Galileo tra astronomia e astrologia
Il Sole è tramontato da diverse ore. Il cielo scintilla di tanti piccolissimi punti luminosi. La luna piena riveste di un sottile strato d’argento il giardino di una casa che si affaccia sulla Loggia e sull’Odeo di Padova. È un complesso di edifici fatto costruire da Alvise Cornaro nella prima metà del Cinquecento. Tutto intorno è silenzio. Si avverte soltanto un frusciare di carte che proviene da una stanza in cui si ergono colonne torreggianti di libri e documenti. All’interno, sparsi qua e là su un ampio tavolo, ci sono strumenti di misurazione geometrica. Nell’ambiente, illuminato da candele, si aggira un uomo tra i quaranta e i cinquant’anni, robusto, con una barba folta e una vistosa stempiatura. La porta-finestra che dà sul giardino è aperta: all’esterno c’è un cannocchiale, leggermente inclinato verso l’alto, poggiato su un asse mobile retto da una base circolare.
L’inquilino si copre con una pellanda corta prima di uscire: è una notte piuttosto fredda. Ma prima torna a sedersi sullo sgabello della sua scrivania per dare ancora un’occhiata ad alcune carte astronomiche e a degli appunti scritti frettolosamente. Poi alza lo sguardo verso l’esterno e si sofferma a riflettere, come se con gli occhi cercasse risposte ai suoi quesiti. Lo sguardo acuto e profondo fissa la volta stellata. È Galileo Galilei che si appresta a osservare il cielo notturno per vedere cose mai viste prima. È l’uomo che cambierà per sempre la storia dell’astronomia e della scienza.
Non sappiamo, naturalmente, se le cose siano andate proprio in questo modo, ma è una scena plausibile, ricostruita in base a quanto ci dicono gli storici. Il padre della scienza moderna era, come molti uomini di cultura dei suoi tempi, anche un fervente appassionato di letteratura, musica (il padre Vincenzo era un musicista, suonatore di liuto e uno studioso di teoria matematica della musica) e arti figurative.
Prima di andare a vivere a Padova, dove rimase dal 1592 al 1610, Galileo aveva insegnato matematica all’università di Pisa, sua città natale. Qui aveva partecipato anche al dibattito culturale più in voga tra gli ambienti dotti del periodo, ovvero la disputa su chi fosse il migliore tra Tasso e Ariosto. Un vero e proprio “derby intellettuale” per esperti di critica letteraria italiana.
In Toscana, infatti, non si era appassionato solo ai numeri, ma anche alla filosofia e agli studi letterari, scrivendo delle importanti Considerazioni sulla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso e, successivamente, delle Postille sulla letteratura di Ludovico Ariosto. Al primo aveva rimproverato di risultare scarno nella fantasia e di costruire un verso endecasillabo monotono e lento, mentre del secondo aveva lodato l’elasticità del ritmo poetico, l’equilibrio armonico della scrittura, l’unità organica della poesia e la fantasia narrativa. Nella polemica tra i due scrittori si era schierato con l’autore dell’Orlando Furioso.
Galilei è stato un innovatore anche in campo linguistico, visto che utilizza il volgare (oltre al latino) per divulgare i suoi studi scientifici e umanistici. Ha usato una lingua semplice ed elegante, di cui parla anche uno dei padri della critica letteraria italiana, ovvero il campano Francesco De Sanctis (nella sua «Storia della Letteratura Italiana»). Ha definito il suo modo di scrivere «uno stile tutto cose e tutto pensiero, scevro di ogni pretensione e di ogni maniera, in quella forma diretta e propria in che è l’ultima perfezione della prosa». Questa abilità nella costruzione di una prosa fluida e di facile comprensione – tanto da poterlo definire il primo divulgatore scientifico italiano – era apprezzata molto anche da intellettuali contemporanei del calibro di Italo Calvino.
L’astronomo pisano studiò anche la prospettiva del Manierismo e frequentò grandi artisti dell’epoca, come Ludovico Cardi (detto il Cigoli) che fu pittore, scultore e architetto di San Miniato. E come avvenne per la querelle tra scrittori, con una lettera datata 26 giungo 1612, partecipò anche alla disputa tra scultura e pittura, schierandosi con la seconda. Fu proprio il Cigoli a chiedergli aiuto per difendersi dagli attacchi di chi riteneva la scultura superiore.
