18 Aprile 2024
Giandujotto scettico

“Preferendo l’assurdo all’incerto”. Carlo Ilarione Petitti e le superstizioni del lotto

Giandujotto scettico n° 155 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Il Giandujotto scettico nasce nel dicembre 2017 sulle pagine del sito CICAP Piemonte. Guardando ai presunti misteri da un’ottica territoriale specifica, in realtà ha sempre inteso gettare uno sguardo più vasto alle questioni del paranormale e delle pseudoscienze. Da oggi la redazione di Query Online lo annovera fra le sue rubriche fisse: la cadenza sarà quella quattordicinale, o meglio, delle due settimane, con uscita al giovedì. Buon lavoro ai due redattori.

Numeri sfortunati, puntate sui ritardatari, sogni premonitori… Ognuno di noi ha sentito qualche storia strana sul gioco del lotto. Ma quali erano le superstizioni più in voga nel Diciannovesimo secolo? Possiamo gettare uno sguardo su quelle credenze grazie a un personaggio piemontese ormai poco noto che se ne interessò intorno a metà Ottocento.

Un personaggio ormai dimenticato

Carlo Ilarione Petitti, conte di Roreto, nel Cuneese, è uno di quei protagonisti del Risorgimento ormai dimenticati. E dire che Metternich lo ricorda insieme ad altre figure ben più blasonate – Massimo d’Azeglio, Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo – tra i grandi intellettuali liberali del Piemonte.

Nato nel 1790 a Torino, si laureò in legge e passò la vita ad occuparsi dell’amministrazione del Regno di Sardegna: fu prima vice-intendente generale della Savoia, a Chambéry, intendente generale di Asti (1819), poi di Cuneo (1826), infine dal 1831 membro del Consiglio di Stato e dal 1848 senatore del Regno. 

Fu tra gli ispiratori delle riforme carlo-albertine e tra i fondatori della Società agraria, e affiancò alla carriera politica quella di saggista, occupandosi degli ospizi di mendicità, del lavoro minorile, della condizione dei detenuti nelle carceri, dell’economia del Regno e del progresso delle ferrovie nell’intera Italia. Ma anche – eccoci al punto – del gioco del lotto. Il suo trattato in tre libri su questo argomento (Del gioco del lotto considerato ne’ suoi effetti morali, politici ed economici, Stamperia Reale, Torino) uscì tre anni dopo la sua morte, nel 1853, a cura dei figli e degli amici. 

Petitti non vedeva di buon occhio quel gioco: lo considerava una fonte di spreco e una distrazione dalle attività produttive. Per lui, i benefici economici per lo stato non erano sufficienti, a fronte dei problemi sociali che suscitava. Con il suo libro, mirava all’abolizione di quel “balzello, così dannoso” di cui non gli sembrava “ormai più lecita la conservazione” – o, almeno, sperava in una sua stretta regolamentazione, per alleviarne le conseguenze più indesiderate.

Ma, al di là delle sue idee, il capitolo che ci interessa di più è il quarto del terzo libro, quello in cui Petitti esplora le superstizioni legate al lotto: pur non essendo originalissimo (molti aneddoti sono presi da altri libri dell’epoca, come gli Appunti sul giuoco del lotto del livornese Enrico Mayer), il testo rappresenta comunque un interessante spaccato delle credenze popolari diffuse in Italia nella prima metà del Diciannovesimo secolo. 

A parte quelle più generiche (considerare un particolare banco o un numero fortunati, tacciare di “portaiella” un impiegato del botteghino, supporre “giorni nefasti, posti o luoghi sinistri, vicini di cattivo augurio”) ce ne sono altre piuttosto particolari. Eccone una rassegna. 

L’interpretazione dei “casi”

Come succede in parte ancora oggi, i numeri da giocare potevano essere ricavati in molti modi, per esempio dai sogni e dai lunari, ma anche dai “casi”, cioè dagli episodi più eclatanti della vita pubblica, oppure dai numeri trovati scritti sui muri lungo le strade. 

