22 Aprile 2024
Misteri vintage

Ufo e cadaveri alieni: la storia della scimmia spaziale del 1953

di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo

Volete vedere un marziano in formalina, gelosamente custodito sin dal 1953? Non serve andare a Roswell o in altre capitali del mito ufologico. Potete farlo in un piccolo museo degli Stati Uniti dedicato alle scienze forensi, allestito all’interno del Georgia Bureau of Investigation Crime Lab a Decatur, Georgia.

In un barattolone di vetro, immerso nel liquido di conservazione, vedrete la creatura: una specie di scimmietta senza peli, con il collo piegato per potersi adattare nel contenitore. L’animale – che, inutile dirlo, non proveniva affatto da Marte – fu la vittima incolpevole di uno scherzo perpetrato da tre uomini di Atlanta, capitale della Georgia, che traeva spunto dalla mania dei dischi volanti di quel periodo e che finì per alcuni giorni sulle pagine di tutti i giornali.

Prologo: il marziano col secchiello

Il 24 giugno 1953 l’agenzia di stampa United Press riferì che due uomini di Bush Creek, nella contea di Butte (California), avevano rivolto una strana richiesta scritta all’ufficio dello sceriffo di zona. Per due volte, il 20 maggio e il 20 giugno, un disco volante era atterrato nei terreni minerari auriferi presso i quali lavoravano, qualche chilometro a nord di Bush Creek, alla confluenza fra i torrenti Marble e Jordon. In ciascuna delle due occasioni, dall’astronave era saltato fuori una specie di nanetto con un secchio lucente in mano: aveva raccolto dell’acqua e l’aveva passata a qualcuno all’interno del disco, saltando di nuovo dentro il veicolo che era poi decollato silenziosamente prima che i testimoni potessero tentare qualcosa. L’ordigno aveva lasciato una traccia: il disco volante era dotato di una specie di tripode di atterraggio, che aveva prodotto dei segni nel terreno.

La storia arrivò al Progetto Blue Book, il piccolo ufficio dell’Aeronautica che, presso la base aerea Wright-Patterson di Dayton (Ohio), dagli inizi del 1948 raccoglieva e analizzava le notizie sugli avvistamenti di dischi volanti che si verificavano nel paese. La storia naturalmente era sospetta. Il comandante dell’ATIC (Air Technical Intelligence Center), l’ente dal quale dipendeva al Blue Book, ipotizzò fin dall’inizio qualche tipo di truffa. Scrisse allora all’FBI chiedendo che il suo ufficio competente per territorio si mettesse in moto per capire cosa c’era dietro quel racconto bizzarro. 

L’FBI prese la cosa sul serio. La lettera inviata dal comandante dell’ATIC giunse il 7 luglio: gli agenti federali misero in azione quasi all’istante la loro sede di Atlanta che, grazie a un suo agente speciale, si mosse per raccogliere informazioni. Non ci volle molto a capire come stavano le cose, anche perché quella notte uno degli uomini della sede di Atlanta era stato contattato in fretta e in furia da Thomas McRae (1918-1982), giornalista di uno dei principali quotidiani cittadini, l’Atlanta Constitution

Scimmie verdi dallo spazio profondo

La storia che McRae voleva raccontare aveva dell’incredibile: tre uomini avevano telefonato alla polizia e poi a lui dicendo di aver visto lungo una strada tre curiosi “animali”. Due di questi erano corsi verso uno strano oggetto volante simile a due scodelle contrapposte e dotato di una luce rossa, che era subito decollato ad altissima velocità; il terzo invece era stato investito dal furgoncino del gruppetto mentre attraversava la strada ed era morto. I testimoni si chiamavano Tom Wilson (garzone di barbiere, 20 anni), Arnold Payne (macellaio, 19 anni) e Edward Watters, (28, di professione barbiere): i primi due erano proprio quelli che avevano già raccontato degli atterraggi del disco volante e dell’essere col secchio lucente. I giovani avevano raccolto l’esserino – una specie di scimmia di color verde, alta circa sessanta centimetri – e per un po’ ne avevano tenuto il corpo in frigorifero

L’aspetto del disco volante, così disegnato da Edward Walters (da “The Atlanta Constitution”, 9 luglio 1953).

