14 Ottobre 2024
Giandujotto scettico

Guerra e fantasmi nel Monregalese

Giandujotto scettico n° 94 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (29/07/2021)

Piccoli episodi dimenticati, in apparenza insignificanti. Cronache minori di una parte relativamente isolata della provincia piemontese. Storie di fantasmi, infestazioni, leggende e voci, di fenomeni premonitori in cielo, mentre la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, pian piano, arrivava a stravolgere anche quell’Italia appartata…

Oggi vi raccontiamo alcuni di questi aneddoti, sovente in poche righe. Raccontano moltissimo di ciò in cui Mondovì e il suo territorio credeva, e quanti bisogni e necessità mettessero in atto, nascondendo desideri e timori sotto le spoglie del sovrannaturale. Così, era abbastanza frequente che di notte, nelle nostre campagne, fino a che l’industrializzazione post-bellica non le svuotò, controversie di vario genere fra gli abitanti fossero camuffate e rese tollerabili se considerate azioni compiute da “spiriti burloni”. Un caso lo avevamo documentato qui. Aggressioni notturne da parte di “fantasmi” coperti da lenzuoli, lanci “misteriosi” di pietre e terriccio, piccoli incendi ripetuti e in apparenza inspiegabili…

Non erano eventi casuali o rari: potevano essere un modo per mettere in atto modeste vendette e ripicche, condannare comportamenti e prendere di mira coloro che si trovavano ai margini della società o di ciò che era considerato popolarmente accettabile. La loro costanza nel tempo, la loro frequenza e le loro caratteristiche stereotipate, quasi rituali, fanno pensare che dal punto di vista culturale fossero più codificati di quanto sappiamo.

Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, un primo caso di questo tipo avvenne a Monastero Vasco. Era la primavera del 1942. I fratelli Danna (detti “i Tobiot”) abitavano in una casa isolata in località Garavetto. Il 16 maggio Stampa Sera riferì che i Tobiot avevano denunciato ai Carabinieri un fatto curioso: da qualche notte sentivano intorno all’abitazione circondata da castagneti grida e pianti, mentre contro finestre e tegole venivano lanciati sassi. Un fatto simile, aveva riferito uno dei due, si era verificato già cinque anni prima. “Spiriti burloni o vicini importuni?” era – fin dall’apertura – l’alternativa suggerita dal giornale.

Un secondo articolo fa intuire meglio il contesto in cui si verificarono i “fenomeni” di Garavetto: la casa ospitava quattro contadini, due fratelli e due sorelle, tutti non sposati. Malgrado fossero ritenuti facoltosi, vivevano in condizioni modestissime. Erano queste quattro persone ad uscire di notte armate di tridente per cercare i “fantasmi”; che – fra le altre cose – emettevano “fischi acuti” che li spaventavano ancora di più.

Il popolino, continuava Stampa Sera, preferiva l’alternativa spiritica, mentre i Danna, anche se impauriti, pensavano più concretamente a qualcuno che voleva “perseguitarli”, magari perché invidioso dei soldi messi da parte e, si direbbe, del loro rifiuto di farli circolare al di là dei loro castagneti…

Forse però è possibile un’interpretazione antropologica un po’ più generale. Il comportamento dei disturbatori misteriosi di Monastero Vasco ricorda la tradizione di quelle che in piemontese erano dette ciabre, azioni un tempo diffuse, soprattutto nelle Langhe cuneesi. Gruppi di persone, di solito giovani, si radunavano di sera davanti alle case di coniugi novelli per disturbare con schiamazzi, musica e insulti quelli che avevano contratto matrimonio senza dare una festa o un ballo, chiedendo soldi per smettere. In qualche caso, in tempi più remoti (ci sono fonti che mostrano come nel Seicento le ciabre fossero un problema di ordine pubblico) sbarravano il passo ai cortei nuziali chiedendo una sorta di pedaggio, o addirittura – e qui veniamo a noi – si travestivano aggirandosi intorno alle abitazioni delle nuove coppie urlando, emettendo versi animaleschi o lanciando sassi ed oggetti.

Questo avveniva soprattutto in alcuni casi: quando, ad esempio, si trattava di seconde nozze, oppure di matrimoni avvenuti in tarda età; oppure, ancora, quando uomini del paese sposavano ragazze “forestiere”…

Quello di Monastero Vasco potrebbe essere stato un episodio di quel tipo; in quel caso, usato contro una famiglia “strana” (tutti celibi, con patrimonio, isolati territorialmente e forse socialmente). In quel modo si esprimeva disagio, disapprovazione, forse anche invidia in tempi di povertà accentuata dalla guerra.

Per quanto ne sappiamo, una delle ultime ciabre documentate dalla stampa piemontese fu quella che ebbe luogo nel febbraio-marzo 1963 a Paroldo, paesino delle Alte Langhe cuneesi (Gazzetta d’Alba, 12 marzo 1963), dove per settimane una coppia, colpevole di non aver dato un ballo di nozze, fu tormentata di notte da “urla, clamori, frastuoni, inframmezzati da insulti ed oscenità, rivolte agli sposi”.

Un altro episodio avvenne invece nell’inverno dell’anno successivo, il 1943. Il 22 marzo, con un servizio da Mondovì, il Corriere della Sera raccontava che i fantasmi erano apparsi due sere prima presso il cimitero cittadino. Un giovane, Vittorio M., stava aspettando vicino al camposanto la “ragazza dei suoi sogni”, ma l’attesa si era prolungata. Il cielo era coperto, nonostante il plenilunio, dunque era buio pesto. A quel punto:

D’un tratto, invece della donna amata, sbucavano dal folto delle alte piante che segnano il limite del sacro recinto due candide figure che, lievi, si muovevano avvicinandosi al giovane, il quale dapprima cercò di reagire con la forza del suo animo, cercando di negare quanto i suoi occhi chiaramente vedevano, e, infine, preso da vero e proprio panico, si allontanava precipitosamente.

