12 Ottobre 2024
Il terzo occhio

Parlarne o no? I rischi di dare ossigeno a storie improbabili

La giornalista Anna Masera è la garante dei lettori e degli utenti web del quotidiano La Stampa. Il 30 aprile, rispondendo ad alcuni lettori con un suo articolo ha attirato l’attenzione su alcune questioni che stanno a cuore anche al CICAP.

Interviste a ufologi, resoconti dei punti di vista di astrologi, notizie di raduni di terrapiattisti: informare sul mondo esoterico o sui pensieri negazionisti è giornalismo? 

Prima risposta di Masera: è bene che i giornali si occupino di queste vicende “solo quando una bufala esce dalla sua nicchia ed entra nel mainstream”. E poi, scrive Masera, domandarsi sempre: che impatto sul pubblico potrebbe avere la scelta di parlarne? Che evidenza abbiamo che a quel genere di storie che prendiamo in esame – anche noi di Query Online, magari – credano in tanti?

Per avere indicazioni più articolate Masera rimanda ad un testo importante uscito nel maggio 2018, frutto del lavoro di Whitney Phillips, studiosa di comunicazione del Data & Society, istituto di ricerca della Syracuse University (New York).  

The Oxygen of Amplification, questo il titolo assegnato alle sue 128 pagine, è uno studio che discute soprattutto il fenomeno del trolling politico manifestatosi in occasione delle elezioni presidenziali americane del 2016, ma le considerazioni e le avvertenze che fa possono estendersi abbastanza agevolmente ad altre narrazioni controverse e alle credenze pseudoscientifiche. Philllips esamina a fondo attività, credenze, reazioni e strategie di un gran numero di professionisti dell’informazione.

Partiamo con una considerazione dell’autrice. Difficile definire in dettaglio chi sia un troll e in che cosa si caratterizzi, e ancora più complicato capire che cosa pensa  dei troll chi scrive e si trova ad affrontare in rete idee politiche estreme, credenze pseudoscientifiche e convinzioni indimostrabili di ogni tipo.

In generale, una grossa differenza nelle reazioni dei giornalisti rispetto a questi fenomeni sta nell’età dei reporters. Chi, per motivi anagrafici, è stato addestrato fin dall’inizio della sua attività a considerare i troll parte integrante del mondo della comunicazione, li prende meno sul serio di chi è nato professionalmente ancora nell’epoca della centralità dei periodici di carta.

Prima questione che ne deriva, dunque: quanti sono, a ben vedere, coloro che, trollando o scrivendo di cose controversie, in realtà stanno giocando, scherzando e comunque non credono fino in fondo alle cose strane di cui parlano? In altri termini: non è che a volte se ne sopravvaluta determinazione, coinvolgimento e attaccamento alle storie improbabili che promuove o difende?

Poi lo studio va al cuore della questione. E’ un bene fornire enfasi a queste storie? Evidenziarne i pericoli o no? Menzionarle per cercare di spiegare che cosa sta succedendo, oppure far finta che quelle cose non accadano?

Se si riferisce, si scrive,  si parla di notizie false, di storie manipolate, di credenze pseudoscientifiche secondo Phillips si rischia di:

  • aumentare la probabilità di molestie nei confronti di chi scrive e di chi ne condivide le posizioni;
  • aumentare la probabilità che disinformazione dello stesso tipo e molestie siano usate in occasioni future;
  • rendere più visibili e “più grossi” che nella realtà piccoli gruppi portatori di credenze particolari, finendo per privilegiare i tipi di personalità legati a quei contesti, magari fornendo esempi di gruppi e di comportamenti che così ricevono una pubblicità che non potrebbero conseguire altrimenti;
  • in qualche caso, si rischia di normalizzare individui portatori di convinzioni che potrebbero produrre effetti pericolosi.

Al contrario, se le notizie manipolate, le idee antiscientifiche, le opinioni estreme NON vengono discusse dagli operatori della comunicazione pubblica, per Phillips può accadere che:

  • comincino a circolare informazioni di qualità ancora peggiore;
  • che altri giornalisti, non avendo punti di riferimento razionali già disponibili, coprano queste storie in maniera inadeguata, perché privati di lavori che contestualizzano i problemi, perché c’è carenza di analisi adeguate su cose “strane”, ecc.;
  • che non si colga l’opportunità di educare il pubblico al pensiero critico.
  • Infine, il rinunciare ad affrontare in pubblico le pseudoscienze e le informazioni “tossiche” nel timore di fornir loro ossigeno senza volerlo, non prova in alcun modo che così facendo quelle idee dopo un po’ di tempo si spegneranno.

The Oxygen of Amplification è uno studio assai articolato e andrebbe letto nella sua interezza, in specie nella terza parte. Si tratta della sezione finale del lavoro, ed è interamente dedicata alle buone pratiche giornalistiche utili – secondo le chiare parole di Wintley Phillips – per “comunicare certe verità d’importanza critica”.

Philips ritiene che queste indicazioni siano strumenti validi non solo per i professionisti dei media, ma che lo siano pure per chi è attento a ciò che viene immesso nel discorso pubblico attraverso la rete.

Quand’è che una storia del tipo che ci interessa diventa notiziabile? I criteri generali suggeriti dal lavoro per la notiziabilità di una narrazione sono tre:

  • Il “punto di svolta” – quando la storia supera i confini della limitata comunità di specialisti/appassionati/fans in cui è nata;
  • l’utilità sociale – quando la storia potrà portare dei vantaggi alla società, aprire dibattiti potenzialmente fruttuosi,o  contribuire alla definizione di una controversia;
  • il pericolo potenziale – quando si giudica che la narrazione originaria potrebbe produrre danni, anche in termini di traumi, imbarazzo, danni professionali e imprenditoriali, o anche essere utilizzata da terzi a fini malevoli come quelli appena accennati.

Resta delicatissima la questione della concreta valutazione del momento in cui si arriva al “punto di svolta” (il tipping point). In altri termini, quella circostanza in cui, come operatori preoccupati delle notizie false (o come scettici), decidiamo che è opportuno prendere l’iniziativa e scrivere e parlare di terrapiattismo, oppure di rapimenti da parte degli alieni, dell’ennesima fiammata di una pseudomedicina, di un presunto medium che capitalizza sulle sue prestazioni…

Se quei criteri per la notiziabilità non sono soddisfatti, allora per The Oxygen of Amplification è bene pensarci due volte, prima di scrivere qualcosa.

Due ulteriori raccomandazioni, fra le tante fornite nella terza parte del lavoro ci sono parse degne di attenzione. La prima è di carattere etico: nel caso in cui attività, idee e gruppi abbiano danneggiato qualcuno, è bene cercare di porsi dal punto di vista di chi è stato manipolato, derubato, sminuito o bullizzato, privato della libertà e della sua autonomia decisionale, prima che da quello dello scettico che porta la luce della ragione al mondo.

Seconda raccomandazione. Grande cautela, nella troppo frequente ripresentazione dei meme usati dai troll e dagli attivisti delle più varie pseudoscienze. Si tratta di immagini sovente capaci di generare un forte impatto psicosociale e, per loro stessa natura, caratterizzate da forte viralità.

Sarebbe bene che chi sta dall’altra parte di una controversia non contribuisca a farle circolare ancora di più.  

Giuseppe Stilo

Giuseppe Stilo (Firenze, 1965) si occupa di pseudoscienze, in particolare di ufologia, privilegiando il metodo storiografico. Fra gli altri suoi lavori, "Alieni ma non troppo. Guida scettica all'ufologia" (Cicap, Padova, 2022). Insieme a Sofia Lincos è titolare delle rubriche "Misteri Vintage" (su Query Online), "Il Giandujotto scettico" (sul sito del Cicap Piemonte) e "Divergenti" (sul trimestrale Query).

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