15 Ottobre 2024
Giandujotto scettico

La tigre di Beura

Giandujotto scettico n° 30 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (31/01/2019)

Una tigre. È scappata da un serraglio e passeggia liberamente per i dintorni di Domodossola. La popolazione è un po’ preoccupata ed il municipio ha fissato un premio di lire cinquanta! per chi metterà a posto la niente benvenuta villeggiante.

Così La Gazzetta di Fossano del 13 agosto 1910 riassumeva una vicenda che stava mettendo in agitazione da diversi giorni Beura, comune montano della val d’Ossola, e che rappresenta il primo caso moderno di “felino misterioso” leggendario che abbiamo presente per il Piemonte.

Tanto per cominciare, vi forniamo un paio di riferimenti scettici sui gattoni imprendibili, che potete leggervi qui e qui.

Beura (oggi Beura-Cardezza) è un paesino a sud di Domodossola, sulla riva sinistra del Toce. Nel 1910 era più grande di oggi: doveva ospitare 1750 abitanti circa.

Secondo la poetica descrizione che ne fece il 7 agosto il Corriere della Sera – che sul posto decise di mandare un “inviato speciale” che si siglava s. l. – si trattava di un luogo in cui il “greto calcinato dal Sole” rivaleggiava in bianchezza con le “case sparpagliate”, tutte col tetto ricoperto di pietre nere e immerse nella vegetazione più fitta. Però, da quando si era sparsa la voce sulla presenza di una tigre – riferiva il giornalista – il luogo era pressoché deserto, la gente si era barricata in casa e non andava neanche più nei campi. Ovunque si respirava un’aria “insalubre come quella del Gange”.

A quanto pare tutto era iniziato un paio di settimane prima. Una delle rarissime automobili del tempo era finita in panne proprio vicino a Beura. Intorno al veicolo si era presto formato un capannello di gente, “come accade sempre nei villaggi, ove un automobile [era maschile, allora, N. d. R.] è un oggetto raro e poco conosciuto”. Ed è proprio in quel gruppetto che qualcuno, volgendosi per caso verso la boscaglia ai lati della strada, aveva avvistato la tigre, una visione “rapida e spaventevole”.

Per la verità l’animale non fu riconosciuto all’istante: si trattava soltanto di un “enorme testone di gatto baffuto”, ma la cosa fu sufficiente a far scappare i presenti a gambe levate. All’identificazione con il grande felino si arrivò solo in un secondo tempo, quando gli avvistamenti si moltiplicarono. Si diceva che fosse fuggiti dal vicino serraglio Lamberti, magari evasa dalla sua gabbia mentre viaggiava su un convoglio diretto da Briga a Pallanza.

Ogni giorno qualcuno raccontava di aver visto l’animale, magari mentre saltava sul greto del Toce o si nascondeva tra gli alberi. Alcune riferirono di averla vista mentre veniva loro incontro, addirittura per attaccarli.

Spiegava ancora il cronista:

La belva diventò il tema obbligato di tutti i giorni, l’incubo di tutte le notti, lo spauracchio ed il cattivo genio del paese.

Ma, al di là della paura, nessun abitante di Beura era stato attaccato della belva, tanto che il cronista di chiedeva: “che la tigre dia la caccia ai camosci?”

L’impressione è che la gente del posto fosse assai spaventata e poco incline a cercare l’animale, anche se alla fine qualcuno una battuta di caccia l’aveva davvero organizzata. Alcuni “volenterosi alpigiani”, muniti di fucili svizzeri Vetterli adattati per il tiro al camoscio avevano provato a vedere se la belva era davvero nella boscaglia, ma erano tornati a casa solo con una volpe, misero premio di consolazione. Quello di cui si stupiva il giornalista, semmai, era l’immobilità dell’autorità di Pubblica sicurezza. Carabinieri a Beura non se ne vedevano, mentre quelli di Domodossola

sembravano pensare a dar la caccia alla tigre come io e voi pensiamo ad arringare gli abitanti della Luna.

