Il malevolo verme dei denti
Articolo di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo
Per quanto possa sembrare strano, l’idea che la carie sia legata al consumo di zuccheri è un concetto abbastanza moderno. Prima che l’Illuminismo contribuisse a far piazza pulita di mille convinzioni erronee, infatti, la colpa di tutto veniva attribuita al verme dei denti, un pernicioso parassita che si divertiva a scavar gallerie all’interno della bocca.
Difficile dire dove e quando, nell’antichità, sia nata questa credenza, ma per capire come probabilmente andarono le cose ci viene in aiuto un lavoro che lo storico tedesco della medicina Werner E. Gerabek (nato nel 1952) pubblicò una ventina d’anni fa sulla rivista Clinical Oral Investigation (vol. 3, 1999, n. 1).
In quale area del mondo si sviluppò l’idea? Gli studiosi si dividono fra il Vicino Oriente e l’Egitto, ma certo è che quella del verme dei denti è un’idea remotissima, che si è sorprendentemente conservata fino agli inizi della modernità: le prime menzioni risalgono addirittura ai Sumeri, e sarà rifiutata in modo netto soltanto nella seconda metà del Settecento. Risulta però anche straordinariamente diffusa dal punto di vista geografico, dal momento che, oltre che in tutto l’Occidente, compare in trattati di medicina cinesi e indiani antichi. Certo è che nella Roma classica l’idea era tenuta in altissima stima. Pure Ildegarda di Bingen, diventata una sorta di icona per gli erboristi e, oggi, per i sostenitori di varie forme di medicina “naturale”, a metà del XII secolo menzionava i vermi dei denti nella sua Causae et curae come possibile fonte della carie (in questa edizione, alla p. 174).
Lungo i secoli, non si contano gli scrittori, i medici e le persone colte che diedero per assodata l’esistenza del verme dei denti.
Oggi, dal punto di vista della storia delle idee, per noi può essere utile capire come mai questa convinzione durò così a lungo. Come ragionavano coloro che la sostenevano? Quali evidenze avevano a loro favore, e dove si inceppavano i loro discorsi?
Gerabek fa l’esempio di un importante medico latino del I secolo della nostra era, Scribonio Largo, che consigliava il giusquiamo, pianta della famiglia delle Solanacee con proprietà blandamente narcotiche, come base di rimedi da masticare contro il mal di denti.
Nella sua opera più famosa, le Compositiones, Scribonio fornisce una ricetta per fumigazioni analgesiche contro il mal di denti fatte con l’herba dentaria (il giusquiamo, appunto). Ecco cosa dice:
distribuite i semi di giusquiamo su dei carboni e fate che i vapori arrivino ai denti, poi risciacquate con acqua tiepida. Sputando, potreste poi scoprire i minuscoli vermi.
In apparenza, una cosa incomprensibile. Come faceva Scribonio a sostenere che si potevano “vedere” i vermiciattoli del denti espulsi dai vapori?
Questa terapia implicava la constatazione visuale dell’espulsione della materia peccans (come i medici di scuola ippocratica chiamavano gli umori corrotti, la cui eliminazione era buon segno prognostico), ossia dei vermi. La cosa era possibile perché, come spiegato dallo storico della medicina Karl Sudhoff (1853-1938) nella Geschichte der Zahnheilkunde (Lipsia, II ed., 1926), il procedimento impiegato per la produzione dei vapori (che peraltro hanno una blanda capacità antidolorifica) consisteva nello spargere i semi del giusquiamo sulle braci ardenti e di inalarne i vapori a bocca spalancata. Il calore però trasformava i semi della pianta in lunghi fili simili a vermi, mentre il paziente provava un sia pur temporaneo sollievo: da qui l’indebita associazione causale fra sollievo e comparsa delle formazioni vermiformi.
Scienziati del calibro di Avicenna, nel Medioevo, sostennero a spada tratta la bontà del metodo che impiegava l’herba dentaria.
