30 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Gallerie Sabaude e teste di cavolo

Giandujotto scettico n° 108 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (24/02/2022)

Teste di cavolo! Il Giandujotto scettico oggi vi porta a conoscere uno dei dipinti più curiosi custoditi presso la Galleria Sabauda, nel cuore di Palazzo Reale a Torino. Di solito non è esposto al pubblico; lascia saltuariamente i depositi del museo per eventi e mostre. Eppure, si tratta di un’opera così bizzarra da lasciare i visitatori perplessi e desiderosi di saperne di più. 

È la Cucina delle teste di Eeklo.

Si tratta di un pannello dipinto a olio, 21×32 cm, risalente al Diciassettesimo secolo. Rappresenta Eeklo, una cittadina di ventimila abitanti delle Fiandre orientali (Belgio), a circa venticinque chilometri da Bruges. Secondo la leggenda, lì viveva un fornaio in grado di impastare e cuocere nuove teste per chi non era soddisfatto della propria. Voi vi sottoporreste al trattamento? Beh, a quanto pare erano tanti quelli che non aspettavano altro: il nostro uomo aveva sempre una lunghissima fila di clienti che arrivavano da tutta l’Olanda e dai Paesi vicini. 

Il dipinto raffigura tutte le fasi della lavorazione: a destra, una donna attende il suo turno chiacchierando con qualcuno che si trova al di fuori della scena; alla sua sinistra, ecco che avviene la decapitazione: un lavorante della panetteria taglia la testa a un uomo e la ripone in un cesto. Poi, i clienti vengono lasciati ad aspettare con un cavolo sul collo: il miglior metodo possibile per impedire al sangue di fuoriuscire! Infine, ecco in secondo piano gli addetti alla preparazione e alla cottura delle nuove teste, che verranno “condite” con un misterioso elisir in grado di dar loro vita e infine rimesse al loro posto (in primo piano, a sinistra nel dipinto).

E l’uomo vestito di rosso in fondo al quadro? Probabilmente mostra proprio lui, il fornaio di Eeklo. Sta chiacchierando con una donna che reca in mano una testa dai lineamenti maschili. Secondo alcune interpretazioni, si tratta di una nuova cliente pronta a chiedere al panettiere di ri-cucinare il proprio marito. Altri ci vedono una cliente delusa, che riporta indietro la merce di cui è rimasta insoddisfatta. Già, perché non sempre l’operazione andava bene. A volte l’impasto cuoceva troppo, e allora il destinatario del prodotto rimaneva una “testa calda”: impulsivo, irascibile, pronto ad accendersi per un nonnulla. Altre volte, la temperatura del forno non era abbastanza, e a quel punto il cliente si ritrovava con una testa guasta. La morale è evidente: meglio accontentarsi della propria testa!

Il motivo pittorico del fornaio di Eeklo ebbe un certo successo nell’arte fiamminga tra Sei e Settecento. Nacque probabilmente intorno al 1570, in tempi in cui ormai la Riforma protestante aveva portato nell’arte dell’Europa centrale e settentrionale temi laici e un nuovo clima di critica sociale che annunciava la modernità. 

Wendy Wauters, che ne ha analizzato la simbologia in un paper (The Origins of the Furnace Motif: From Magico-Religious Ritual to Early Modern Tale of Makeability, Journal of Early Modern Christianity, 2020), ha contato circa sedici versioni differenti dedicate al nostro panettiere.

La più famosa è probabilmente quella che si trova al Castello di Muiden (Muiderslot), dove ha sede il Rijiksmuseum. Altre copie del nostro dipinto si trovano al Museum der bildenden Künste di Lipsia, in Germania, e in collezioni private. Secondo alcuni, tutte si baserebbero su un originale ormai andato perduto risalente agli anni 1570-1580, forse opera di Cornelis van Dalem e Jan van Wechelen. Wauters, però, ritiene questa identificazione problematica, perché basata solo su somiglianze estetiche con alcuni personaggi delle opere di van Dalem e con le visioni prospettiche di van Wechelen. Anche l’identificazione della città in cui si svolge la scena non è certa: la conclusione tradizionale deriva da una nota scritta sul retro di uno di questi dipinti, in cui il soggetto viene indicato come “fornaio di Eelco”. Nel 1937 lo studioso Arthur Wijsman ipotizzò che potesse trattarsi di un errore per Eeklo. 

Comunque stia la faccenda, però, la domanda rimane: qual era il significato della nostra leggenda? E perché ebbe così tanto successo?

