28 Aprile 2024
Approfondimenti

Fasce di Van Allen, raggi cosmici, esplosioni solari: tra rischi e bufale

Lo spazio è un ambiente mortale in molti modi diversi. Il vuoto provoca gonfiore e morte in pochi minuti, anche se in modo meno appariscente che nei film di fantascienza; la temperatura di circa 270 gradi sotto zero causa il congelamento nel giro di alcune ore. Ma anche se le tute spaziali proteggono gli astronauti da questi due effetti, c’è un terzo male a cui è molto difficile sfuggire: le radiazioni.

Nello spazio ci sono tre tipi diversi di radiazioni: particelle intrappolate dal campo magnetico terrestre nelle fasce di Van Allen, particelle emesse durante esplosioni (brillamenti e espulsioni di massa coronale) che avvengono sul Sole e raggi cosmici galattici che arrivano dall’esterno del sistema solare. Sono tutte radiazioni ionizzanti, che danneggiano le cellule e oltre ad aumentare il rischio di tumori e di malattie degenerative, possono provocare, se superano un certo livello, la sindrome da radiazione acuta. 

Proteggere gli astronauti e le apparecchiature elettroniche è un’impresa ardua, specialmente per le radiazioni ad alta energia, perché quando esse interagiscono con le strutture dei satelliti generano radiazioni secondarie che possono essere ancora più dannose. Per bloccarle completamente servirebbero corazze pesantissime, troppo costose da portare nello spazio, almeno per il momento.

Sulla superficie terrestre siamo protetti da queste radiazioni grazie all’atmosfera, al campo magnetico della Terra e alla massa stessa del nostro pianeta, ma man mano che saliamo di quota i rischi aumentano, perché diminuiscono la protezione dell’atmosfera e della magnetosfera e finiamo per entrare nelle fasce di van Allen.

Le fasce di van Allen assomigliano un po’ a due ciambelle una dentro l’altra: sono molto larghe intorno all’equatore, mentre si riducono fino a scomparire sopra i poli. Contengono soprattutto protoni ed elettroni e non hanno una dimensione costante, ma si espandono durante le tempeste solari.

Alla quota della Stazione Spaziale Internazionale (400 km) siamo quasi sempre fuori dalle fasce e il livello di radiazioni è piuttosto basso, ma intorno ai 1000 km di quota entriamo nella prima fascia di van Allen e intorno ai 15.000 nella seconda.

Come hanno fatto gli astronauti delle missioni Apollo ad attraversarle indenni? 

Negli anni Sessanta le fasce di Van Allen erano meno conosciute di oggi, ma i satelliti Explorer e Sputnik avevano già dimostrato l’esistenza di due fasce distinte, interna e esterna, e il conseguente pericolo per gli astronauti. Inizialmente, per esempio con Yuri Gagarin, si fece attenzione a non attraversarle, ma per poter sbarcare sulla Luna diventò urgente trovare una soluzione.

Teoricamente sarebbe stato possibile evitarle del tutto passando attraverso il Polo Sud o il Polo Nord magnetico, ma la quantità di propellente necessaria sarebbe stata proibitiva. Van Allen propose di far esplodere una bomba atomica per fornire alle particelle intrappolate nelle fasce l’energia necessaria per sfuggire al campo magnetico terrestre.

Pessima idea. La sua proposta non fu realizzata, ma i test nucleari condotti sia dagli americani sia dai sovietici nel 1962, invece di annientare le fasce, finirono per aumentare temporaneamente il livello di radioattività nello spazio, oltre a mettere fuori uso diversi satelliti già in orbita.

Dopo molte discussioni, La NASA studiò una traiettoria che permetteva di aggirare il problema, in quanto non toccava la fascia interna, più pericolosa, e passava rapidamente attraverso una zona periferica e poco densa della fascia esterna. Tra andata e ritorno gli astronauti delle missioni Apollo attraversarono le frange della fascia esterna di van Allen per non più di 60 minuti.

