19 Aprile 2024
Approfondimenti

Dante degli spiriti: quelle opere scritte dal poeta quando era già morto

Articolo di Sofia Lincos

Dante ha scritto tantissimo, da vivo e da morto. L’affermazione può sembrare una battuta, ma lo è fino a un certo punto. Esiste infatti una lunga tradizione di versi e prose che sarebbero state dettate dal poeta fiorentino a medium e sensitivi di tutto il mondo.

Fra questi, l’opera più corposa è Dalla Terra al Cielo: ben undici canti scritti in terzine, praticamente un sequel della Divina Commedia – il punto più alto (o più basso, fate voi) delle opere dantesche post mortem. Ma non è l’unico.

Victor Hugo evoca Dante

In uno sketch del 1981 per il programma Telepatria International (Rete 2 Rai), Renzo Arbore evocava in seduta spiritica il fantasma di uno svampito Dante Alighieri, interpretato da Roberto Benigni.

In modo molto più serio e convinto, il Fiorentino era stato richiamato nel mondo dei vivi da Victor Hugo, l’autore de I miserabili.    

Le sue sedute spiritiche, tenute dal 1853 al 1856, sono passate alla storia. All’epoca, lo scrittore francese si trovava in esilio volontario sull’isola britannica di Jersey, per via di un feroce libello contro Napoleone III. Stretto su quello scoglio della Manica, Hugo si annoiava. Le cose cambiarono quando sbarcò lì la poetessa Delphine Gay de Girardin, che cominciò a organizzare serate di tavolini danzanti.

Lo spiritismo stava muovendo allora i suoi primi passi alla conquista dell’Europa e la tavola Ouija non era ancora stata inventata. Hugo e la sua compagnia ovviavano al problema con il metodo dei raps, cioè i colpi battuti direttamente dal tavolino: uno per dire sì, due per dire no, per ogni lettera un numero di colpi pari alla sua posizione nell’alfabeto. Potete immaginare quanto tempo ci volesse per ricevere anche solo un bonjour dal mondo dei più. Per questo le sedute si svolgevano quasi ogni sera, con assoluta dedizione. Le soddisfazioni, però, non mancavano: allo scrittore francese si presentarono spiriti famosi e meno famosi, e pure incarnazioni di principi astratti (volete mettere il piacere di poter conversare con l’incarnazione del Dramma, della Poesia, o direttamente col Dito della Morte?). Tra quelli celebri, ovviamente, c’era anche Dante, che parlava in uno strano miscuglio di italiano e francese.

In questa sua prima apparizione, il poeta non fece rivelazioni eclatanti. Ma le cose erano destinate ben presto a cambiare. 

Dante testimonial dello spiritismo

Agli spiritisti, Dante piaceva. Lo vedevano come uno di loro, come qualcuno che aveva anticipato le loro idee. Dopotutto, la Divina Commedia cos’altro era, se non una lunga, poetica conversazione con le anime dei trapassati? Emblematico, a questo proposito, il commento al secondo canto del Purgatorio fatto dal filologo Antonio Gualberto De Marzo:

[…] d’onde appare che l’anima uscita dalla mortale spoglia, non perde nè le sue facoltà, nè le sue affezioni; ed è pur questa l’opinione di Platone, cioè che non subito che l’anima razionale si divide dal corpo, sia libera dalle umane passioni. E per questa dottrina, e per quello che Dante ne pensa e ne scrive, non parrebbe forse che egli fosse un seguace dello Spiritismo? (Studi filosofici, morali, estetici, storici, politici, filologici su la “Divina Commedia” di Dante Alighieri, 1877) 

Ecco, no. Lo spiritismo fu un fenomeno storico ben radicato nel suo tempo, così come Dante lo era nel suo. La tentazione di rileggere i versi della Divina Commedia alla luce della “nuova scienza”, però, era fortissima: il poeta fiorentino venne rianalizzato, le sue parole reimpiegate per illustrare i concetti della metapsichica. Prendiamo, ad esempio, questo verso del nono canto del Purgatorio, in cui Dante dice del sonno:

Ne l’ora […] che la mente nostra, peregrina
più da la carne e men da’ pensier presa,
a le sue visïon quasi è divina.

Queste parole furono  interpretate dallo spiritista Vincenzo Cavalli, nel 1910, come una descrizione del sonnambulismo, durante il quale la medium addormentata assumeva poteri di chiaroveggenza. È solo un esempio, ma se ne potrebbero fare tanti: le riviste di metapsichica e spiritismo erano infarcite di citazioni dantesche. Qualcuno si spinse a dire che il poeta, medium a sua insaputa, aveva concepito la sua opera più importante proprio andando in trance.