La cosa incredibile è che McRae, subito informato della cosa… aveva ottenuto di portare il cadaverino presso gli uffici dell’Atlanta Constitution

Così, il giornalista ebbe modo di esaminare il “marziano”: era simile a una scimmia, ma privo di peli e coda. Sembra che, visto da un veterinario non meglio identificato, sarebbe stato ritenuto appartenente a “una specie non meglio identificata”. 

La mattina dell’8 luglio un agente speciale dell’FBI di Atlanta, James McWard, interrogò brevemente i tre testimoni, che peraltro confermarono le loro dichiarazioni: il disco volante sul quale erano fuggiti i due marziani più fortunati aveva persino lasciato delle tracce sul terreno

Poi però le cose presero un’altra direzione. 

La storia rivelata

All’intervento dell’FBI, infatti, quel giorno si era affiancato l’intervento della sede più vicina dell’Office of Special Investigation (OSI), i servizi segreti dell’Aeronautica. Convinti di dove si sarebbe andati a parare, nel primo pomeriggio gli uomini dell’OSI sequestrarono il povero marziano su ordine del capitano Harry G. Sanders, comandante della locale branca dell’ente. Lo portarono al Dipartimento di medicina legale dell’ospedale della Emory University di Atlanta, dove i medici lo identificarono rapidamente e senza alcun dubbio per una scimmia mutilata e verniciata. La sera del giorno successivo, il 9, Sanders inviò un dispaccio per telescrivente alla base aeronautica di Dayton, dove aveva aveva sede il Progetto Blue Book sugli UFO, spiegando che si era trattato di un falso orchestrato dai tre uomini. 

La mattina del 10 la vicenda poteva dirsi chiarita, ma non senza conseguenze. I giornali di tutti gli Stati Uniti ne avevano parlato, e la storia era arrivata anche all’estero. Dal canto loro, Watters, Wilson e Payne non erano stati timidi con la stampa: avevano concesso interviste e avevano accompagnato i giornalisti a vedere le tracce sul terreno – là dove la presunta astronave era ripartita – per poi farsi fotografare più volte accanto al cadaverino.

Ma perché torturare in questo modo una povera scimmia? Watters – considerato l’ideatore della bufala, nonché l’unico maggiorenne della combriccola – ammise di averlo fatto per vincere una scommessa da dieci dollari con i suoi amici: voleva dimostrare che la sua “creazione” sarebbe stata scambiata per un vero extraterrestre. Ottenne invece una multa di quaranta dollari per intralcio alla circolazione stradale. Evitò il processo per crudeltà sugli animali a causa di un problema di giurisdizione (i tre erano stati arrestati nella contea di Cobb, mentre la scimmia era stata uccisa nella contea di Fulton). Le accuse contro Wilson e Payne, i più giovani, vennero lasciate cadere. E il caso, ben presto, fu chiuso.

Tanto rumore per nulla

Le fonti d’archivio dell’Aeronautica americana forniscono altri particolari sia sulla dinamica dei fatti, sia sulle preoccupazioni dei militari americani per quell’episodio: avevano paura che la storia innescasse un nuovo panico collettivo da dischi volanti, come quello colossale che aveva travolto il paese nell’estate dell’anno precedente.

Il capitano Sanders (quello dei servizi segreti dell’Aeronautica) si disse preoccupato per il fatto che, quasi all’istante, i maggiori periodici degli Stati Uniti – in particolare Life e Newsweek – si fossero mossi insieme a varie catene televisive per preparare il lancio internazionale della storia (Telex al Comando della Base Aerea Wright-Patterson, dal comandante della 35° Divisione Aerea della base Harietta, Georgia, 8 luglio 1953. Archivi del Progetto Blue Book). 

Un altro punto interessante è che, stando a un ulteriore documento del Blue Book, Ed Watters aveva dichiarato che:

 […] prima dell’avvistamento preordinato, aveva già cercato di far circolare storie sui dischi volanti, e aveva notato che la gente era assai ben disposta a diffondere le voci che lui faceva girare. (“Operations Report • 6 thro 10 July 1953”, archivi del Progetto Blue Book, 6 luglio 1953). 

