27 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Un venerabile autostoppista fantasma

Giandujotto scettico n° 159 di Sofia Lincos e di Giuseppe Stilo (07/03/2024)

Storie di santi apparsi ai fedeli ce ne sono a bizzeffe, nel leggendario cattolico. Ma è raro che lo facciano nella forma di una delle più note leggende metropolitane al mondo, cioè sotto le spoglie di autostoppisti fantasma. Oggi raccontiamo una di queste presunte vicende, che avrebbe per protagonista un umile fraticello nativo della val d’Ossola, nel nord del Piemonte. 

Due parole sul protagonista

Il protagonista della nostra storia è il venerabile Francesco Tojetti (1680-1764), un frate alcantarino nativo di Calasca, nell’Ossolano, dove si può tuttora visitare la sua casa. Nato come Giuseppe Tojetti, prese i voti piuttosto tardi, all’età di trentacinque anni: la famiglia era in ristrettezze economiche e preferiva impiegarlo in occupazioni più remunerative. Nonostante questo, nel 1717 entrò in un convento a Foggia, cambiando il nome in Francesco di sant’Antonio. Venne poi trasferito a Napoli, presso il convento di Santa Lucia al Monte, dove passò il resto della sua vita come “umile questuante” per le vie della città. 

La vita del venerabile, per come è descritta dalle agiografie (in particolare nelle Vite di Ossolani illustri, dell’avvocato Francesco Scaciga Della Silva, Vercellini, Domodossola, 1847), è quella tipica del trionfo della sofferenza del Cattolicesimo controriformato. Il fraticello si flagella a sangue, mescola cenere e aloe alle sue pietanze per non gustarle troppo e, per tormentarsi ancora di più, indossa vestiti bagnati d’inverno e abiti pesanti d’estate. Della Silva lo definisce un “infervorato servo di Dio”, che predica e chiede l’elemosina per le strade di Napoli a maggior gloria del Signore. 

Per questo, pare che la gente lo avesse etichettato come santo, al punto che, quando passava per le vie della città o era impegnato in un sermone, gli tagliuzzava pezzettini dal mantello, per tenerseli come reliquie. Per evitarlo, Tojetti aveva circondato il vestito con del fil di ferro, e andava in giro così, ma la gente riusciva lo stesso a procurarsi i preziosi scampoli di tessuto; andò a finire che glielo rubarono…

Tra i miracoli a lui attribuiti, spiccava il dono della profezia. A un principe di Napoli avrebbe detto: “Pacificatevi con vostro fratello, perché non vi restano più che tre giorni di vita”. E dopo tre giorni quello sarebbe morto. A un ragazzo intento in una rissa avrebbe annunciato che sarebbe morto impiccato; e questo, quindici anni dopo, sarebbe stato davvero giustiziato per un’aggressione. E così via, non esattamente in maniera beneaugurante…

Per quanto riguarda gli altri miracoli attribuitigli, in sostanza c’è tutto il repertorio cattolico, riportato puntualmente anche dal sito web del comune di Calasca, che, visto che si tratta di una gloria locale, non avanza il minimo dubbio sulla realtà storica dei doni dell’illustre concittadino:

Ebbe anche preclari carismi taumaturgici: il dono della profezia (predisse anche la sua stessa morte), la bilocazione (più volte fu presente contemporaneamente in posti diversi, con una sorta di sdoppiamento fisico), la lievitazione [sic] (nelle sue profonde meditazioni notturne fu visto dai confratelli sollevarsi fino alla volta della chiesa e circonfuso di luce), l’invisibilità della sua persona (riuscì a sparire agli occhi increduli di più sentinelle che controllavano a vista la sua presenza). Guarì tante malattie e fece persino risuscitare un vescovo.

A ciò si aggiunse la questione dell’incorruttibilità del corpo, caratteristica che in Italia è sempre stata vista come indizio di santità (mentre nell’Europa orientale, quasi al contrario, indicava la presenza di un vampiro). 

Le spoglie mortali di Tojetti rimasero esposte per cinque giorni nel convento di Santa Lucia al Monte, a Napoli, dove riposano tuttora. Ma anche in morte, i fedeli non persero l’abitudine di rubargli pezzi d’abito: i frati, a quanto pare, furono costretti a rivestirlo per ben sei volte, per rimediare agli abiti recisi. Nel 1827 fu proclamato venerabile da papa Leone XII. Nel 2005 si è aperto il processo di beatificazione; ma, a quanto pare, la pratica di elevazione ad onori più alti nella gerarchia cattolica procede a rilento.

