28 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Il poltergeist della famiglia Fasoletti

Giandujotto scettico n° 124 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (20/10/2022)

Costa del Vernato è un’antica strada dell’abitato biellese. Ospita palazzi antichi, casette basse con giardino annesso che si dipanano lungo la strada acciottolata. Un luogo adattissimo, quindi, ad ospitare una casa infestata dagli spiriti…

I fatti risalgono al 1901. Agli inizi, il 17 novembre, se ne occuparono due giornali locali, la Tribuna Biellese e L’eco dell’Industria.

Già da alcuni giorni si vociferava che una casa posta al civico 84 di Costa del Vernato fosse abitata da uno Spirito Folletto, come venivano chiamati all’epoca gli episodi di presunta infestazione che provocavano fenomeni eclatanti e ansiogeni, come spostamenti di oggetti e rumori senza apparente spiegazione.

Proprio questo accadeva nell’abitazione su due piani della famiglia Fasoletti. Il padre, Carlo, era calzolaio, e vi abitava con la moglie e sette figli (tre maschi e quattro femmine). Si trattava, secondo la Tribuna Biellese, di

una famiglia sana, i figli sono tutti giovani, robusti e tutti superiori ai venti anni, per nulla soggetti ad allucinazioni, né in alcun modo suggestionabili.

Il poltergeist di Costa del Vernato

I fenomeni erano iniziati circa quindici giorni prima. In piena notte, i Fasoletti erano stati svegliati da un rumore proveniente dal solaio, come se “parecchi individui giuocassero sfrenatamente alle bocce”. Inizialmente, si pensò ai topi, e uno dei giovanotti della famiglia pensò bene di preparare una trappola in soffitta. Legò al congegno una campanella con del fil di ferro, in modo da essere avvisato quando scattava. La notte seguente, ecco di nuovo il suono notturno, più o meno alla stessa ora. I Fasoletti erano corsi in solaio per vedere se il topo era stato preso, ma trovarono la trappola scaricata, con il campanello strappato e gettato a metri di distanza.

La terza notte, i rumori erano aumentati di intensità: si era sentito al fondo della scala “tre detonazioni”, come spari d’arma da fuoco. Poi un suono di passi strano, come se qualcuno stesse salendo le scale con uno scarpone da un lato e una pantofola dall’altro. Due dei ragazzi, che dormivano nella stessa camera, avevano percepito la stessa cosa insieme a un rumore di libri sfogliati, come se qualcuno cercasse concitatamente una pagina. E poi, dopo un momento di calma, un tonfo sordo, quasi un corpo che cadesse a terra. A quel punto avevano chiamato la madre, che era scesa dal piano superiore portando il lume; non le riuscì di accenderlo fino a quando non fu al piano inferiore: prima – diceva – i fiammiferi continuavano a spegnersi, come se fossero oggetto di un soffio invisibile.

Alla luce della lampada a petrolio, i tre constatarono che la camera era in ordine, tranne che per due grossi pezzi di marmo, usati come fermacarte: si trovavano entrambi a terra, intatti. 

L’ipotesi dei topi da quel momento lasciò il posto a quella di uno spirito maligno. La notte successiva, il misterioso fantasma si ripresentò nella camera dei due giovani Fasoletti: si erano appena addormentati, quando, risveglatisi, si accorsero che le coperte erano state gettate per la camera. Si accusarono a vicenda dello scherzo. ma poi, quando si erano già riaddormentati, ecco un picchiettare leggero alla finestra, e poi lo stesso suono su un tavolino pieno di libri. 

Ormai destatisi di nuovo, avevano sentito una “mano invisibile” che apriva un cassetto, prendeva qualcosa, e poi lo gettava a terra: era un pezzo di piombo, come scoprirono una volta acceso il lume. Particolare interessante: il cassetto era chiuso a chiave: malgrado ciò, era stato aperto e poi richiuso ermeticamente. 

La famiglia Fasoletti ormai era certa: solo uno spirito poteva combinar scherzi del genere.