Eppure l’uomo “multitasking” che sarebbe diventato il pioniere del metodo scientifico era anche una persona che redigeva oroscopi e si occupava di astrologia. In tema di aggiornamento dell’Edizione Nazionale delle Opere, sotto la direzione scientifica del Museo Galilei, sono stati aggiunti recentemente alcuni volumi ai venti libri pubblicati tra il 1890 e il 1909. Il terzo volume (uscito nel 2017) – curato dalla professoressa Germana Ernst – contiene, tra gli altri, un manoscritto dal titolo «Astrologica nonnulla».
Galileo, dunque, redigeva anche oroscopi per alcuni interessati. Ma si trattava di una pratica del tutto normale per quei tempi. Nell’ottobre del 1604, per esempio, fu osservata una supernova da Ilario Altobelli, un astronomo che insegnava a Padova. Essendo suo amico, informò subito lo studioso pisano, che volle prendere parte al dibattito. Questa intensa esplosione stellare generò preoccupazione e sconcerto nella società dell’epoca e Galileo, su commissione, preparò oroscopi personali. Ne scrisse alcuni anche per cardinali e nobili italiani, tra cui un’analisi sul tema natale del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici, suo estimatore. Ma non dobbiamo dimenticare che chi si occupava di astronomia in quell’epoca era, in qualche modo, legato anche all’astrologia e alla credenza dell’influenza degli astri sulla vita degli uomini.
È noto che anche Keplero, su richiesta del conte boemo Albrecht von Wallenstein, procedette, nel biennio 1624-1625, alla stesura di almeno due oroscopi che tenessero conto dell’ora precisa in cui il nobile (suo committente) era venuto al mondo. Erano pratiche del tutto normali per i tempi.
Ma torniamo nella casa di Galileo a Padova, oggi via Galileo Galilei, dove abbiamo lasciato l’illustre studioso seduto al tavolo di lavoro a riflettere sulle ricerche che sta compiendo. L’alone della Luna che si espande è davvero bellissimo, così come la volta del cielo, tutta puntellata dalle stelle della Via Lattea. Galileo si avvicina al cannocchiale, appoggia dei cartigli sul tavolo da giardino e punta quello strumento proprio verso la Luna. Doveva lavorare in ogni notte priva di nubi. Come disse Pietro Greco, occorreva «osservare, interpretare e comunicare». E tutto in tempo reale. Il risultato di questa fatica è stata la pubblicazione del «Sidereus Nuncius» il 13 marzo 1610, una sorta di «instant book» del tempo, scritto mentre osservava le caratteristiche del satellite della Terra. Galileo, da bravo disegnatore, preparerà alcuni acquerelli per illustrare le fasi lunari in ausilio alla descrizione del nostro satellite, quasi facendo il verso a Plutarco nel «De facie in orbe lunae» (scritto attribuibile a Plutarco).
In quella notte serena, con il cielo costellato di stelle (che abbiamo preso come modello di tante altre notti di studio), Galileo Galilei stava cambiando per sempre la storia della scienza e stava gettando il seme che germoglierà nel metodo scientifico moderno adottato dall’uomo per studiare i fenomeni della natura e per capirne il meccanismo di funzionamento.
Bibliografia
- F. Tognoni (a cura di), Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei, Giunti Editore
- A. De Angelis, I migliori diciotto anni della mia vita, Castelvecchi Editore
- https://bibdig.museogalileo.it/tecanew/undefined?bid=20114&seq=5
- G. Ernst (a cura di), Il manoscritto Astrologica nonnulla, collezione galileiana, si trova presso Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (appendice III, Testi, 2017, nello specifico pp. 109-193).
- P. Greco, Homo. Arte e scienza, Di Renzo Editore
- F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, BUR
Immagine in evidenza: la tomba di Galileo – Basilica di Santa Croce, Firenze. Foto di Aiva, da Flickr, rilasciata in licenza Creative Commons CC BY 2.0