8 Ottobre 2024
Approfondimenti

La lunga storia delle statue che piangono, dagli antichi Romani a noi

di Sofia Lincos

Era il 181 a.C, e i pontefici di Roma annunciavano al Senato che un evento incredibile era accaduto: la statua di Giunone Sospita, che si trovava nel tempio dedicato alla dea nella città laziale di Lanuvio, aveva pianto. A raccontarcelo è Livio, nell’Ab urbe condita. La statua, d’altra parte, non era nuova a scherzi del genere: già durante la seconda guerra punica pare avesse sanguinato.

Oggi a piangere sono crocifissi e statue della Madonna, ma il Cattolicesimo non ha certo la primogenitura su questo tipo di eventi. Molto prima che queste entrassero in scena, statue ed effigi pagane proponevano ai fedeli lo stesso identico repertorio. Con tanto di dibattito sulle cause dei fenomeni…

Un prodigio è una iattura

Quel che è cambiato, nei secoli, è forse la reazione a tali eventi prodigiosi. Per gli antichi romani erano cose gravi, di importanza capitale, sulle quali il senato era chiamato ad esprimersi. Altro che relegarli a qualche show pomeridiano!

Nel 169 a.C, ad esempio, una statua di Apollo che si trovava presso Cuma pianse per tre giorni e tre notti. Si consultarono i libri sacri e si decretò che i consoli sacrificassero agli dei degli animali adulti. A parlarcene è sempre Livio, ma non è il solo: il racconto che ne fa Cassio Dione è ancora più gustoso. Pare infatti che gli aruspici, terrorizzati dal prodigio, volessero lanciare la statua in mezzo al mare. Ora, immaginatevi la scena oggi, con le Madoninne di Trevignano andate ai pesci. Impensabile, vero?

Il fatto è che un evento del genere, all’epoca, faceva paura. Se un antico romano avesse dovuto scrivere un creepypasta, forse ci avrebbe messo di mezzo una statua che piange. Era una rottura della pax deorum, un evento che turbava il naturale ordine delle cose. E che poteva essere il presagio di una catastrofe: guerre, epidemie, eruzioni erano spesso preannunciate da eventi come questi. Per scongiurarli occorreva proclamare una supplicatio, un periodo di celebrazioni e riti rivolti alle divinità.

Pronostici, dunque, della massima importanza: non per nulla Giulio Ossequente li collezionava, e li raccolse in un Libro dei prodigi che ha fatto la gioia degli studiosi di anomalistica fin dal Cinquecento. Tra le sue pagine troviamo piogge di sassi, soli sdoppiati, nascite di animali mostruosi e oggetti vari in cielo. E, nel mucchio, anche una dozzina di prodigi legati alle statue: che sudavano, piangevano, sanguinavano e muovevano gli occhi, proprio come nei miracoli più moderni. 

Quello scettico di Cicerone

Non pensate, però, che i romani fossero tutti boccaloni. Sulla natura di questi prodigi si poteva discutere, indagare, e pure dubitare. Ovidio, semplicemente, pensava che gli dei non piangessero: che divinità sarebbero, se si facessero trasportare dalle passioni umane? 

Cicerone, nel suo De divinatione, racconta invece una serie di prodigi avvenuti in tempi di guerra:

XXVII 58. Fu riferito al senato che era piovuto sangue, che anche le acque del fiume Atrato si erano tinte di sangue, che le statue degli dèi avevano sudato. Ritieni che Talete o Anassagora o qualsiasi altro filosofo della natura avrebbe prestato fede a simili notizie? Non c’è né sangue né sudore che non fuoriesca da un corpo vivente. Ma un mutamento di colore, provocato da qualche commistione con terra, può rendere l’acqua estremamente simile a sangue; e l’umidità proveniente dall’esterno, come vediamo sugli intonaci dei muri quando soffia lo scirocco, può rassomigliare al sudore. Questi fatti, del resto, appaiono più numerosi e più gravi in tempo di guerra, quando c’è uno stato di paura; in tempo di pace non ci si bada altrettanto. Si aggiunga anche un’altra cosa: in momenti di terrore e di pericolo non solo ci si crede con più facilità, ma si inventano più impunemente.

Poi arrivò il Cristianesimo, crocifissi e Madonne presero il posto degli dei pagani, ma continuarono a verificarsi gli stessi “prodigi”. Un curioso anello di congiunzione tra questi due mondi è rappresentato da sant’Agostino, che nella Città di Dio parla proprio del prodigio di Cuma, di quell’Apollo che versava lacrime. Ma, attenzione, non per smentirlo: intriso della mentalità romana, il futuro padre della Chiesa non metteva in dubbio che effigi divine piangessero. Per lui erano demoni che, a differenza del vero Dio, dimostravano così la loro impotenza nell’intervenire sulle sorti umane. 