Il giovane avrebbe interpretato la comparsa dei “fantasmi” in maniera autocolpevolizzante:

Egli ha pensato che fossero gli spiriti irritati dei genitori della ragazza morti da poco tempo, e questo pensiero ha determinato in lui l’accrescersi delle apprensioni, inducendolo a sottrarsi alla paurosa visione.

Come in molte altre osservazioni di presunti fenomeni paranormali o ufologici, anche stavolta compare l’elemento che impedisce di capire la vera causa della “stranezza”: la fuga. Il malcapitato giovane se ne andò spaventato, interrompendo a metà l’esperienza e lasciando i due fantasmi al cimitero, probabilmente soddisfatti per le reazioni generate nella “vittima”. In questo modo, rinunciò a capire chi si celava dietro le spoglie degli spettri; se avesse aspettato, forse avrebbe avuto la spiegazione della sua esperienza.

Secondo il Corriere lo spettacolo si sarebbe ripetuto la sera seguente: stavolta il giovane si sarebbe portato dietro alcuni amici ma, nel frattempo, c’era già chi pensava “ad uno scherzo di cattivo gusto”. Non conosciamo altri dettagli su questo episodio.

Intanto la situazione militare italiana stava per precipitare: il corpo di spedizione italiano sul fronte sovietico si era dissolto sotto il peso colossale delle controffensive, avevamo perso gran parte dei nostri mezzi in Libia e con essi l’intera colonia. Nel giro di un mese e mezzo, l’8 maggio 1943, tutto il resto delle forze italo-tedesche ancora presenti in Nordafrica si arrese in Tunisia, mentre l’offensiva aerea contro le città italiane diventava martellante.

Giocare ai fantasmi era forse un modo per attenuare la tensione e per pensare ad altro? Da lì a poche settimane, un complesso fenomeno di rifrazione solare interessò il cielo sopra al santuario di Vicoforte (ne avevamo parlato qui). Quasi inevitabilmente, il fatto diede vita a interpretazioni “religiose”, in particolare circa il proseguimento del conflitto.

Ai primi del 1942, invece, anche nel Monregalese come in altre zone della provincia, era circolata la storia di un misterioso bambino-profeta che annunciava la fine della guerra – una leggenda in realtà già diffusa nella Prima Guerra Mondiale: ne avevamo scritto qui.

Le condizioni psicosociali di quel periodo forse disponevano bene i monregalesi nei confronti dei fenomeni “spiritici”; ormai, tutti si aspettavano l’invasione del territorio metropolitano con uno sbarco delle forze alleate, come avverrà sulle coste siciliane il 10 luglio 1943. Proprio in quel periodo, però, i “fantasmi” si presentarono in città per l’ennesima volta.

La sera di sabato 5 giugno, documentò il Corriere della Sera di due giorni dopo, qualcosa di strano fu segnalato al pianterreno di una modesta abitazione di via Pietro Nallino 15, nel quartiere meridionale del Borgato. Due sorelle, Maria e Giuseppina Pirra, si dividevano il piccolo alloggio, visto che i mariti “erano assenti” (non è spiegato il motivo).

Ebbene, nella stanza di Giuseppina i pochi mobili che l’adornavano, in particolare una credenza, avevano preso a muoversi da soli. La cosa, seppur in modo meno appariscente, si era già verificata la sera precedente. Solo la seconda volta, tuttavia, le due avrebbero avvertito conoscenti e vicini. Accorsi, questi avrebbero constatato la presenza del “poltergeist”: la credenza oscillava minacciando di cadere, il tubo della stufa si muoveva ritmicamente, il lampadario pareva un pendolo e persino pavimento e soffitto sembravano tremare. A quel punto si radunò una vera e propria folla.

La casa era spiritata, dunque? Beh, una cosa il Corriere ce la racconta. Nella serata di sabato 5 (quella in cui la folla dei curiosi affluì presso la casa “tremante”), le sorelle Pirra litigarono con i proprietari dell’abitazione, tanto che una delle due sostenne di essere stata malmenata. Fu chiamato un medico, che però non riscontrò nessuna lesione.

Ci credereste?

Dopo la clamorosa discussione non sono più stati avvertiti gli impressionanti fatti che tanto rumore avevano suscitato in precedenza.

A fronte del rischio plausibile di una reazione dei proprietari dell’abitazione, probabilmente i fantasmi preferirono tranquillizzarsi, secondo una schema che abbiamo incontrato più volte, nel Piemonte dei decenni precedenti.

Nel luglio 1943, infine, il quadro politico e militare italiano precipitò. Mussolini fu destituito e arrestato, il Partito fascista si squagliò, gli alleati presero lentamente a risalire la penisola combattendo i tedeschi. Al nord presto sarebbe iniziata la guerra civile fra repubblichini e partigiani. Uno degli epicentri fu proprio il Cuneese. Al confronto, anime di genitori bacchettoni, strani arcobaleni sulle chiese e fantasmi litigiosi diventarono di colpo ciò che erano sempre stati: giochi, passatempi, meraviglie della natura.

Ben altro, purtroppo, urgeva a Mondovì ed altrove.

Foto di Daniel C da Pixabay