L’esercito dei curiosi

La vicenda divenne pubblica; tutta Biella ne discuteva animatamente. I vicini di casa erano in ansia. Come accadeva spesso all’epoca, la casa dei Fasoletti fu presa d’assalto dai curiosi: tutti volevano assistere ai fenomeni, constatare di persona i fatti. Secondo la Tribuna Biellese, tra questi ci furono anche dieci o dodici operai che pensarono bene di chiudersi a chiave in una delle camere della casa, al buio. Anche loro percepirono lo sfogliamento dei libri, il rumore di una mano poggiata violentemente su un tavolo, e, infine, la caduta di un corpo: acceso il lume, videro a terra un grosso lucchetto di ferro, che prima era sul tavolo.

Un amico del capofamiglia volle invece andare a dormire con lui nello stesso letto. A un certo punto sentì una mano passargli sulla faccia e stringergli il naso. Poteva essere uno scherzo di Carlo Fasoletti? No: l’uomo dormiva placidamente voltato dall’altra parte…

Nonostante tutto, la famiglia sembra godere di buona salute, infastidita quasi più dall’insistenza dei visitatori che dal misterioso Spirito Folletto. Le uniche che soffrivano un po’ la situazione erano le ragazze, che erano – così sosteneva la Tribuna Biellese – “naturalmente più paurose degli uomini”. Sulla natura dell’infestazione si dibatteva animatamente. 

Come spiegava L’Eco dell’Industria:

ll Parroco, il dott. Guala ed il delegato di P.S. hanno già, ciascuno per conto suo, fatto un’inchiesta, ma finora senza risultati. Le dicerie sono molte: chi afferma che sono proprio gli spiriti i quali vogliono dare ammonimenti e turbamenti ad alcuni increduli, chi sostiene esservi dei burloni, cui piace divertirsi alle spalle degli ingenui; chi sospetta di peggio.

Entra in scena l’esperto

Il 21 novembre 1901, sia Tribuna Biellese sia l’Eco dell’Industria tornarono sul caso. Tutte e due le testate avevano mandato sul posto un cronista. Quello dell’Eco era riuscito a raccogliere la testimonianza di alcuni membri della famiglia, che gli avevano rivelato:

Oramai gli strani rumori uditi nelle notti della settimana scorsa non ci inquietano più. Che male d’altra parte ce ne può venire? Nella notte dalla domenica al lunedi, venne quassù un delegato di pubblica sicurezza con quattro guardie. Per quella notte non si udì altro baccano all’infuori di quello della folla stazionante curiosa ed incredula nella via sottostante. La notte scorsa, verso l’una, fummo nuovamente svegliati dal rumore prodotto dagli oggetti collocati sul canterano, i quali pareva ballassero su sé stessi senza muoversi dal loro posto. Senza impressionarci punto, li invitammo a fare il comodaccio loro se così ad essi piaceva, e quelli si tacquero subito. Dopo un po’ di tempo presero a ballare gli oggetti collocati sul comodino, ma poi anche quelli si stancarono.

Ancor meglio aveva fatto la Tribuna Biellese, che era riuscita ad accalappiare un esperto di fenomeni medianici e lo aveva condotto, in piena notte, sul “luogo del delitto”. 

Di chi si trattava? Del ”professor Grossi”, “fascinatore e divinatore”, che in quei giorni si stava esibendo al Teatro Sociale di Biella con la sua collaboratrice, Madame Roux, in uno spettacolo di ipnotismo. I suoi esperimenti, a detta della Tribuna Biellese, erano assolutamente “nuovi e degni di studio” e superavano di gran lunga quelli di illusionisti celeberrimi, come Pickman e Donato.

Per noi, il coinvolgimento di Grossi è l’aspetto più interessante di questa storia, quello che lo rende un po’ speciale tra le tante storie di case infestate che abbiamo raccontato in questi anni. Lo è, perché il “professor Grossi”, di cui ignoriamo il nome (si trattava probabilmente di un nome d’arte) non era un vero professore o un accademico, ma un uomo di spettacolo. Si esibiva in tutta Italia insieme a tale Madame Roux, “lettrice del pensiero”. 