Cominciamo dalla questione delle teste di cavolo: la scelta di questo ortaggio non è casuale. In olandese ci sono molte espressioni che potrebbero giustificare la scelta. Spiega ancora Wauters:

een koolhoofd (testa di cavolo) significa “persona stupida” e andhet is maarkool (è solo cavolo) si usa per indicare qualcosa di totalmente assurdo. Ancora più importante, in questo contesto, è l’espressione Iemand een kool stoven, bakken (bollire, cucinare un cavolo per qualcuno). Lo si dice riferendosi a una bugia ingannevole, a uno scherzo, o a una burla dalla quale qualcuno viene ingannato. […] Particolarmente interessante, a tal proposito, sono le espressioni derivate een koolbakkerij e een koolbakker (un forno di cavoli, fornaio di cavoli). Quest’ultimo è una persona che si diverte a ingannare gli altri, e un forno dei cavoli è una storia incredibile oppure creata ad arte. È possibile che il dipinto menzionato sopra fosse originariamente indicato come “Il forno dei cavoli”.

Più difficile spiegare come sia nato il motivo pittorico. Negli anni ‘30 Arthur Wijsman mise in collegamento la storia della città di Eeklo con alcuni modi di dire che potrebbero aver dato origine al tutto. 

Siamo nel Quindicesimo secolo, Eeklo e Maldegem distano meno di dieci chilometri l’una dall’altra, e tra le due c’è una forte rivalità. L’odio raggiunge il culmine nel 1458, quando un abitante di Eeklo uccide un uomo della città vicina. Il processo è lungo e si conclude con la vittoria di Maldegem, dove viene condotto e imprigionato il colpevole del delitto. Eeklo si appella a una questione di giurisdizione: secondo un’antica usanza è essa stessa a dover giudicare i suoi cittadini. Così, alcuni abitanti di Eeklo impugnano le armi e vanno a liberare il loro compaesano ingiustamente detenuto a Maldegem. Alla fine è costretto a intervenire direttamente Filippo il Buono, re di Borgogna. Filippo condanna Eeklo a una pesante multa e impone alla città di chiedere perdono ai rivali. Doppia sconfitta, dunque. 

Sfruttando il soprannome degli abitanti di Eeklo (in cui era molto viva l’industria della ceramica), la gente di Maldegem avrebbe cominciato a dire che i loro vicini erano “a doppia cottura”. Wijsman ipotizzò che qualche pittore avesse sentito l’espressione e, non comprendendone il significato, potesse averne tratto spunto per dipingere la scena della panetteria di teste… Una lettura affascinante, ma difficile da provare. 

“Il ciarlatano”, Jan Sanders van Hemessen, 1550 circa. Da Wikimedia Commons, pubblico dominio

Più persuasivo, forse, è il vedere come la storia è stata inquadrata in tempi diversi. Inizialmente il tema narrativo centrale fu probabilmente quello della ciarlataneria e della credulità. La leggenda del panettiere di Eeklo, infatti, è anche parte di un altro tema ricorrente nel Sedicesimo secolo, quello dei falsi rimedi – fisici o simbolici – messi in atto per curare i malati, per farli tornare giovani o renderli “migliori” (IconClass 31B81). Un esempio è rappresentato dai numerosi dipinti che raffigurano l’estrazione della pietra della follia, operazione simbolica basata sull’idea che chi soffriva di disturbi psichici avesse nel cervello un sassolino e che, estraendolo, potesse tornare alla vita normale.

Il tema si sviluppò soprattutto in Olanda, in Francia e in Germania: nelle stampe e nei dipinti satirici comparvero poco a poco uomini e donne che si sottoponevano alla dolorosa molatura di nasi e lingue, medici che inserivano fluidi nei corpi con l’aiuto di un imbuto o che distillavano i pensieri, “mulini della rigenerazione” e fabbri che forgiavano teste nuove per i loro clienti. Erano immagini umoristiche con finti trattamenti di natura simbolica o metaforica, il cui scopo era quello di rimuovere le caratteristiche spiacevoli delle persone, di cambiare i tratti psicologici e della personalità considerati sgraditi. Qui potete vederne un paio

Un tema specifico su cui Wauters si sofferma a lungo è quello delle “fornaci della giovinezza”. A partire dal 1540-50 in Germania cominciò a diffondersi un foglio volante nel quale spiccavano i titoli Jungmann Machen (Ringiovaniti) e Der Jungofen fiir Frauen (Il forno della giovinezza per le donne). Sotto la dicitura, due immagini rappresentavano uomini e donne che venivano calati in un forno e ne uscivano giovani, mentre una lunga fila di clienti attendeva il proprio turno e il padrone della fornace raccoglieva i soldi per il trattamento somministrato.

Di grande interesse la parte “femminile” del testo: la fornace si trovava su un’isola chiamata Senecla; alcuni mercanti, lì giunti, avevano testimoniato sulla bontà del processo di rigenerazione effettuato da un maestro e dal suo assistente. L’isola, però, si rivelava un “falso paradiso”: le donne, in cambio della gioventù perduta, non potevano più lasciare quei luoghi. Del resto, nel Cinquecento, nell’iconografia della Riforma protestante il tema del forno e del mulino sono frequentissimi proprio a fini satirici e di polemica contro la chiesa di Roma e il papato.

