27 Luglio 2024
Giandujotto scettico

Zbigniew Dunikowski, un alchimista in val d’Ossola

Giandujotto scettico n° 21 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (27/09/2018)

È il 16 maggio del 1935. I piemontesi apprendono dai giornali che nella loro regione intende mettere in pratica i suoi strani piani un signore dal nome che, per i tempi, suona ancora più esotico di oggi: Zbigniew Jan Dunikowski.

Quel giorno il Corriere della Sera spiegherà in un breve servizio che costui, che ha casa a Sanremo, vuole effettuare i suoi misteriosi esperimenti in Piemonte, più esattamente in val d’Ossola, perché lì ci sono antichi terreni auriferi.

Ma che cosa vuol fare nell’Ossolano questo personaggio dal nome per noi difficile da pronunciare?

Lo sappiamo grazie ad un lungo articolo comparso sulla Stampa il giorno dopo quella prima notizia, il 17 maggio, a firma di un giornalista torinese, Massimo Escard (? – 1968). Poco prima di pubblicare quel pezzo Escard ha ricevuto due lettere: una arriva da Parigi, l’altra da Sanremo. La prima gli giunge da uno degli avvocati di Dunikowski, il dott. Legrand, l’altra da Dunikowski in persona, che è un cittadino polacco.

Che cosa vogliono da Escard questi due signori? Beh, vogliono che si dia seguito a un’idea che lo stesso Escard ha avuto tempo prima e che gli era sorta mentre era a pranzo con i due in un ristorante di Sanremo: organizzare “un’esperienza in grande stile”.

A che cosa si riferiscono? È presto detto. Si tratta di realizzare la principale delle idee balzane del polacco, quella con la quale costui tiene da anni in tensione l’opinione pubblica di mezza Europa, e di farlo in terra piemontese: estrarre, grazie alle sue invenzioni mirabolanti, oro da minerali sostanzialmente comuni – sia pure, a volte, con caratteristiche aurifere – e di farlo in quantità tali da spingere a parlare più di procedimenti alchemici che di tecniche estrattive convenzionali, anche perché linguaggi, concetti, astrusità e furberie del polacco saranno quelle tipiche delle pseudo-scienze e degli auto-proclamati scopritori di novità rivoluzionarie (nel caso di Dunikowski sentiremo soprattutto dei fantastici “raggi Z”).

Escard accetta la proposta. Da Torino prende un treno per Domodossola e si mette in giro per la zona, in specie per la Valle Anzasca, con lo scopo raccogliere sassi e campioni da spedire a Dunikowski, a Sanremo.

Ma sembra esserci un misterioso concorrente che ha fretta di prevenire il polacco: un mese prima di lui – viene a sapere Escard – un altro mediatore si è affrettato a comprare nelle stesse aree terreni di nessun rendimento agricolo per mettersi alla ricerca di punti potenzialmente auriferi. Dietro di lui c’è un ricco torinese il cui nome Escard conosce (non lo rivela) ma che sembra esser stato soggetto a qualche disavventura che gli ha consigliato di allontanarsi dalla città sabauda.

Come vedremo meglio più avanti, nel 1935, muovendo da Torino Massimo Escard sembra aver svolto un ruolo importante in uno dei periodi in cui Dunikowski fu in Italia. Se le iniziative balzane di questo strano personaggio toccarono il Piemonte lo si dovette a questo giornalista torinese.

Ora, però, cerchiamo di capire meglio chi fu Zbigniew Dunikowski. Un uomo di cui oggi nessuno ricorda niente ma al quale per almeno per quindici anni furono dedicati innumerevoli articoli di stampa nell’intera Europa e anche al di fuori di essa.

A scoprirlo, in Italia, fu anche stavolta uno scrittore e giornalista della Stampa, Curio Mortari (1892-1954).

Alla fine del 1931, quando da poco in Francia l’opinione pubblica si stava dividendo in maniera appassionata e feroce sulla figura del polacco, Mortari si recherà a Montecarlo, dove allora abitava il presunto scienziato, lo intervisterà a lungo così attirando l’attenzione degli italiani su di lui. In realtà, anche se in maniera intermittente, in Francia di Dunikowski si era parlato già dal 1923, anno in cui lo aveva rivelato un redattore del Petit Parisien, Henry de Nousenne.