Per chi volesse approfondire questa curiosa fortuna del Dante spiritico, consigliamo questo articolo uscito nel giugno 2020 sulla rivista semestrale Parole rubate – Rivista internazionale di studi sulla citazione. L’autore è Francesco Gallina, dottorando in italianistica all’Università di Parma. 

Conclude Gallina:

Nella cultura spiritistica fra Otto e Novecento assistiamo […] ad un’elaborazione finemente razionale dell’irrazionale, attraverso la teorizzazione di architetture, mappe, paesaggi metafisici dell’invisibile e fitte indagini sui mondi sconfinati dello spirito. Nel nuovo ambiente, ben diffuso anche in Italia, Dante svolge un ruolo di primaria importanza per consolidare la teoresi parapsicologica: la Commedia diventa una miniera di sapienza spiritica da saccheggiare e da esplorare, come un autentico testo sacro.

Versi post-mortem

Ovviamente, l’arruolamento di Dante alla causa dello spiritismo non si limitava a questo. Innumerevoli furono le sedute medianiche in cui apparve lo scrittore in persona – o almeno, così garantivano gli astanti. In alcune di queste furono trasmessi anche brevi versi o poesie intere. Quella della letteratura scritta dai trapassati era un vero e proprio genere letterario nuovo, affermatosi nella seconda metà dell’Ottocento. Era considerato una delle massime prove della genuinità dello spiritismo: se il medium era – come spesso avveniva – un uomo o una donna del popolo, di media o bassa cultura, come poteva produrre quelle opere meravigliose? Secondo lo psichiatra e metapsichista Angelo Brofferio, che ne parlò in Per lo spiritismo (1893), sarebbe stato proprio questo il caso dei versi dettati da Dante a Lazar von Hellenbach. In una disamina delle opere letterarie spiritiche, scriveva infatti:

In questo genere gli Americani vantano sopratutto il libro filosofico Arcana of nature, che lo stesso Büchner apprezzava assai, e di cui fece i suoi complimenti all’autore, Hudson Tuttle, il quale li rifiutò dicendo di esser stato soltanto il medio di uno spirito. Gli Inglesi vantano sopratutto il romanzo Edwin Drood, che il Dickens aveva lasciato a metà, e che egli avrebbe terminato di scrivere dopo morte colla mano del medio James. Questa sarebbe stata un’opera postuma in tutto il senso della parola. Gli Italiani parlano sopratutto di un poema dettato dall’Ariosto allo Scaramuzza, che io però non conosco. Per conto mio ho conosciuto un medio scrivente a cui Boccaccio, Bruno e Galileo facevano scrivere delle risposte che, per la loro elevatezza, erano certamente più all’altezza di quei tre, che al livello del medio; e potrei citarne testimoni competenti. Così le risposte, che Kant e Schopenhauer facevano medianicamente a Hellenbach, non erano indegne di Schopenhauer e di Kant. Al medio citato testè, Dante, o chi per esso, ha dettato tre canti in terza rima; io non ne ho letto che poche terzine, ma, per quanto posso giudicare, eran molto belle; certo quel medio, sebbene valente nell’arte sua, non lo era nell’arte poetica. 

Pregiudizi dell’epoca, che tornarono comodi anche a personaggi come la star fra le star della medianità della belle époque, Eusapia Palladino: come poteva quella donna analfabeta aver messo nel sacco il fior fiore degli intellettuali del tempo? Sicuramente non ne sarebbe stata in grado: ergo, i fenomeni da lei prodotti dovevano essere autentici. 

Altri versi furono trasmessi da Dante a Francesco Scaramuzza (1803-1886), direttore dell’Accademia di Belle Arti di Parma e appassionatissimo del poeta. Nel 1875, il pittore diede alle stampe Due canti sulle corporali esistenze dello spirito che fu nell’ultima Dante Allighieri da lui dettati per introduzione a maggior poema. La rivelazione avveniva questa volta tramite scrittura automatica: l’autore si sedeva al tavolino “senza avere formato nessun proposito, senza un argomento, senza un pensiero in testa, freddo come l’uomo cui nulla preme”. Certo di non poter influenzare la sua scrittura con i suoi pensieri, evocava quindi lo spirito del poeta e iniziava a scrivere le parole che gli venivano in mente, senza preoccuparsi di dar loro un senso. Che a parlare fosse proprio la voce di Dante, lui non aveva dubbi: prova ne era che gli capitava di interrompere uno scritto, riprenderlo a distanza di mesi, e di  riuscire a completarlo, pur senza averlo riletto. In queste prove, ora lo sappiamo, c’era probabilmente una buona dose di autosuggestione. Nei nuovi canti (che potete leggere qui), il poeta parlava di Beatrice, raccontava della sua vita e ne approfittava per prendersela con la Chiesa cattolica, che non accettava lo spiritismo. 