Ma attenzione: era consigliato anche il procedimento inverso! Cioè, alcuni vermi potevano… aiutare a curare i mal di denti. Sempre Avicenna ne è la dimostrazione: applicando sulle carie i bruchi che di solito si trovano nei cavolfiori, se ne sarebbe accelerata la caduta, e, dunque, la risoluzione del problema.
Accanto al versante della storia della scienza – anzi, mescolato a quello – c’è il folklore delle più diverse culture. Per questo, nella lunga storia del verme dei denti è difficile distinguere fra terapie che tentavano di agganciarsi all’evidenza e veri e propri atti magici.
Secondo Gerabek, è possibile distinguere tre gruppi di rimedi contro i vermi della carie: i medicamenti, le formule incantatorie e quelle di scongiuro, di tipo deprecatorio.
Nel primo ambito rientra naturalmente l’uso del giusquiamo, che fu così diffuso che ancora nel 1874, sia pure a titolo residuale, il Deutsche Arzneibuch (“Trattato di farmacologia”) lo menzionava descrivendone l’impiego: occorreva buttare cera d’api e semi di giusquiamo al di sopra di un ferro rovente, e poi dirigere i fumi nella bocca del paziente tramite un imbuto. A questo punto il verme dei denti, stordito dal fumo, avrebbe dovuto lasciare la sua “tana” e la galleria da esso scavata avrebbe potuto essere tappata con mastice e polvere dello stesso giusquiamo.
Da ricordare con altrettanta attenzione, secondo Gerabek, anche l’uso della mirra e del tanaceto (Tanacetum vulgare) nella farmacopee medievali. Mentre per il giusquiamo il razionale per l’impiego era costituito dalle sue qualità sedative unite alla presenza dei semi bruciati filiformi, simili a vermiciattoli, nel caso soprattutto del tanaceto l’impiego contro gli inesistenti vermi dei denti seguiva un altro ragionamento debolissimo.
Siccome l’espulsione della materia peccans era buon segno, e siccome il tanaceto era impiegato come antielmintico – cioè come rimedio contro i vermi dell’apparato intestinale – ecco che si pensava in maniera analogica. Se facava bene contro i vermi della pancia (che, espulsi, erano segno di prossima guarigione), allora si poteva usarla anche contro i vermi dei denti.
Poi c’era il secondo gruppo: le formule incantatorie. Sono testimonianze tanto rare quanto preziose. In questo caso tedesco menzionato da Gerabek, ad esempio, si dovevano recitare queste frasi stando davanti a un pero:
“Albero di pero, ti scongiuro,
tre vermi mi stanno divorando,
uno grigio, l’altro blu,
rosso il terzo,
che muoiano tutti e tre – questo desidero”…
In Europa centrale l’assunto popolare era che i tronchi di alcuni alberi e gli insetti e vermi che vi vivevano avessero natura demoniaca. Nei tronchi potevano vivere fantasmi malvagi, che da essi fuoriuscivano facendo del male ad esseri umani e animali. Da qui l’assimilazione con i fantastici vermi dei denti.
In questo caso, il procedimento magico consisteva nel rimandare i vermi negli alberi da cui provenivano. Ecco un altro esempio fatto da Gerabek (come il precedente, fu raccolto in una tesi di laurea del 1955 sulla medicina popolare tedesca, presentata all’Università di Francoforte da Helmut Kobusch):
Del verme dei denti. – Ecco un espediente strano ma vero. Tagliate da un ramo di un salice giovane la parte superiore della corteccia. Poi dal ramo ricavate una scheggia di legno. Pungete il dente con la scheggia finché non comincia a sanguinare. Lasciate colare il sangue sulla scheggia. Dopo aver fatto tutto ciò, tornate indietro e inserite di nuovo la scheggia di legno nella corteccia. Dovrete rimetterla nello stesso punto in cui si trovava quando l’avete tolta. Ricoprite la scheggia con la corteccia e saldateli fra loro usando terra grassa fresca. In questo modi i giorni dei vostri dolori giungeranno a fine. Si tratta di un vero rimedio, non di magia!
Ovviamente.