Dalla Provincia di Pisa del 29 gennaio 1902 abbiamo un esempio degli “esperimenti” portati sul palco:

Madame Roux, cogli occhi bendati e senza contatti, eseguirà quello che col pensiero, qualunque degli spettatori, volendo sottoporla ad una prova, avrà desiderio di vederle compiere. 

Questo effetto è un classico del mentalismo: come ci ha spiegato lo studioso di storia dell’illusionismo Mariano Tomatis, risale addirittura al 1785, quando il Marchese di Puysegur lo mise in scena a Parigi. 

In realtà, di Grossi sembra esser rimasta traccia abbastanza modesta. Eppure doveva aver tenuto spettacoli in mezzo mondo. Purtroppo non conosciamo il suo nome completo, né di dove fosse originario. L’11 marzo del 1905 un settimanale neozelandese, il New Zealand Observer, raccontava delle rappresentazioni che aveva da poco tenuto alla Opera House di Auckland, dove, fra le altre cose, si era prodotto in innumerevoli esempi di lettura del pensiero (quando non venivano, Grossi aveva una spiegazione: solo l’1% della popolazione riusciva a concentrare a sufficienza la propria mente da poter essere letta). A fianco di questi effetti, però, ne aveva messi in scena di più classici, che richiedevano la manipolazione di oggetti o attrezzature di scena. Lì comunque era presentato come professor Grossi, dunque all’italiana, mentre altrove era identificato come francese. 

L’anno dopo, il 13 novembre 1906, dalla Bombay Gazette indiana apprendiamo che si esibiva insieme a una mademoiselle (il cognome Roux non è menzionato, e, del resto la collaboratrice donna non è nemmeno presente nella fonte neozelandese, mentre in altre fonti si parla di un assistente di colore). I due avevano fatto faville mettendo in scena esperimenti di telepatia presso la Town Hall. Pare inoltre che un suo cavallo di battaglia fosse “Un viaggio nel Transvaal” – forse, uno spettacolo di lanterne magiche.

In generale possiamo dire che si trattava di spettacoli di illusionismo ammantati di un’aura scientifica, come avveniva in tantissime esibizioni dell’epoca (consigliamo, per altri casi di questo tipo, lo splendido volume Incantagioni di Mariano Tomatis). Sulla scena, l’uomo si presentava come un esimio studioso di ipnotismo, la donna-medium come soggetto da esaminare; in questo modo, i trucchi si trasformavano nell’imitazione di veri “esperimenti scientifici”. Ma erano finzione: entrambi recitavano una parte, per la gioia e l’intrattenimento del pubblico. 

Il fatto che un giornalista potesse rivolgersi all’uomo come a un vero professore esperto di fenomeni medianici la dice lunga su quanto questa presentazione facesse presa, e su quanto i confini tra finzione scenica e realtà fossero permeabili e poco definiti. Un aspetto del quale sappiamo poco, ma che pensiamo sia stato parte della dinamica degli eventi successivi.

In visita con il “professor” Grossi 

Dunque, il cronista della Tribuna Biellese chiese consiglio al “professor Grossi”, che gli rispose di non poter dare un parere se non vedendo i fenomeni di persona. I due si presentarono quindi a casa Fasoletti dopo lo spettacolo del sabato sera al Teatro Sociale e riuscirono a farsi aprire nonostante fosse scoccata ormai l’una di notte. Erano accompagnati da un terzo uomo, l’avvocato Gaudenzio Mongini, noto – così si diceva – per il suo sangue freddo. La famiglia, svegliata dal sonno, ripetè paziente il suo racconto; si proseguì poi con un’attenta ispezione di tutte le stanze, con richieste di informazioni e dettagli. Durante tutta la visita, della durata di un’ora, non avvennero tuttavia fenomeni particolari.

Il giornalista, il “professore”, l’avvocato: tutti e tre (Madame Roux no, ovviamente) che quasi irrompono, in piena notte, nella casa di un calzolaio e dei suoi, per fornire un parere autorevole. A quanto pare, Grossi assunse il ruolo di dominus della scena.