Cattolici e polemiche religiose

Il resto lo sappiamo. La tradizione cristiana è ricca di statue che piangono, lacrimano, e a volte sudano anche. Una leggenda tipica dell’immaginario cattolico è quello dell’effige ferita: una statua o un dipinto vengono colpite da un corpo contundente, a volte per caso, a volte intenzionalmente. A quel punto, avviene il miracolo: l’immagine sanguina come se fosse viva. E, immancabilmente, l’autore del gesto blasfemo si converte. 

A Cento (Ferrara), ad esempio, c’è una curiosa Madonna che sanguina dal naso, colpita dalla lancia di un soldato polacco. A Re (Verbania) si conserva invece una pezzuola intinta nelle ferite di una Madonna con bambino, centrata da un tiro mal riuscito al gioco della piodella. Difficile dire, a distanza di secoli, che origine avessero quelle leggende. Oggi sappiamo che “lacrimazioni prodigiose” possono avere cause naturali: formazione di condensa, umidità che sale per capillarità, resine e colle che si sciolgono, contaminazioni batteriche possono spiegare un gran numero di miracoli. Senza contare la possibilità di truffa.

Con l’affermarsi nell’Ottocento dell’anticlericalismo, i preti furono accusati di simulare sistematicamente i miracoli per ingannare il popolo. In un curioso libello del 1849, Storia dell’inquisizione – ossia le crudeltà gesuitiche svelate al popolo italiano, l’autore dà per certa una truffa verificatesi ad Aurillac, nella zona del Massiccio centrale francese, dove un convento dei carmelitani esponeva una statua di Maria Maddalena che piangeva il giorno della festa: 

La statua della Maddalena era di maiolica, vuota internamente, e conteneva uno scaldavivande sul quale, dopo avervi acceso del fuoco, i monaci mettevano un apparecchio in forma di lambicco, il collo del quale s’innalzava fino alla testa della santa. Quest’apparecchio conteneva dell’acqua, che ridotta in vapore per mezzo del calorico, andava a condensarsi nella testa della statua, donde per due piccoli tubi cadeva sopra una spugna posta dietro gli occhi, aventi alla lor parte inferiore molti piccoli fori: una volta bene imbevuta, questa spugna rigettava l’acqua sovrabbondante per i fori degli occhi della statua, la quale pareva versasse lacrime naturali.

Vi risparmio la descrizione – ancora più complicata – di come facessero piangere un crocifisso (vi diciamo solo che dovete far crescere una vite dietro al muro dove è inchiodato il legno). Difficile dire se queste “invenzioni” fossero reali: anche la polemica antireligiosa del tempo si nutriva di dicerie infondate.

Analogamente, i vari “musei dell’ateismo” sorti in Unione Sovietica sulle ceneri delle chiese ortodosse sconsacrate esponevano comunemente marchingegni elaborati, fatti con pompe e tubicini interni, per dimostrare che le statue piangenti erano un inganno dei pope. La realtà è quasi sempre più semplice: basta imbrattare una statua con olio o altri liquidi, e il miracolo è servito. E qualcuno, suggestionato dall’emozione o dai giochi di luce delle candele, magari giurerà di aver visto le lacrime sgorgare, e scivolare sul volto proprio in quel momento. 

Sisto V, “er Papa tosto”

Le statue, dunque, lacrimano da secoli, e non si tratta solo di tradizioni cattoliche. Piangevano le statue greche e latine, trasudano olio le icone ortodosse, mentre quelle di Ganesh in India amano bere il latte che gli viene posto davanti. Ogni religione ha i suoi miracoli e i suoi prodigi: ognuno può scegliere come considerarli.

C’è un aneddoto, probabilmente leggendario, ma che compare nella pubblicistica cattolica fin da tempi antichi. Gli dedicò un sonetto pure Giuseppe Gioachino Belli, poeta romano (e scettico) per antonomasia. 

Pare che ai tempi di Sisto V, alla fine del Cinquecento, si fosse sparsa la voce di un evento prodigioso: in una chiesetta, poco fuori Roma, un crocifisso stava sanguinando. La notizia arrivò al papa, che volle accertarsene di persona. Si recò lì, vide il liquido che fuoriusciva dalle cinque piaghe, ci pensò su ed esclamò: “Come Cristo ti adoro, come legno ti spacco”. 

E, fattosi portare un’ascia, fece davvero a pezzi il crocifisso. Vi trovò dentro delle spugne imbevute di sangue, che il parroco aveva messo lì per attirare i fedeli in quella chiesetta troppo poco frequentata. La frase di papa Sisto è passata alla storia: è un po’ come dire che un conto è ciò che la statua rappresenta, un conto è l’oggetto fisico in sé. E su quest’ultimo si può – e forse si deve – indagare, senza timore di apparire blasfemi.

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.