Infine, il terzo gruppo: le formule di scongiuro: a volte i vermi erano addirittura benedetti, affinché se ne ottenesse la benevolenza, a volte li si implorava, perché si allontanassero. In altre occasioni, ad esempio nel Landshut, in Germania, ancora agli inizi del XX secolo si usava un amuleto, costituto da vermetti da appendere intorno al collo, fino a quando quelli che avevano causato il dolore non fossero morti. Alla fine, l’amuleto andava gettato in un forno, ripetendo il Padre nostro.
Accanto a questi sistemi ne esistevano innumerevoli altri. In alcuni casi, si procedeva alla rimozione chirurgica del presunto verme, insieme al dente cariato (a volte insieme al nervo, identificato con il verme). L’aspetto concreto del dannoso animaletto, infatti, rimaneva un mistero: in Inghilterra veniva descritto come una piccola anguilla, mentre in Germania, come abbiamo visto da una formula incantatoria. si pensava che fosse di colore rosso, blu e grigio, e di aspetto più simile a un baco. In alcune bellissime rappresentazioni allegoriche è raffigurato addirittura come un demone dell’inferno.
Del resto, il fatto che possa essersi sviluppata un’idea simile non stupisce: le “gallerie” nei denti potevano ricordare quelle scavate dai tarli nel legno, e quindi far pensare a una causa infestatoria simile. La credenza poteva essere “confermata” dalla presenza nella cavità orale di alcune strutture vagamente vermiformi, come la polpa dei denti, o di alcuni nervi.
Poi giunse il declino anche per il nostro animaletto.
Nel 1728 l’odontoiatra francese Pierre Fauchard (1678-1761) pubblicò l’opera che lo fece diventare il padre della scienza dentaria moderna, Le Chirurgien dentiste. Fauchard spiegò di aver esaminato più e più volte denti cariati al microscopio, e di non aver mai trovato tracce di vermi. Congetturò inoltre che questo problema fosse legato al consumo di zuccheri, e che le persone avrebbero dovuto limitarne il consumo, per avere denti sani. La teoria di Fauchard, che pur basata su un’evidenza precaria era nata da osservazioni al microscopio ben fatte, fu confermata nel 1890 dal dentista americano Willoughby D. Miller (1853-1907), che grazie a una serie di esperimenti arrivò ad attribuire definitivamente la colpa della carie ai batteri presenti nella bocca, e in particolare alla loro produzione di acidi a partire dalla fermentazione dei carboidrati. In questo modo, peraltro, Miller finì per fondare la microbiologia orale moderna.
Nonostante la chiarezza fatta, la medicina popolare ha continuato a “combattere” il verme dei denti fin quasi ai giorni nostri. Solo le continue campagne di informazione sull’igiene e sulla cura dentale, portate avanti per tutto il Ventesimo secolo, lo hanno allontanato definitivamente dal nostro immaginario. Però, collocandolo nella storia della cultura umana – come per qualsiasi convinzione insostenibile dal punto di vista del ragionamento scientifico – diventa più difficile ridere del verme dei denti come una ridicola superstizione, di un errore grossolano o, se proprio vogliamo sembrare generosi, considerarlo come una divertente idea popolare.
Il vero problema non è che si credesse ai bachi mangiadenti, quanto quello che in parecchi guarivano lo stesso dalla carie tramite pratiche più o meno magiche. Come testimoniano diverse biografie di personaggi, anche contemporanei, più o meno noti. Un tentativo di spiegazione può essere la Medicina Psicosomatica, che tra le cause di molte, se non tutte, patologie con perdita dei denti identifica difficoltà di esprimersi, scarsa fiducia in se stessi, senso di impotenza e paralisi nelle attività vitali. Gli interessati possono digitare Psicologia del mal di denti o Psiocosomatica dei denti. Per quel che vale anche io ho ottenuto una semiguarigione dalle nuove carie (quelle vecchie sono lì, curate normalmente con trapano e resine). Ma, sottomessi al Metodo scientifico, attendiamo l’ avverarsi della EAER del King’ College di Londra.
https://www.lastampa.it/salute/2014/06/16/news/basta-otturazioni-addio-carie-ora-i-denti-si-riparano-da-soli-1.35744697