Altre parole di Dante furono pubblicate nel 1903 su Luce e Ombra, la celeberrima rivista di spiritismo e “scienze psichiche” fondata nel 1900 dallo scapigliato Angelo Marzorati. Il titolo era dubitativo: Dante ha parlato? Ma il medium se ne mostrava convintissimo. Il tramite era, questa volta, tale Jones Smith, che nella premessa spiegava – quasi scusandosi – perché  il poeta fiorentino aveva scelto lui, inglese, per impartire le sue lezioni post mortem. Niente versi, questa volta, ma una lunga disquisizione sulla sua vita e l’Aldilà: potete trovarla qui, a partire da pagina 418 (471 sul pdf). 

La produzione delle opere post mortem di Dante proseguì per buona parte del Novecento. Nel 1929 vide la luce La realtà del mistero. Ultrafania, pubblicato dalla Società per lo Studio della Biopsichica e firmato dall’avvocato milanese Gino Trespioli (che per inciso fu tra i primissimi, dopo la Seconda Guerra Mondiale, le cui comunicazioni dall’Aldilà furono collegate ai dischi volanti!). Nel 1929, comunque, il medium si era messo in collegamento con tre anime disincarnate che gli avevano dettato l’opera. Queste, a loro volta, gli avevano permesso di parlare con Dante e di ricevere da lui una lunga poesia in endecasillabi – prova inconfutabile della realtà di quelle esperienze. L’esperimento non dovette essere ben giudicato dai contemporanei: in una recensione all’opera, Antonio Bruers, all’epoca direttore di Luce e Ombra, lo etichettò senza mezzi termini come “ciarpame poetico”.  

Dalla Terra al Cielo

Questi sono soltanto esempi, ma le apparizioni del Dante post mortem furono senza dubbio molte altre. L’opera più compiuta, però, doveva ancora arrivare. 

Siamo ora negli anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Sta per scoppiare forte e potente la moda degli UFO. Smessi i panni dell’intrattenimento pop di fine Ottocento e inizio Novecento, lo spiritismo è ormai metapsichica: viene praticato in circoli ristretti e selezionati, da persone interessate al progresso spirituale proprio e dell’umanità. 

A Camerino, nelle Marche, questi sognatori si riuniscono settimanalmente intorno al Centro di studi metapsichici, che fu a lungo punto di riferimento per molti spiritisti italiani. Tutto era nato, raccontano alcuni siti dedicati, da un fenomeno poltergeist: un legionario del III secolo, che in vita era stato persecutore dei cristiani, aveva preso possesso di uno stabile della città. Intervenne un medium, e lo spirito ebbe pace. Ma dopo di lui cominciarono ad arrivarne altri, più raffinati, che avevano come solo desiderio quello di istruire gli uomini sulla vera natura dell’Aldilà. Tra loro, inutile dirlo, c’era anche Dante. Le sue rivelazioni vennero raccolte tra il 1948 e il 1949 in una serie di sedute medianiche. L’entità che in vita era stata il Poeta – non un semplice fantasma, ma un’Ultrafanìa, ossia un’anima portatrice di luce nell’Aldilà – dettò così gli undici canti del nuovo poema, pubblicati poi sulla rivista dell’associazione, L’Aurora. Questa era diretta, all’epoca, da Giuseppe Stoppoloni, professore universitario di Anatomia veterinaria con la fissa per il paranormale, nonché direttore del centro di Camerino. I versi furono poi raccolti nel 1974 in un libro (Dalla Terra al Cielo). 

Scordatevi le macchinose rivelazioni di Hugo, fatte un colpo alla volta. Nel corso di un secolo, lo spirito di Dante aveva imparato l’arte di incarnarsi direttamente nel corpo del medium e di parlare attraverso la sua voce (o con una voce un po’ più nasale). Bastarono così ventitré sedute – una tecnica decisamente più rapida – e le nuove rivelazioni erano state raccolte. L’opera iniziava così: 

O popol che t’appresti al grande passo
per superar la soglia della morte
non cadere nel tragico collasso 

de li peccata e fa’ che tu sia forte:
vicin ti guata il demone maligno
perché diventi tua la sua mal sorte, 

fuggi quindi l’invito e quinci il ghigno
acciocché tu possa salir festoso
nel Regno di Colui giusto e benigno.

