27 Aprile 2024
E leggiti 'sto paper

La mano bronzea di Irulegi e la sua enigmatica iscrizione

Durante gli scavi archeologici effettuati nel sito di Irulegi, nella regione spagnola della Navarra, alcuni archeologi hanno rinvenuto una mano realizzata con una lastra bronzea. Sul dorso era presente un’iscrizione inserita dagli studiosi tra le lingue paleo-ispaniche, con forti somiglianze con il moderno basco. Si tratta della più antica attestazione di questa lingua. Lo studio scientifico, dal titolo A Vasconic inscription on a bronze hand: writing and rituality in the Iron Age Irulegi settlement in the Ebro Valley è stato pubblicato nel febbraio 2024 sulla rivista Antiquity a firma di un folto gruppo di ricercatori spagnoli.

La lingua basca affascina da sempre gli studiosi. perché si tratta di una lingua isolata, che non ha parentele con le lingue parlate nei territori limitrofi. Non solo è una delle uniche due lingue non indoeuropee parlate in Europa, insieme al finlandese, ma ha anche un’origine antichissima: viene parlata nella stessa regione del nord della Spagna da millenni. Il ritrovamento di Irulegi, nel cuore della regione basca, getta ora nuova luce sulle origini di questa lingua.

La scoperta ci riporta alla fine dell’Età del Ferro, all’epoca dei Vasconi, una popolazione citata anche da scrittori classici come Plinio e stanziata nel nord-ovest dei Pirenei. Oggi, date le poche indagini scientifiche effettuate nella regione, gli archeologi conoscono ancora ben poco della storia preromana della zona, e pochissimo è noto riguardo alla società, alla lingua e ai sistemi di scrittura e le credenze di queste popolazioni. Data la scarsità di iscrizioni giunte fino a noi, si è comunemente ipotizzato che i Vasconi non facessero uso della scrittura (al contrario delle altre popolazioni preromane ispaniche, per le quali sono disponibili diverse centinaia di iscrizioni nelle rispettive lingue paleo-ispaniche).

Il ritrovamento della mano di Irulegi, tuttavia, mette in dubbio questo assunto. L’insediamento fortificato si trova sulla sommità di una collina e, dato il suo eccellente stato di conservazione, è uno dei più importanti mai fatti nella regione. Gli scavi, iniziati nel 2007, hanno portato alla luce un castello medievale e, poco distante, l’insediamento dell’Età del Ferro, posto in una posizione elevata e pianeggiante, a controllo della valle, com’era consueto in quel periodo. Secondo i dati, le prime fasi del sito risalirebbero al XV-XI sec. a.C., ma in realtà l’area sarebbe stata abitata fino all’inizio del I sec. a.C, quando fu violentemente attaccata e poi abbandonata, forse nell’ambito della guerra sertoriana.

Come sempre, quando si parla di archeologia, non si può comprendere un artefatto senza conoscere il contesto nel quale è stato ritrovato. La mano di bonzo è stata scoperta all’entrata di un edificio, all’interno di uno strato di terreno costituito da sedimenti argillosi-limosi contenenti anche mattoni bruciati e frammenti di legno carbonizzati. Le prove di incendi diffuse in tutto il sito, numerose armi recuperate all’interno delle strutture abitative e la quantità e varietà di altri reperti rinvenuti in contesti primari testimoniano la fine violenta dell’abitato.

La mano di Irulegi è stata ritagliata da una lastra di bronzo. Ha un foro in prossimità della base, probabilmente praticato con un chiodo, in modo da poter essere fissata su un supporto. Sul dorso sono state incise quattro righe di testo. I dati stratigrafici e il materiale ritrovato in associazione, fanno ipotizzare che risalga alle ultime fasi di utilizzo del sito, cioè intorno all’inizio del I sec. a.C.

Dal punto di vista epigrafico, non è facile comprendere l’iscrizione, in assenza di altri esempi simili con i quali confrontarla. Si possono però notare alcuni elementi. Per esempio, l’iscrizione era probabilmente letta orientando la mano con le dita verso il basso e il foro verso l’alto. L’autore dell’iscrizione realizzò tre linee guida, in modo da distribuire il testo sulla superficie dell’oggetto. La cosa però non gli riuscì del tutto, visto che si trovano alcune lettere schiacciate al termine delle righe. Poi incise le lettere con la tecnica dello sgraffito. Infine le linee furono rimarcate con la punzonatura di piccoli punti ravvicinati.

Secondo gli studiosi il testo può essere letto così:

sorioneku ·
kunekebeekiratere/ /n
oTirtan · eseakari
eraukon · 

Che cosa vogliono dire queste parole? Ad oggi non è stato possibile effettuare una traduzione precisa. Tuttavia, sebbene alcuni tratti, soprattutto nella seconda riga, restino al momento oscuri, l’iscrizione andrebbe interpretata come la dedica a una divinità nominata all’inizio (sorioneke/-ku), con un verbo dedicazionale finale (eraukon). il cui oggetto andrebbe cercato immediatamente prima (eseakari). Si può anche indicare un luogo (chiamato oTirtan), lasciando nella riga oscura 2 l’identificazione del dedicante e qualche altra specificazione. L’uso di sorioneku o sorioneke all’inizio del testo, isolato da quanto segue come introduzione, sarebbe da confrontarsi con il basco zori (h)on, “buona fortuna“. Altri elementi, come la forma verbale eraukon o il locativo in -n del toponimo, suggeriscono che l’iscrizione sia davvero in lingua vasconica, la più lunga e la più antica finora conosciuta.

Com’era utilizzato questo oggetto all’epoca della sua costruzione? Gli archeologi ritengono che fosse un amuleto apotropaico, cioè, posto a protezione della casa o dell’insediamento, prodotto in loco ed integrato nel sistema locale di credenze. Una conferma a questa ipotesi giunge dal fatto che nel sito sono stati ritrovati diversi materiali in bronzo, che dunque era un materiale con il quale si aveva confidenza e che, anzi, potrebbe essere stato lavorato proprio a Irulegi. In più, ci sono prove che nel sito la scrittura fosse comunemente utilizzata. Su due cocci, infatti, compaiono alcune lettere incise, anche se troppo frammentarie per essere interpretate, ma che ne testimoniano la presenza diffusa. È stato ritrovato anche uno stilo, lo strumento utilizzato per scrivere su tavolette di argilla o cera. Infine. la mano era probabilmente inchiodata a un supporto, in modo che la scritta potesse essere letta.

Insomma, questo ritrovamento va ad integrare in modo rilevante le nostre conoscenze sia sulla lingua vasconica e sui suoi mutamenti nel corso del tempo, sia sulla diffusione della pratica della scrittura, almeno in ambiente rituale. 

Immagine in evidenza: La cosiddetta mano di Irulegi. Credit: Nafarroako Gobernua – Gobierno de Navarra, rilasciata in licenza CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons