27 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Il diavolo a Pinerolo

Giandujotto scettico n° 51 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (21/11/2019)

La storia che vi presentiamo oggi per noi è interessante perché mostra quanto, sia pur in maniera confusa, una testimonianza del più classico folklore – un incontro con un diavolo con barba giallo-verde e piedi da mulo -; potesse far emergere, nei redattori di un giornaletto di provincia di epoca umbertina, una pur confusa coscienza antropologica.

Questo periodico locale era La Lanterna Pinerolese, che visse dal 1882 al 1926, e che era stata fondata con intenti positivistici e anticlericali dal giornalista e tipografo Alberto Pittavino (1860-1944), esponente di spicco della loggia massonica cittadina “Giordano Bruno”.

Nel suo numero del 9 febbraio 1889, La Lanterna scrisse che martedì 5 Francesco Lerda, un contadino del borgo del Colletto, che si trova sulle colline a nord di Pinerolo, si era presentato presso gli uffici del giornale, in via Virginio, spiegando di aver visto il diavolo.

Contadino di circa settant’anni – “non cretino come si potrebbe dubitare”, specificava il giornale – l’uomo disse di voler render noto “ai buoni fratelli e patraiotti pinerolesi” ciò che gli era capitato. Lo scritto che i giornalisti gli avevano chiesto di buttare giù per fissare su carta il suo racconto, proseguiva l’articolo, conteneva “particolari assai curiosi che ci danno la misura della credulità umana”.

Intorno all’una dopo mezzogiorno del primo febbraio, Lerda si trovava, inginocchiato, a pregare presso la cappella della chiesa del Carmine, quando sentì una voce femminile che gli diceva in piemontese:

Lasste pa tenté che tra poc ricevras la visita del diavo, ma mi it difendrai.
(Non lasciarti tentare che tra poco riceverai la visita del diavolo, ma io ti difenderò).

Si direbbe che il seguito sia lo scritto che i giornalisti de La Lanterna Pinerolese avevano fatto redigere all’uomo, in un curioso miscuglio italiano-piemontese:

E fatti pochi pasi vidi un uomo non troppo belo ma bensì con una barba verda di un verde che tirava sul giallo e le piotte ha moda mullo (i piedi tipo mulo, NdR) che veniva su dal sentiero di levante passando accanto a una donna che lavava che è la masovera (mezzadra, NdR) della cascina presso la chiesa del coleto che può farne fede, e passando da dietro di me si è messo a bestemiare e malledire e a fare brutte smorfie e schernirmi poi si è messo a trottare. E la dona interrogatolo perche caminava senza toccare la tera così disse che la tera non era tutta sova (sua, NdR) e non poteva calpestarla che l’offendeva il pragare Dio suo etterno nemico. Dise che li piaceva le done deli altri e il non santificare le feste…

Terminava chiedendo:

scusa a li carisimi frateli se mi prevalgo tanto nel scrivere fati sucesi a mi in idem

Per il settimanale Lerda si sentiva obbligato e al contempo in diritto di raccontare il suo incontro con il diavolo, perché il vescovo cattolico di Pinerolo (Lorenzo Renaldi, che presiedette quella diocesi dal 1849 al 1873) lo aveva consacrato quale “povero pellegrino del Signore”; e perché così richiedeva “il testamento di Nostra Santa Madre dell’Annunziata”.

Da bravi mangiapreti, i redattori della Lanterna ritenevano più straordinario della stessa comparsa di Berlicche il fatto che Lerda fosse venuto a raccontare proprio a loro la sua esperienza.

Ma non era tutto: per La Lanterna “la stessa conoscenza” che aveva fatto Lerda era toccata tempo prima, “con le debite riserve” anche a don Vittorio Cremona, da poco parroco della stessa località, il Colletto di Pinerolo.

Mentre era a letto, una notte, don Cremona aveva sentito una voce cavernosa che gli diceva: “levte da lì, ch’it ses danà!” Acceso il lume, però, l’autore delle parole era scomparso. Per La Lanterna questa brevissima esperienza diventava un’altra prova che il diavolo compariva solo e soltanto a chi credeva, “e mai a chi realmente avrebbe bisogno di trovarsi seco a lui a quattr’occhi, per avere certe spiegazioni che ora non si sanno dare”: una classica interpretazione positivistica del ruolo di Lucifero, come apportatore di conoscenza e disvelatore del mistero della sofferenza umana.

Un episodio non troppo difficile da credere, e che potrebbe avere una spiegazione razionale nel fenomeno delle allucinazioni ipnagogiche (un disturbo del sonno che porta a vedere e a sentire, per pochi istanti, immagini e visioni tipiche della fase REM, da cui il corpo non si è ancora del tutto svegliato).

Suggeriamo però, sia pure senza spingerla troppo, anche un’altra possibile chiave di lettura per la storia di don Cremona. Fino a pochi giorni prima di quell’articolo, quel prete era stato parroco di un altro paesino del Pinerolese, Miradolo, presso San Secondo. Dal numero precedente de La Lanterna Pinerolese (4 febbraio 1889) sappiamo che Cremona era appena stato trasferito al Colletto per motivi niente affatto chiari. Sembra che a Miradolo avesse dato luogo a polemiche, pettegolezzi, dicerie e sottoscrizioni pro e contro, il cui contenuto non ci è dato di conoscere.

Quel “togliti” (o “alzati”) da lì, che sei dannato” cade un po’ troppo a puntino per non far sorgere il sospetto che possa esser soltanto il frutto dell’ironia anticlericale della Lanterna circa il trasferimento del religioso. Come abbiamo già spiegato, il giornale aveva una chiara linea filosofica. Il primo numero del periodico, per intendersi, portava la testata che vi mostriamo qui sotto: Lucifero che illumina Pinerolo salendo sul campanile della basilica di San Maurizio, che domina il centro da sopra una collina.

Si noti comunque – anche se mero frutto di elaborazione giornalistica – che entrambe le voci riportate alla lettera in questa storia, quella maschile udita dal prete e quella femminile prima dell’apparizione diabolica, sono fatte in dialetto piemontese, a significare una prossimità psicologica importante fra cielo/inferi e persona umana – voluta o temuta che fosse, a seconda dei casi.

Nel raccontare la storia di Francesco Lerda La Lanterna Pinerolese non riesce a scrollarsi di dosso la necessità di ridere della paura popolaresca del diavolo con piedi di mulo e lingua piemontese. Ma in fondo, in quella richiesta al devoto contadino di scrivere di proprio pugno la sua storia, forse si può scorgere anche il rispetto per la cultura di cui costui era portatore.

Quelle righe, in ultima analisi, sono tutto ciò che è passato a noi, che dopo centovent’anni le abbiamo riesumate. Umano, troppo umano, quel diavolo con barba punk che galleggia sull’erba come tante entità fantasmatiche del folklore occidentale. Ma anche questo testimonia l’infinita varietà dell’esistenza, per la quale, in sostanza, per noi scettici vale sempre quanto scriveva Terenzio nell’anno 165:

Homo sum, humani nihil a me alienum puto.
Sono un uomo, nulla di ciò che è umano mi è alieno.

Foto di Thomas da Pixabay