Mortari insisterà a lungo sui quarti di nobiltà scientifica di Dunikowski per presentarlo agli italiani come un personaggio con un background scientifico. Suo padre, Emil, in Polonia fu comunque un geologo importante. Mortari parlerà a lungo del ciarlatano, per primo in Italia, in suo servizio che comparirà sul quotidiano torinese l’11 dicembre 1931.

Malato (ha un polmone solo e problemi alla colonna vertebrale), nel novembre 1926 il nostro personaggio giunge a Montecarlo con moglie e quattro figli. Negli ultimi otto anni ha girovagato la Francia e poi Ginevra. Si installa all’hotel Buckingham Palace. Pochi mesi dopo ha già convinto il prof. Mieczyslaw Oxner, polacco come lui e vice-direttore del Museo Oceanografico del Principato di Monaco, di poter estrarre oro in quantità da certe sabbie del porto monegasco.

Oxner però dopo un attimo d’incertezza s’insospettisce e gli chiede di far controllare le procedure – di cui Dunikowski, come prevedibile, è gelosissimo – addirittura a Marie Curie. Il polacco rifiuta e allora Oxner lo allontana dal Museo.

Dunikowski propone allora al Casinò di Montecarlo di fabbricare “gettoni inimitabili” grazie alle sue tecniche e anche lì ottiene sia pur temporaneo ascolto. Ma intanto ne pensa altre: ad esempio, racconta dell'”acqua decomposta”, che in futuro servirà come carburante per i veicoli al posto della benzina.

Poi però si getta in modo più netto su quello che almeno in quel momento preferisce chiamare “sistema D”, cioè quello per ricavare oro in quantità da sabbie aurifere anche a basso tenore.

Per questo, nel 1930 costituisce una società apposita e ottiene denari da parecchi, ricchi azionisti. Apre il suo cervellotico laboratorio a Mentone: piatti di rame, alte tensioni elettriche, esposizione delle pietre ad ultravioletti ma, soprattutto, l’azione sui minerali di una “corrente speciale”, quella dei raggi Z, che lui ha scoperto e che sono qualcosa di diverso dalle onde elettromagnetiche…

Ma ecco che la macchina per fare soldi di Dunikowski si rompe di colpo e in maniera clamorosa, e forse senza neanche che nessuno lo voglia in maniera esplicita.

Su istanza dei suoi soci viene chiesto al Tribunale che sia loro rivelato il segreto tecnico della trasformazione alchemica, che lui non vuol spiegare nemmeno a chi ingenuamente lo finanzia. Ma il giudice va oltre la richiesta e il 14 novembre 1931 lo fa arrestare nella sua villa di Roquebrune, presso Mentone, e lo accusa di una serie infinita di truffe.

Il polacco perora la sua causa da dietro le sbarre con assoluta faccia tosta: durante le sue ricerche in Costa Azzurra è riuscito a ottenere da minerale aurifero dai quali di solito si trae oro per 5 franchi una quantità di metallo prezioso per 375 franchi. Purtroppo i suoi soci – non capendo che non poteva rivelare loro i dettagli tecnici del procedimento – facendogli causa ne hanno provocato l’arresto e quindi l’interruzione delle sue magnifiche ricerche.

Viene fatto uscire una prima volta dal carcere parigino della Santé, dov’è stato condotto, per portare le sue attrezzature alla Scuola Centrale di Arti e Mestieri di Parigi. Lì, infatti, ordina il giudice, sarà verificato sotto stretto protocollo se la sua è una turlupinatura.

Come vedremo, questo tentativo di verifica si tradurrà in una saga interminabile che sfocerà nel nulla. Peraltro, anche questo tentativo di vedere in dettaglio che cosa accadeva quando il polacco azionava la sua macchina era stato preceduto da una lunghissima serie di tira-molla iniziati nel 1923 e ai quali, per quanto possa sembrare incredibile, Dunikowski aveva retto con qualche successo (Corriere della Sera, 25 novembre 1931 e La Stampa, 29 dicembre 1931).