Ma i rischi non finivano qui. Una volta usciti dalle fasce di Van Allen, i moduli Apollo erano completamente esposti alle radiazioni cosmiche galattiche e alle particelle provenienti dagli eventi solari. In un volume grosso come una pallina da ping pong passano 90 raggi cosmici al secondo, mentre durante una tempesta solare possono attraversare lo stesso volume circa 1000 particelle provenienti dal Sole: se gli eventi solari sono come un forte temporale, i raggi cosmici sono come una pioggerellina leggera che non finisce mai e alla lunga fa ancora più danni, non per gli effetti acuti ma per quelli cronici.

Anche per questo le missioni Apollo dovevano avere una durata limitata. 

Una lettera indirizzata nel 2004 a Van Allen a un ingegnere americano che gestiva un sito anti-bufale sui voli lunari. Un esempio delle preoccupazioni per i miti circolanti sulle “fasce” in relazione alle missioni spaziali.

Poiché non torniamo sulla Luna da mezzo secolo, alcuni credono che il programma Apollo sia stato una finzione, perché attraversare le fasce di van Allen sarebbe stato fatale per gli astronauti. 

James Van Allen in persona, lo scopritore delle fasce che portano il suo nome, ha definito questa teoria “una sciocchezza”. Sappiamo esattamente quante radiazioni ricevono gli astronauti durante le loro missioni, perché sono equipaggiati con dispositivi di misura: quelli delle varie missioni Apollo assorbirono da 0,18 a 1,14 rem ciascuno, quantità di radiazioni paragonabili a quelle di una TAC. Non sono dosi pericolose: servono 50 rem (0,5 Sv) in un breve lasso di tempo per causare la sindrome da radiazione acuta, 300 rem (3 Sv) o più per causare la morte.

Le missioni Apollo furono aiutate anche da un elemento che le teorie del complotto non considerano mai: la fortuna. Nell’agosto 1972, quasi a metà tra le missioni Apollo 16 di aprile e Apollo 17 di dicembre dello stesso anno, ci fu una violenta tempesta solare. Se in quel momento ci fosse stata una missione, gli astronauti avrebbero rischiato una sindrome da radiazione acuta che avrebbe potuto renderli incapaci di tornare sulla Terra, se non ucciderli nel giro di qualche ora.

Può sembrare azzardato aver mandato gli equipaggi delle missioni Apollo nelle fasce di Van Allen senza protezioni aggiuntive, ma si trattava di un rischio considerato accettabile nel contesto della competizione con l’Unione Sovietica. Inoltre gli astronauti erano piloti militari: partire per la Luna non era più pericoloso che collaudare un aereo militare sperimentale dalla base Edwards.

Va sottolineato che i raggi cosmici sono molto più energetici e più difficili da fermare delle radiazioni contenute nelle fasce di Van Allen. 

Sono quindi i raggi cosmici il principale ostacolo per le future missioni umane su Marte, che dureranno almeno un anno tra andata e ritorno, per quasi tutto il tempo fuori dalla magnetosfera terrestre e quindi senza protezione. Anche la permanenza sulla superficie di Marte sarà complicata, perché il pianeta non ha un campo magnetico e l’atmosfera è meno di un centesimo di quella terrestre.

Stiamo cercando di sviluppare nuovi materiali che oltre a proteggere dalle radiazioni pesino poco ma allo stesso tempo siano abbastanza robusti per diventare le strutture portanti dei futuri veicoli spaziali. Non è semplice e ci vorrà tempo per riuscirci.

In futuro potrebbero nascere anche soluzioni più fantascientifiche: campi elettromagnetici che proteggano le astronavi come fa la magnetosfera terrestre, farmaci che mitighino gli effetti delle radiazioni.

È ancora presto per dire quando il primo essere umano metterà piede su Marte, ma ci stiamo avvicinando: la prossima stazione spaziale in orbita intorno alla Luna ci aiuterà a sviluppare e collaudare le tecnologie necessarie. La sfida tra le insidie dello spazio e l’ingegno umano continuerà ancora a lungo.

Bibliografia essenziale:

Andrea Ferrero

Ingegnere, lavora presso un’importante azienda aerospaziale italiana. Ha partecipato al progetto di moduli abitati della Stazione Spaziale Internazionale e di satelliti per osservazione terrestre. È coordinatore nazionale del CICAP.

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