Ora, facciamo una breve digressione. Alcuni siti affermano che i versi sarebbero stati riconosciuti come autentici da insigni dantisti. Questi studiosi, però, non si trovano citati per nome in nessuno dei siti e libri che ho consultato. Forse il riferimento è a Giambattista Giuliani, filologo e linguista, che si commosse ai versi del neo-Dante e ne azzardò un’analisi. Fun fact: il celebre critico era, ai tempi delle sedute spiritiche di Camerino, già morto da oltre sessant’anni. Era il suo spirito che aveva confermato l’autenticità dei versi, e lo aveva fatto presentandosi al medium, subito dopo a quello di Dante – una logica circolare, che non dimostrava un granché. Per inciso, lo spirito del fiorentino si sarebbe manifestato in quegli stessi anni anche ad un altro sensitivo, Renato Piergili, del Gruppo Spiritualistico Gastone de Boni di Roma: a lui il poeta avrebbe assicurato di essere abbastanza soddisfatto della trascrizione operata dai medium di Camerino, e che valeva sicuramente la pena di leggere quei versi. 

Per dirla con un celebre esempio di sillogismo traballante, suggerito da Umberto Eco: 

Com’è possibile che non esista il marchese di Carabas, visto che anche il gatto con gli stivali dice di essere al suo servizio? (Il pendolo di Foucault, 1988)

Lo spirito di Dante come le macchie di Rorschach

Che lo spiritismo avesse l’abitudine di tirare per la giacchetta i personaggi celebri della storia, se ne era già accorto il pensatore razionalista e materialista Luigi Stefanoni, che nel 1869 faceva l’esempio dei diversi “spiriti di Voltaire”:

Il cattolico Carion, ben persuaso di poter trarre il miglior partito dagli spiriti, pensò un giorno di evocare l’anima del grande incredulo. Voltaire comparve infatti, e com’era naturale, nelle sue comunicazioni riconobbe la divinità di Gesù Cristo, la verità della fede cattolica, e firmò eziandio una dichiarazione il cui fac-simile si può vedere di fronte alle Lettres sur les évocations. Ma ecco che un circolo spiritistico abbastanza scettico evoca lo stesso spirito, e qui Voltaire dichiara che egli persiste anzi più mai nelle sue negazioni, e fa conoscere che lo spirito comparso nella evocazione del cattolico Carion non era guari il suo, ma quello di un gesuita, che anche nella vita ulteriore si compiaceva, a quanto pare, di ingannare il mondo. Infine Voltaire, evocato una terza volta nel circolo del signor Barthet, alla Nuova Orleans, fulmina il cattolicesimo ed aderisce pienamente alla dottrina degli evocatori, vale a dire al passaggio dell’anime nelle diverse sfere concentriche della terra, senza che vi abbia reincarnazione. Ecco la testimonianza di un incredulo bastantemente disputata fra tre diverse scuole di credenti! (Storia critica della superstizione, 1869)

Qualcosa del genere accadde per Dante. Smessi i panni dell’uomo del Trecento intriso di teologia cattolica, il neo-Dante rivendicava a gran voce la verità della reincarnazione. Il poemetto di Camerino lo spiegava: l’anima era soggetta all’Alta Legge stabilita da Dio, passava attraverso la morte, ma poi

scossa dal suo torpor, risollevata
d’ogni bassa tristezza e sofferenza,
nel mondo tornerà rinnovellata.

Nuova per suo vigor, per sua esperienza,
l’antichi errori trova e li corregge
migliorando così la sua esistenza.

Dante è stato considerato, in era moderna e contemporanea, nei modi più vari: esoterista, cataro, criptoislamico, rivoluzionario, nazionalista, anticlericale, mistico, ultracattolico, eretico, massone, rosacrociano, templare, adoratore del femminino sacro, capo dell’oscura setta dei Fedeli d’amore, alieno. E sì, ovviamente anche spiritista, sostenitore della reincarnazione, autore di molteplici opere post mortem. Etichette che di lui, sul piano della critica, ci dicono ben poco, ma che ci parlano molto di chi gliele appiccicò e della sua immensa fortuna.

Quanto alla vera natura di Dante e delle sue opere, la lasciamo a storici e filologi. Per tutto il resto che gli è stato accollato, bisognerebbe chiedere a lui: ma dubitiamo che una seduta spiritica possa essere la soluzione. 

Sofia Lincos

Sofia Lincos collabora col CICAP dal 2005 ed è caporedattrice di Queryonline. Fa parte del CeRaVoLC (Centro per la Raccolta delle Voci e Leggende Contemporanee) e si interessa da anni di leggende metropolitane, creepypasta, bufale e storia della scienza.

Un pensiero su “Dante degli spiriti: quelle opere scritte dal poeta quando era già morto

  • Che poi non sono gli spiritisti stessi ad affermare che un qualunque spirito può presentarsi falsamente col nome di una persona famosa per ricevere attenzione (e magari per fini poco nobili)?

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