Insomma, serviva una mobilitazione delle autorità, con tanto di balistite, esplosivo comune al tempo, e fucili e moschetti d’ordinanza fatti venire da Domodossola. Anche perché

Il pensiero che in questa valle incantevole, prettamente italiana nel suo verde scuro e nella cupola d’azzurro che le sovrasta, si corra lo stesso pericolo della jungla abusata dei racconti di viaggi, ha qualche cosa d’inverosimile e fa sorridere come una dabbenaggine.

Il giorno dopo, l’8 agosto 1910, il Corriere della Sera insisteva sulle richieste accorate che venivano dal paesino. Le autorità di polizia non credevano alla tigre e quindi agivano di conseguenza, non facendo nulla. Il cronista – lo stesso dell’articolo precedente – supponeva che tra il pericolo pubblico rappresentato dalla tigre in libertà e quello del ridicolo in caso di mancata cattura la Prefettura avesse valutato più grave il secondo. Per questo si era limitata a mandare sul posto due carabinieri che erano tornati raccontando la ridda di voci che avevano sentito in paese e nient’altro.

I superiori avevano etichettato la faccenda come “pesce d’aprile in ritardo” e la cosa, per loro, era finita lì.

Per contro il municipio di Beura, ben più attento alla vox populi, sembrava prestar fede agli avvistamenti. Aveva quindi aveva bandito un premio da 50 lire per chi avesse ucciso l’animale. Nel frattempo era persa a circolare una nuova voce secondo la quale in paese erano comparsi “due inservienti di ignota provenienza” che avevano fatto domande alla gente del luogo, poi avevano avviato una battuta e infine erano scomparsi, “forse per sottrarsi ad un’eventuale e probabilissima responsabilità”.

Se quegli uomini erano venuti lì era segno che la tigre c’era davvero. Per questo bisognava mandare un “un drappello con tutto il necessario per l’esplorazione e la battuta”. E il giornalista del Corriere ribadiva:

L’ipotesi ufficiale della suggestione collettiva generata da un pesce di montagna non appare, almeno in questo caso, troppo calzante.

Ma le autorità di polizia, per quanto sollecitate continuarono a non intervenire. Anzi, il prefetto di Novara alla fine si attivò, ma soltanto per telegrafare al Ministero degli interni. Una breve nota al riguardo fu pubblicata dal Corriere della Sera il 9 agosto con il titolo: “La tigre c’è o non c’è?”. Il tono del telegramma era fin troppo eloquente.

Notizie Stampa Torino e Corriere Sera Milano circa tigre fuggita serraglio e aggirantesi intorno Beura destituite serio fondamento, secondo quanto telegrafami sottoprefetto Domodossola. – Firmato: Prefetto Ferrari.

La bacchettata ai giornalisti di città, rei di essersi fatti trasportare dagli umori del popolino diede i suoi frutti. Da quel momento la tigre scomparve dalle cronache: non ne parlarono più né i quotidiani nazionali, né, d’altro canto, pare avervi accennato la stampa locale.

Difficile dire che cosa accadde alla tigre di Beura, anche se c’è da supporre che la vicenda scivolò semplicemente nell’oblio dei boschi dei racconti che rimbalzavano e che le 50 lire del premio non furono mai reclamate.

Del bestiario leggendario piemontese del XIX e del XX secolo vi parleremo meglio prossimamente.

Anche nel 2019, comunque, con i felini misteriosi solo ogni tanto si scopre il colpevole degli avvistamenti, magari un cane o un gatto un po’ troppo cresciuto (veri leoni o pantere in fuga sono casi rarissimi, e di norma gli animali scappati sono rapidamente catturati). Il più delle volte, però, l’animale di cui corre voce non salterà mai fuori, né da vivo né da morto.

Come oggi, anche a Beura centonove anni fa.

Foto di Pamela Chávez da Unsplash