Il 10 luglio l’Atlanta Constitution commentò sconsolato:

Più di venticinque giornalisti della carta stampata e della radio, fotografi e operatori dei cinegiornali hanno sommerso di domande e di foto i tre giovani. Centinaia di persone, uomini, donne e bambini hanno telefonato ai giornali per avere notizie sui “marziani”. Molti volevano sapere dove sarebbe stata esposta la creatura. Un portavoce del trio ha detto che una persona, per telefono, aveva offerto cinquemila dollari in cambio della creatura.

Le ragioni di un successo

La Great Monkey Hoax del 1953 è un episodio importante nella storia dell’ufologia. Per capire il clamore suscitato, è necessario ricostruire un po’ quanto stava avvenendo in quella calda estate del 1953.

Dal punto di vista ufologico, non si era in fase di psicosi da avvistamenti UFO. Il barometro segnava tiepido, ma non bollente. Eppure, ormai tutti avevano in testa i dischi volanti e i loro piloti. Questo perché nel 1953 ci fu un’altra ondata senza precedenti: l’invasione dei dischi volanti nei cinema. Di questa circostanza si era accorto già nel 1979 il sociologo Armando Simón nel suo saggio The Zeitgeist of the UFO Phenomenon [in Richard F. Haines (a cura di), The UFO Phenomenon and the Behavioral Scientist, Scarecrow Press, pp. 43-59], che per il nostro anno era riuscito a individuare 16 film a tema ufologico, cioè lo stesso numero di pellicole prodotte per tutti i sei primi anni dell’era dei dischi volanti (1947-52). 

Nell’arco di pochi mesi videro la luce successi di grande portata come “La guerra dei mondi” (Byron Haskin), “Il fantasma dello spazio” (W. Lee Wilder) e “Gli invasori spaziali” (W. Cameron Menzies). Quest’ultimo, fra le altre cose, anticipò in modo dettagliato l’immaginario delle abductions ufologiche, che comparvero in modo rilevante nei racconti dei testimoni soltanto nella prima metà degli anni ‘60. La pervasività di queste pellicole nei drive in statunitensi fu senza precedenti. Anche in assenza di avvistamenti eclatanti o in numeri importanti, gli extraterrestri erano sulla bocca di tutti. La fine di settembre 1953, poi, vide l’esplosione del primo libro del contattista californiano George Adamski, Flying Saucers Have Landed, che pian piano, insieme ad altri fattori, innescò la pandemia ufologica dell’estate 1954-1955 (dalla quale però gli Stati Uniti, immunizzati dalle “sbornie” precedenti, rimasero in parte immuni).

Anche sul piano dell’immaginario ufologico, l’idea degli extraterrestri morti nei dischi volanti precipitati era ormai ben consolidata. Era sorta nell’estate del 1949 dai racconti di due truffatori, Silas Newton e Leo M. GeBauer, e nel 1950 si era diffusa in tutto il mondo (Italia compresa), con storie incredibili di cadaveri, dischi schiantati e invenzioni di ogni genere. A Rimini, ad esempio, la mattina del 1° aprile del 1950 la gente si era precipitata sulle spiagge per la voce secondo la quale un disco era precipitato in mare ed era possibile vederlo galleggiare sull’acqua.

Altro punto importante è che quel cadaverino non era davvero un’ipotesi così “aliena”, nel 1953. Si può dire che, in un certo senso, ci si aspettava sul serio che dalle astronavi calassero… le scimmie. In fondo era quello che, dall’estate 1948, si stava facendo in America, tramite missili V-2 e razzi Aerobee. Gli animali venivano utilizzati per sperimentare le conseguenze del volo aereo su organismi abbastanza simili al nostro; la loro sorte è facile da immaginarsi. 

In mezzo a questo entusiasmo per le imprese spaziali, gli extraterrestri e i dischi volanti, finì anche l’incolpevole scimmia di Atlanta. Che, certo, avrebbe meritato una sorte migliore, e non di finire in un museo a galleggiare in un barattolo. Purtroppo sulla sua strada incontrò tre giovani, una storia inventata, e quella disperata ricerca di clamore mediatico che ha spesso accompagnato la storia dell’ufologia.

Immagine in evidenza: il corpo della scimmia aliena, conservato presso il piccolo museo dell’indagine forense del Georgia Bureau of Investigation, Herman Jones Memorial Forensice Science Complex di Decatur, Georgia. Credit della fotoTim Farley. Immagine rilasciata in licenza CC BY-SA 4.0