Anche la “ricottura” delle teste di Eeklo rientra in questo filone: un rimedio satirico che denunciava la credulità delle persone disposte a farsi tagliare scioccamente la testa pur di sperare di guarire dalla follia o dalle proprie cattive abitudini. 

Da notare, in quest’ottica, i vestiti dei clienti seduti in prima fila. Quello più a sinistra ha un abito ricco e lussuoso, probabilmente appartenente a un nobile; segue una donna vestita con abiti religiosi (il clero cattolico in disgrazia); poi un uomo con un lungo vestito da magistrato (la borghesia in conflitto per il controllo dei principati nascenti) e infine un personaggio che ha indosso un semplice abito da lavoro. Ricchi o poveri, tutti sono soggetti alla creduloneria.  

Poi, a cominciare dal Diciassettesimo secolo, il soggetto cominciò a essere descritto con toni più moralistici. Dai dipinti si passò alle stampe, spesso accompagnate da poesie e testi in prosa. Una delle prime varianti apparve in un’opera di Adriaen Poirters (1605-1674), gesuita e teologo controriformato olandese (Het masker van de Wereldt afgetrocken, 1649). Qui, una lunga poesia racconta la storia del “panettiere di teste”, narrata dal punto di vista del fornaio stesso. Nel prologo, Poirters afferma che un’esistenza pacifica è a portata di mano, purché ognuno faccia la propria parte per contribuirvi:

 “Che le teste irritabili non siano troppo dure con gli stati animi impulsivi e con le strane fantasie degli altri, e che si possa così perdonarci a vicenda le mancanze”.

Segue l’elenco delle afflizioni che può curare il “trattamento”: cambiare il carattere e migliorare i lineamenti fisici, curare la stupidità, la prepotenza e la vanità… L’unica cosa che nessuno può guarire è la pazzia. 

Il leitmotiv è sempre la credulità di chi paga per la cura: il fornaio considera le loro pretese assurde; anche perché, alla fine, tutte le teste soffrono di qualche pazzia. La conclusione? La ri-cottura è qualcosa che ogni persona deve fare per se stessa. Ognuno ha il compito di comportarsi con bontà e con ragionevolezza, rendendosi affabile e amichevole e tollerando le debolezze altrui con cristiana pazienza. 

Con il passare dei decenni e avviandosi al Settecento e ad un clima generale europeo meno tetro, la vicenda della panetteria di Eeklo cominciò a diventare satira di costume, soprattutto riguardo al rapporto tra i sessi. In una stampa del 1700 pubblicata ad Anversa come strenna per l’anno nuovo (De nievw-iaerighe hoofdt-backerye) le affezioni curate dal fornaio hanno quasi tutte a che fare con le relazioni: infedeltà, scarse prestazioni sessuali, mancanza di fascino e di avvenenza. Quasi sempre uomini e donne sono lì a farsi cambiare la testa su richiesta del partner. La stampa si prende gioco di quelli che cercano una soluzione ai loro problemi attraverso una soluzione rapida ma illusoria, ma in maniera più lieve rispetto al Cinque-Seicento.

In ciò la stampa di Anversa somiglia  a un altro motivo artistico piuttosto popolare nella Francia del Settecento, quello della fucina di Lustucru. Sono gli anni della figura delle “preziose”, dei salotti letterari e di nuovi modelli femminili, e gli uomini reagiscono con stampe e libelli che hanno per tema la “battaglia fra i sessi”. L’immaginario Lustucru è un fabbro in grado di riforgiare le teste; gli uomini arrivano da tutto il paese per sottoporre le proprie spose al trattamento. Speravano così di “curarle” e di renderle di nuovo docili padrone di casa. Le donne, a volte raffigurate nell’atto di scappare o di rifiutare la “terapia”, si vendicheranno distruggendo con furia la fucina di Lustucru. 

Infine, tra le affezioni curate dal panettiere di Eeklo, compare anche la vecchiaia. Una xilografia prodotta a Augusta da Abraham Bach (attivo negli anni 1648-80) fonde i motivi della fornace della giovinezza con quelli relativi alla panetteria delle teste; uomini e donne vengono cucinati e cotti per riavere di nuovo la gioventù. 

Ecco il mondo complesso e divertente che si cela dietro le teste di cavolo della Galleria Sabauda di Torino: una leggenda bizzarra, una satira sfruttata nei secoli per sottolineare la stoltezza umana e la tendenza a farci prendere in giro dai ciarlatani, ma anche l’inutilità dei tentativi di “cambiar testa” o di farla cambiare ai nostri cari. 

Il dipinto conservato a Torino sembra essere l’unico con questo tema presente in Italia (e uno dei pochissimi visibili al di fuori del Belgio e dei Paesi Bassi). Anche per questo, forse, meriterebbe di essere un po’ più conosciuto.