Recitò la sua parte e fornì il suo parere: non poteva dare giudizi netti, perché avrebbe dovuto trovarsi solo nell’abitazione e fare una seduta. Concluse, ambiguamente, che si trattava di “un caso di suggestione” e che una cosa del genere non era rara. Tentò comunque un colpo da perfetto uomo di spettacolo: radunò tutta la famiglia in una stanza e, guardandoli uno per uno negli occhi, ripeté due volte:

Non abbiate più paura, gli spiriti non li sentirete più.

La famiglia fu lieta per la notizia e ringraziò vivamente il professore. Il giorno seguente, una domenica, andò sul posto anche la polizia, nelle persone del delegato capo Giuffrida e del delegato De Cesare. I due funzionari rimasero due ore appostati in solaio, ma non accadde nulla. Quella notte altri curiosi cercarono di entrare nella casa, insistendo per entrare nonostante il divieto dei Fasoletti. Alla fine dovettero intervenire gli agenti di polizia che, se non erano riusciti ad acchiappare il folletto, ebbero successo almeno in uno dei compiti a loro più consoni: disperdere il raggruppamento. 

L’uomo dei “registri”

Tra i visitatori della casa, ce ne fu almeno un altro su cui attiriamo la vostra attenzione. Si trattava di un vecchietto che viveva vicino alla casa dei Fasoletti e che, saputo del caso, avvisò che sarebbe andato a trovarli coi suoi registri per scacciare gli spiriti maligni. Arrivò all’abitazione tenendo sottobraccio dei grossi volumi contenenti le formule magiche per scacciare l’infestazione. Si fece aprire – di nuovo, in piena notte – e lesse ad alta voce i misteriosi versetti. Se ne andò poi rassicurando anche lui la famiglia: non sarebbero più stati disturbati da alcun rumore. 

Nonostante l’impegno del vecchietto e le suggestioni ipnotiche del “professore”, per un po’ i fenomeni continuarono. 

La notte del martedì successivo a questi interventi, marito e moglie stavano dormendo, quando furono richiamati da una voce e sentirono tamburellare delle dita su un tavolo. Al buio, Carlo Fasoletti mise una mano sul mobile e il rumore cessò. Quando la ritirò, la tarantella ricominciò. Anche una delle figlie, che si era svegliata presto per assistere alla messa, notò qualcosa di strano: l’uscio della cucina si agitava, come mosso da una mano. 

Di fronte a tutto questo il già ricordato dottor Andrea Guala, medico comunale di Biella (m. 1921), consigliò di lasciare l’abitazione; ma i Fasoletti, che abitavano lì da tanti anni, non ne volevano sapere. Forse i fenomeni sarebbero cessati presto, come era successo qualche tempo prima a Torino (il riferimento, qui, probabilmente era al celebre caso di via Bava, che aveva occupato le pagine dei giornali l’anno precedente, o forse al caso di corso Valdocco, verificatosi nel maggio 1901). 

L’ultimo giornale a intervenire sulla faccenda fu Biella Cattolica, che fino a quel momento aveva preferito tacere. A quel punto, però, anche il clero doveva dire la sua, facendo la consueta polemica contro chi, a vario titolo, si era accostato a questi fenomeni:

Lasciamo ad altri i commenti mirabolanti, ed i profondi studi che in nome della scienza portano a dire che non si sa niente per spiegare questi fenomeni. Noi diciamo così: Una delle due; o questi fenomeni sono naturali fisici, il che, se vere sono le cose esposte, pare impossibile; o sono eccedenti le forze della natura, e allora si tratta certo di spiriti, e non di spiriti buoni, ma certamente malvagi.

 C’era puzza di zolfo in quegli strani eventi. Gli oggetti che si muovevano da soli e i rumori potevano nascondere, non è chiaro perché, l’intervento del gran Tentatore.

Gli spiriti se ne sono andati?

Il 24 novembre 1901 la Tribuna Biellese annunciò quello che, ipotizzava, forse era l’epilogo della faccenda: gli spiriti avevano lasciato casa Fasoletti.