L’apparizione

Il “miracolo” che più ci interessa è però un altro: l’apparizione del venerabile a Ennio Dante Grattaroli, nativo anche lui di Calasca. Già consigliere comunale, attivo nella corale parrocchiale del suo paesino e nella processione per la tradizionale festa di sant’Antonio, Grattaroli era imparentato proprio con il venerabile Tojetti: sua nonna portava lo stesso cognome (Del Barba) della madre del frate. Spiega Ecorisveglio Ossolano, il 9 ottobre 2014

La testimonianza venne rilasciata il 25 maggio 2003 durante una conferenza tenutasi nell’ Abbazia di Chiaravalle dinanzi ad un gruppo di amici, padri Oblati e una quarantina di calaschesi guidati dall’arciprete don Andrea Primatesta. Ecco quanto dice il Grattaroli:

“Nel 1986, di ritorno da Novara, giunto a Gozzano con tempo piovoso, vedo sul ciglio della strada, un frate, del tutto simile alla iconografia del venerabile che mi fa cenno di fermare. Fermo l’automobile e faccio salire il frate, il quale si siede al posto a fianco del mio. Dopo poche decine di metri, il frate vuole scendere e, dopo aver pronunciato queste testuali parole “Non sono io che sono venuto, è Dio che mi ha mandato”, scompare senza lasciare traccia. Tornato a casa, riferisco l’episodio a mia madre la quale esclama “Ma Ennio, non hai capito che quel frate era il venerabile Tojetti”.

Non sappiamo se dietro questo racconto ci sia un episodio reale, magari l’eco di un autostoppista molto meno prodigioso; o se la memoria abbia distorto la vicenda, aggiungendo a poco a poco i particolari più inverosimili. Quello che rimane è una testimonianza che ha il sapore di una leggenda: il fantasma scompare di colpo, dopo aver pronunciato alcune parole sibilline, tanto che il protagonista della storia, pur devotissimo cattolico e discendente del fantasma, non lo riconosce. È la madre – spiega lui stesso – a rivelargli la verità: ha fatto salire in auto il suo illustre antenato.

Altri santi autostoppisti

Forse quella dell’autostoppista fantasma è la leggenda metropolitana più nota in assoluto, quella che viene in mente subito come esempio agli studiosi, e fra le più conosciute dal pubblico. Nelle sue mille varianti e nei tanti sottotipi che la caratterizzano, il morto (o la morta, più spesso) fermano un ignaro automobilista, si fanno caricare e spariscono in modo impossibile, oppure si fanno portare alla loro dimora – che poi si rivelerà un cimitero. Il riconoscimento della natura soprannaturale del viaggiatore avviene quasi sempre in un secondo momento, quando l’apparizione non è più disponibile. 

A volte questi fantasmi scrocconi rimangono anonimi, ma, più spesso, hanno un’identità precisa – una caratteristica che è funzionale a molte delle storie. Sapendo con precisione di chi si tratta, diventa manifesto al lettore o all’ascoltatore che il passeggero era defunto da tempo. In un certo numero di casi, tuttavia i protagonisti della leggenda non sono individui ordinari, magari morti in un incidente o di morte violenta, ma personaggi celebri. 

Ed è a questo punto che, di norma, i testimoni degli incontri con gli autostoppisti si dividono per appartenenza culturale: i musulmani incontrano figure famose di quella tradizione religiosa, gli induisti i loro, e così via. Nel caso degli italiani, inevitabilmente, di solito i “fantasmi” trasportati appartengono al pantheon vastissimo del cattolicesimo. Così, nel nostro paese può accadere di incontrare un santo, o, addirittura, la Vergine. Se si passa ad altre parti del cristianesimo, come quello protestante, ci si potrà imbattere in Gesù in persona e, un po’ a tutte le latitudini confessionali, in angeli e arcangeli.

Madre Teresa Cabrini: la patrona degli autostoppisti fantasma?

