilmente reperibili rispetto ad altri Stati africani. Anche altri stati nel mondo hanno visto un aumento statistico dei serial, man mano che i rapporti con altri Paesi e la modernizzazione hanno preso piede.

Gli Stati Uniti, nonostante tutto, continuano per ora a detenere il primato per numero di questi criminali, ma non è possibile stabilire con certezza che questo dato sia realistico. Sarà solo il tempo a raccontarci del futuro del delitto seriale nel mondo. [6]

Note

  • [1] P. Vronsky, Figli di Caino, Nua edizioni, Rimini 2024.
  • [2] C. Wilson, D. Seaman, Il libro nero dei serial killer, Newton Compton, Roma 2006
  • [3] P. Vronsky, Figli di Caino, Nua edizioni, Rimini 2024, pp. 100-101.
  • [4] E. Ferrero, Gilles De Rais. Delitti e castigo di Barbablù, Mondadori, Milano 1975.
  • [5] Ibidem, pp. 232-233.
  • [6] Per approfondire la storia della contessa, si veda il precedente articolo su Query online.
  • [7] C. Wilson, D. Seaman, Il libro nero dei serial killer, Newton Compton, Roma 2008.

Marianna Cuccuru

Laureata in scienze dell' Educazione, studia da molti anni il fenomeno dei serial killer. Ha tenuto lezioni sul tema presso l'università dell'Insubria e per l'associazione Fidapa di Varese.