Piuttosto diffusa era l’abitudine di giocare al lotto le età dei condannati per qualche crimine o gli anni di detenzione comminati, specie per i processi più sensazionali. Petitti racconta due episodi avvenuti a Milano e Firenze, che portarono moltissime persone a giocare la stessa combinazione, tanto che in quest’ultima città i numeri individuati – che erano legati a quattro malfattori esposti alla berlina – vennero “chiusi” alle giocate (un meccanismo che all’epoca veniva talvolta messo in atto, per evitare che troppe persone puntassero sulla stessa combinazione e che in caso di uscita il banco non fosse in grado di pagare). Ne seguì un terribile esito: 

Uno di que’ giuocatori, ignaro della chiusura, veniva esultante dalla campagna a riscuotere un terno di pressochè mille scudi. Entrato nel botteghino, e sentitosi in vece di quella somma offrire la restituzione delle sedici lire da esso giuocate su quella posta, dapprima lo credè uno scherzo, e ne fece lagnanza ad un impiegato superiore; ma sentitasi pur togliere da questi ogni speranza di aver quello che già riteneva esser suo, preso da pazzo furore, si scagliò sull’innocente impiegato, e con un coltello lo ferì malamente.

Interpretare i sogni

Per quanto riguarda i sogni, al tempo erano popolarissimi libri come L’albergo della fortuna aperto ai dilettanti del giuoco del lotto, Smorfie romane, ecc., che permettevano di ricavare i numeri dalle proprie esperienze oniriche. A volte qualcuno sognava direttamente la combinazione da giocare, e allora correva al botteghino per approfittarne. A questo proposito Petitti riferisce un episodio divertente, raccontato in prima persona da un uomo di Lastra a Signa (Firenze):

Io pure volli nel tempo giuocare al lotto, ma fu la sola volta in tutta la mia vita, e voglio raccontare il caso, perché tutti narrano sempre le combinazioni favorevoli e tacciono le contrarie. Parea che la febbre epidemica del giuoco, che infuriava nel paese, avesse una notte attaccato anche me […]. Erano cinque i numeri, che un parente morto mi ordinava di giuocare; mi destai, erano dimenticati. Ripresi sonno, mi tornarono presenti que’ numeri, e fra il sonno cercai la mia giacchetta a piè del letto, per cavarne un lapis e un pezzo di carta […]. Li segnai ancora mezzo assonnato, balzai dal letto, corsi ad aprir la finestra; era già la mattina, e guardando i numeri scritti, risi dell’agitazione che mi avevano fatto provare, e risolsi di non giuocarli. Mi vestii, e dovendo per affari condurmi a Firenze, dissi addio alla moglie. Questa mi si raccomandò, che giuocassi tre numeri, che si era sognati, e mi narrò circostanze assai singolari del suo sogno. Io tacqui il mio, ma quando la moglie mi ebbe dati i suoi tre numeri, stupii nel trovarli fra i miei cinque. Giunto a Firenze li giuocai tutti e cinque nel primo botteghino che trovai per via, ponendovi sopra uno scudo. Passai davanti a un botteghino, vi entrai, li rigiuocai del doppio, e mi era in quel momento entrato nell’anima tanto furore di giuoco, che sarei tornato a fare dieci volte lo stesso, se un amico che trovai per grazia di Dio, non me ne avesse forzatamente distratto. […] Tornai a casa, passai un giorno e una notte d’inferno, aspettando l’estrazione. Questa venne, ma dei miei cinque numeri non ne uscì neppure uno! Confidai allora alla moglie il mio sogno, e ambidue non giuocammo mai più; ma per alcune estrazioni continuai a osservare i numeri che uscivano, e i miei non comparvero mai. 

Petitti, qui, si mostra consapevole di un meccanismo grazie al quale le superstizioni sembrano funzionare: si raccontano sempre i sogni “profetici”, quelli che hanno portato a una vittoria. Ma quanti sono invece i casi in cui una persona, puntando sui numeri di un sogno particolarmente vivido, ha invece perso i suoi soldi e nulla più?