Dalla notte in cui il tavolo aveva tamburellato, i fenomeni misteriosi erano cessati. Il giornale ne attribuiva il merito al professor Grossi, cioè al suggestionatore; poteva darsi anche che i “registri” del buon vecchio avessero aiutato: dal tono del cronista, tuttavia, sembra di capire che il merito fosse tutto dell’ipnotista. D’altra parte, i “registri” erano superstizione; gli esperimenti di Grossi, invece, erano “scientifici”, moderni, l’ultima frontiera in fatto di studi psichici… Nessun accenno alla vera natura di quanto faceva Grossi: l’ illusionista e mentalista di professione, probabilmente anche a un livello di spettacolarità degno di nota.

Una conclusione inattesa

La storia doveva riservare un ultimo colpo di scena. Ne abbiamo notizia dalla Tribuna Biellese e da Eco dell’Industria del 12 dicembre 1901 e da Biella Cattolica del 14.

Gli spiriti, a quanto pare, non se n’erano mai andati. La famiglia Fasoletti assicurava che tutto era rimasto come prima, e che, anzi, le manifestazioni spiritiche erano peggiorate: continuavano i rumori, lo sfogliamento di libri, l’apertura dei cassetti, la tarantella di mobili, porte e finestre. Erano stati gli stessi abitanti della casa infestata che, su consiglio della Questura, avevano smesso di farne un caso e di parlarne agli estranei. Solo per questo sembrava che non ci fossero novità.

La sera di martedì, però, un nuovo episodio si era aggiunto ai precedenti, ancora più violento e allarmante. Aveva coinvolto una delle figlie di Carlo Fasoletti. La giovane era da sola (sul luogo in cui si trovava, le fonti non concordano: forse era in giardino, forse era entrata in una stanza buia); si era sentita chiamare, era stata tirata per i capelli e trattenuta lì contro la sua volontà. Aveva cacciato un urlo, e i parenti l’avevano poi ritrovata a terra, svenuta. I Fasoletti erano ricorsi di nuovo alla Polizia, che aveva ricominciato gli appostamenti, ma apparivano scoraggiati. Cosa sarebbe potuto accadere ancora? 

Alla fine, presero una decisione: abbandonare la casa indiavolata. Questa, per quanto ne sappiamo, costituì la fine di tutta la faccenda.

Nel Giandujotto scettico abbiamo raccontato spesso fenomeni di poltergeist e la loro conclusione. A volte le manifestazioni spiritiche cessavano dopo una visita delle forze dell’ordine, a volte con l’allontanamento di una singola persona. La maggior parte delle volte però gli “spiriti” semplicemente si stancavano, e dopo un po’ smettevano i loro tormenti.

In alcuni casi, tuttavia, le manifestazioni erano talmente persistenti e ansiogene al punto da scacciare le vittime dai loro alloggi. Da scettici, supponiamo che fosse proprio questo lo scopo di almeno alcune delle “infestazioni”, messe in scena da qualcuno vicino o interno alle famiglie coinvolte: convincere gli abitanti di una casa ad andarsene altrove, lontano. Abbiamo alcuni esempi concreti di questa dinamica: nel 1879, a Cuneo, il giovane Senofonte Squinabol inscenò i fantasmi per indurre la sua famiglia a trasferirsi a Genova o Torino, in una città dove avrebbe potuto frequentare l’Università; nel 1933, gli abitanti di una cascina di Celle Enomondo (Asti) fecero lo stesso per “persuadere” due familiari, un cieco di guerra e la sorella, ad andare a vivere a Torino.

Per capire se fosse così anche nel caso del poltergeist di Biella bisognerebbe conoscere meglio la famiglia, le sue tensioni interne e le aspirazioni dei suoi membri. Non disponiamo di fonti al riguardo. 

Rimane comunque il dato curioso: i casi di abitazioni infestate non sempre cessavano così, per stanchezza o per mancanza di interesse di chi perpetrava gli scherzi. A volte a vincere erano gli spiriti e una famiglia era obbligata a scappare altrove. Quanto ai fantasmi, ci piace immaginare che siano rimasti lì, soli, a godersi in santa pace il tinello.

Si ringraziano Mariano Tomatis per l’articolo della Bombay Gazette e Alessandro Rusconi per gli utili suggerimenti. Immagine da Wikimedia Commons, illustrazione per la voce Tables tournantes del “Dictionnaire infernal” di Collin de Plancy, 1863.