Il fatto che il morto che viaggia dietro o accanto all’autista sia una figura religiosa alla quale appartiene chi narra, pubblica sul web o mette su carta la storia è fondamentale: proprio un caso del genere è a fondamento delle prime indagini sistematiche moderne sulle leggende metropolitane, condotte negli Stati Uniti da un gruppo di psicologi sociali, folkloristi e sociologi negli anni  intorno alla Seconda Guerra Mondiale. 

L’oggetto del loro studio era incentrato su un personaggio che, a cavallo fra gli anni ‘30 e ‘40, aveva raggiunto l’apice della popolarità fra gli italiani che vivevano negli Stati Uniti, soprattutto nel nord-est del paese. Si trattava di una suora cattolica oggi assai meno conosciuta di allora, ma che fra Otto e Novecento, quando l’immigrazione italiana nel Nordamerica era al suo picco, fu un’animatrice assai efficace dell’assistenza agli italiani che, di solito miserrimi, raggiungevano New York e si sparpagliavano per gli stati vicini. 

Si chiamava Francesca Saverio Cabrini ed era nata a Sant’Angelo Lodigiano nel 1850 (Saverio era un secondo cognome, da lei adottato in onore di san Francesco Saverio, santo gesuita del Seicento). Nel 1889 arrivò negli Stati Uniti, paese del quale più tardi diventò cittadina. Morì nel 1917, per malaria, e da subito diventò oggetto di una vasta venerazione popolare fra gli italiani d’America. La letteratura agiografica su di lei diventò copiosissima, e nel 1938 Pio XI la proclamò beata (sarà canonizzata nel 1946 da Pio XII – primo cittadino degli Usa diventato santo per i cattolici – e nel 2010 le sarà dedicata la stazione Centrale di Milano). 

Nel 1941, mentre la guerra in Europa si era ormai allargata a causa dell’attacco tedesco all’Unione Sovietica, nello stato di New York cominciò a circolare la storia di una suora molto anziana che, salita a bordo delle auto, emetteva profezie circa la data della fine del conflitto, per poi sparire in maniera misteriosa dalle vetture. L’annuncio di un evento futuro (la conclusione del conflitto, un disastro naturale, in specie un terremoto) è tipico di alcune varianti della leggenda dell’autostoppista fantasma. Alcuni casi li abbiamo presentati qui e qui (ma ricordiamo anche la storia di sant’Antonio che, nel 1916, prediceva la fine della Prima guerra mondiale). Dopo la sparizione, la nostra suora veniva riconosciuta proprio come madre Cabrini. A quanto pare, nella cittadina di Kingston, nello stato di New York, la storia si diffuse a tal punto fra i cattolici che frequentavano le chiese da indurre il clero a smentirne pubblicamente la veridicità. 

L’anno successivo i racconti sulla profezie del fantasma automobilistico di madre Cabrini erano dilagate in tutto il nord-est dell’Unione, almeno sino a Chicago, tanto da giungere all’attenzione degli studiosi che stavano cominciando a occuparsi in modo sistematico di leggende metropolitane. Nell’ottobre del 1944, grazie a un lavoro di Louis C. Jones apparso sul California Folklore Quarterly, la suora italiana che faceva l’autostop da morta andò a formare uno dei primi pilastri degli studi su questo tipo di racconti, che, naturalmente, al tempo non si chiamavano ancora leggende metropolitane, o contemporanee, come ormai da molti anni gli studiosi hanno scelto di denominarle. 

Forse il fantasma del venerabile Tojetti non raggiungerà mai la fama di quello di madre Cabrini, ma la cosa è comprensibile. La popolarità del religioso ossolano non varcò mai davvero quella delle sue valli, e anche a Napoli sembra ormai sbiadita. Francesca Cabrini, invece, fu popolarissima fra le masse dei diseredati italiani che sbarcavano oltreoceano. 

Il racconto dell’apparizione di Francesco Tojetti, anche se assai meno ricco, rimane una testimonianza interessante per chi come noi si interessa di leggendario contemporaneo. È il racconto di un fugace incontro con il soprannaturale, senza grosse conseguenze, né di eccessiva importanza. Ci fa intuire come le leggende metropolitane possano nascere, modificarsi, cristallizzarsi in una forma ben definita, dai contorni prodigiosi e paranormali – anche nel Piemonte del Ventunesimo secolo.

Foto di francescoc/iStock