Lunari e libri profetici

Nel Diciannovesimo secolo gli almanacchi erano una forma di letteratura popolarissima. Spesso suggerivano anche numeri da giocare, tirati a caso dai compilatori dei lunari. Ma si vendevano, a volte, anche libri “profetici”, interamente dedicati a “sistemi sicuri per vincere al lotto”. A questo proposito, Petitti narra alcuni aneddoti, raccontati da un religioso che era stato addetto alla censura della stampa:

In questa sua qualità venne un giorno a trovarlo un calcolatore di cabale, per ottenere da lui il permesso di stampare un suo libro in cui dimostrava matematicamente un metodo sicuro di vincere al lotto. Il buon padre gli rispose, che lasciasse pure il libro nelle sue mani, assicurandolo che se dopo essersene servito per sè stesso tre mesi trovava il metodo buono, gliene permetterebbe la stampa. L’autore delle cabale non accettò la condizione, riprese il suo libro, e non si fece più vedere. 

In un’altra occasione, lo stesso soggetto venne ritenuto… dotato di facoltà profetiche egli stesso. Il religioso aveva trovato alcuni versi licenziosi come introduzione a una cabala, e li aveva soppressi. In questo modo, però, le cabale successive si trovarono a cambiare posto, e nella composizione della stampa i numeri si trovarono a corrispondere a settimane diverse rispetto a quanto accadeva nel manoscritto. Avvenne, però, che lo stampatore giocasse alcuni di quei numeri, e quelli uscirono. Così, si convinse che l’uomo aveva in realtà voluto correggere le profezie, e l’anno seguente, quando si trovò a stampare il nuovo lunario, cominciò a insistere col religioso perché fosse lui a disporre i numeri nei giorni corretti… 

Superstizioni religiose

Nel libro di Petitti non manca nemmeno un capitoletto dedicato alle superstizioni legate alla religione. Il lotto gli sembrava costituire, per i giocatori, una specie di “nuovo paganesimo”, i cui adepti mostravano di preferire “l’assurdo all’incerto”.

Molto diffusa, a quanto pare, era l’abitudine di scrivere i numeri su foglietti che venivano messi sugli altari perché venissero benedetti durante la messa. Alcuni religiosi, d’altra parte, avevano fama di poter prevedere i numeri del lotto, tanto che c’era chi di questa fama abusava. Petitti racconta di un prete delle campagne di Roma che dava i numeri “benedetti” alle famiglie dei contadini in cambio dell’ospitalità e della cena. Ancora meglio faceva un frate di Firenze:

Quello accorto frate avea trovato modo di non iscreditare sè stesso presso coloro che venivano in privato a chiedergli i numeri. Il suo metodo era il seguente: ad ogni richiedente dava un solo numero, andando progressivamente dall’uno sino al novanta, e i richiedenti eran tanti, che ad ogni estrazione esauriva più volte la serie de’ novanta numeri. Così v’erano sempre per ogni serie cinque vincenti, i quali erano persuasi che il frate avea voluto favorirli, ed esaltavano la sua carità; mentre gli altri stavano zitti, aspettando che venisse il tempo d’essere favoriti essi pure; e se fra questi ve n’era alcuno, che finalmente si stancasse, più erano quelli che di nuovo accorrevano; nè mai fu deserta la cella del frate, finché piacque alle Autorità superiori di far cessare lo scandalo, mandandolo a respirare un’altr’aria.

Le “fattucchierie”

Petitti non trascura nemmeno tutti quei “santoni e sibille” che in cambio di un compenso indicavano ai clienti quali numeri giocare. I metodi di costoro erano i più disparati… Oltre alla già citata interpretazione dei sogni e ai numeri tratti sulla base delle lune e degli astri, esistevano veri e propri rituali di magia. Uno, a quanto pare, consisteva nello scrivere su dei cartoncini i numeri che si avevano in mente, e poi bruciarli. A seconda che il fumo fosse andato in una direzione o in un’altra, i numeri venivano giudicati “buoni” o “cattivi”. Un altro metodo prevedeva di scrivere i numeri su dei lupini o dei fagioli e di cuocerli. I primi venuti a galla durante la cottura erano quelli da giocare. 

C’erano però anche veri e propri rituali di magia nera. Alcuni arrivavano a votarsi al demonio, come fu il caso di un barbiere di Livorno che diceva di chiacchierare costantemente con il diavolo e di riceverne le combinazioni. Nel 1828, poi, sul giornale francese Débats comparve una notizia di un uomo arrestato mentre entrava a Lione con una testa putrefatta in un sacco. Il fine della macabra idea? Voleva farla bollire per ricavarne in qualche modo i numeri da giocare… 

Dieci anni dopo, un caso simile si era verificato in Italia, a Vernio (Prato). 

Era morto al Vernio nella montagna Pratese il parroco T.M., buono e dotto sacerdote, de’ suoi popolani amatissimo, e parimenti riamato da tutti. Qualche tempo dopo si sparse voce nel popolo, che il parroco era risuscitato; la sua sepoltura non era più come prima, e il volgo diceva che dovea esserne uscito. A queste ciarle tenne dietro più fondato sospetto, che quel sepolcro fosse stato violato per estrarne e mutilarne il cadavere. Don L.L., parroco di un luogo vicino, che avea seppellito il collega, ebbe avviso di questa ultima opinione per lettera d’un suo popolano, e informatone il vicario di Mercatale, questi stimò suo dovere di operare una verificazione dello stato della sepoltura.

Fu trovata smossa la terra, e giungendo alla cassa, quella videsi in parte scoperchiata: sollevatone allora interamente il coperchio, ben fu ritrovato il corpo ravvolto ancora ne’ suoi abiti sacerdotali; ma tutti gli astanti furono compresi d’orrore vedendo, che a quel cadavere era stata mozzata la testa. Si fecero severe indagini, e dal deposto di più testimoni si venne a conoscere, che poco dopo la morte del parroco, tre uomini sconosciuti (ed erano appunto gli accusati in processo) si erano presentati una sera alla casa d’un contadino presso al Vernio, dicendo che volean cenare con lui, e stare in sua compagnia fin dopo la mezzanotte. Richiesti dal contadino del perché così senza invito venissero ad onorarlo, francamente risposero, accennandogli un sacco, che a mezzanotte intendevano cuocere nel suo paiuolo la testa di un morto, e farne un incantesimo per cavarne numeri sicuri per il lotto. 

Grazie a quella testimonianza e a quella di altri contadini della zona gli accusati vennero riconosciuti colpevoli. Tuttavia, il giudice reputò gli autori del crimine degli “ignoranti” trascinati a delinquere dalla passione del lotto e li condannò ad appena quindici giorni di carcere ciascuno.

I numeri ritardatari

C’erano, infine, i cosiddetti “computisti”, convinti di poter vincere grazie a precisi calcoli matematici. In particolare, era diffusa l’opinione (e lo è tuttora!) che se un numero mancava da molte giocate le probabilità di una sua uscita si sarebbero moltiplicate. Questa idea, lo sappiamo, è completamente sbagliata: ogni estrazione è indipendente dalla precedente, e le probabilità di ogni numero, dunque, rimangono sempre le stesse. Su questi “ritardatari”, però, si costruivano calcoli, combinazioni, a volte interi metodi: 

Cotesto caso vero si ripete in molti luoghi, e non è raro di trovare nella molto scarsa eredità di que’ cabalisti una grande quantità di scartafacci pieni di numeri scritti contenenti le moltissime combinazioni in cui vedemmo […] distribuirsi li novanta numeri giuocati al lotto: ed altri cartolari ancora contenenti l’elenco de’ numeri successivamente estratti in ogni estrazione per tener esatto conto degli uscenti e de’ non uscenti, alcuni de’ quali, come il 65, p.e. in Toscana, talvolta ostinandosi a non sortire affatto, sono occasione di vera rabbia ai giuocatori, che con pari ostinazione si scaldano a giocarli, e più tardano que’ numeri a uscire, più crescono que’ pazzi la posta, persuasi di sbancare poi il fisco, il quale in vece lucra con quello stolto furore più ingenti somme. 

Questo, insomma, è uno spaccato delle superstizioni che circondavano il gioco del lotto verso la metà del Diciannovesimo secolo. Alcune sono ancora diffuse ai nostri giorni; altre, evidentemente, sono ormai scomparse. E siamo grati a Petitti per avercele tramandate, testimonianze di un tempo che ormai non è più.

Immagine: dipinto di Peter Fendi (1796–1842), da Wikimedia Commons, pubblico dominio