Agli inizi di gennaio del ’32, potendo uscire per qualche ora dal carcere, Dunikowski riprende i suoi tentativi (La Stampa, 5 gennaio 1932). Rimonta gli apparati sequestrati in Costa Azzurra ma, più che la specie di fonografo sul cui piatto di rame va posto il minerale aurifero da cuocere a 1400 gradi, tutto verte sulla scoperta della “nuova radiazione”, quella che opera la mutazione.

Il quotidiano La Liberté ne prende le difese in maniera aperta: l’arresto era discutibile perché i suoi accusatori credevano nella bontà dell’invenzione: soltanto, ne volevano i piani. In questo stava l’accusa di truffa, non nella convinzione che Dunikowski fosse un impostore (La Stampa 27 dicembre 1931, 1, 3 e 6 gennaio 1932; Corriere della Sera, 11 gennaio 1932; La Stampa, 13 gennaio 1932).

Questo è un aspetto che come scettici ci sentiamo di sottolineare con cura. Nel corso della sua fortunata carriera, nella gran parte dei casi Dunikowski – nonostante smentite e sbeffeggiamenti di ogni genere da parte di tecnici e scienziati – continuerà a godere del sostegno di persone altolocate dal punto di vista economico e sociale. Sono questi ambienti che gli interessano e che, in sostanza, non lo abbandoneranno mai del tutto.

D’altro canto, almeno in pubblico,  persino la commissione di tre scienziati nominata nel novembre 1931 dal giudice parigino per esaminare la macchina non è negativista a priori. Certo, si tratta di capire, sperano i tre, se il polacco è in grado almeno di presentare qualche procedimento di separazione dell’elemento prezioso dalle sabbie aurifere più efficiente di quelli in uso, e niente di più (Corriere della Sera, 10 gennaio 1932), ma nemmeno  questa richiesta limitata sarà adempiuta dall’inventore.

Il 16 gennaio 1932 – ma alla presenza dei suoi avvocati e non dei tre scienziati della commissione – Dunikowski ottiene i risultati che si aspettava: i minerali sono completamente trasformati grazie alla lampadina contenente una sostanza radioattiva capace di emettere i suoi raggi Z, così utili all’umanità. (Corriere della Sera, 17 e 23 gennaio 1932). Non è però bene che altri, oltre a lui, tocchino la macchina, per non manometterla (Corriere della Sera, 19 gennaio 1932).

Comunque sembra avvicinarsi il momento della verità: i test alla presenza dei tre componenti la squadra, i professori Badeau, direttore dei laboratori di chimica-fisica dell’Università e Léon Alexandre Guillet (1873-1946), direttore della Scuola centrale di chimica, oltre che il professor Sannié, della Facoltà di medicina, sono imminenti: devono svolgersi finalmente, secondo un preciso protocollo, martedì 19 gennaio 1932.

Ma ecco (c’è da stupirsene?) il coup de théâtre.

Durante l’esperimento “privato” del 16, Dunikowski smonta la lampada del “raggio Z” e la consegna a uno dei suoi avvocati. In questo modo, e visto che il giudice istruttore gli nega la presenza dei difensori durante gli esperimenti con gli scienziati, il polacco si rifiuta di aderire al protocollo ideato e così l’esperimento controllato, come volevasi dimostrare, salta. (La Stampa, 19 gennaio 1932; Corriere della Sera, 20 gennaio 1932)

I giornali francesi ricordano, feroci, i trucchi ottocenteschi grazie ai quali i venditori di pretese miniere d’oro cercavano di dimostrare la presenza del metallo prezioso nei loro terreni: cenere di sigaretta mescolata a polvere d’oro lasciata cadere con noncuranza, unghie lunghe con sotto polvere del metallo che poi mescolano alle sabbie, tosse ostinata con la quale espettoravano polvere nascosta fra guance e gengive…

La frustrazione per i tre scienziati di nomina tribunalizia si ripeterà, identica, nel febbraio e nel giugno dello stesso anno (Corriere della Sera, 5 e 21 febbraio e 1° giugno 1932). A volte i tentativi saranno accompagnati da incidenti: per la macchina l’uomo pretende di impiegare altissime tensioni e i pericoli sono all’ordine del giorno. Solo lui, spiega, sa come occuparsene (La Stampa, 6 febbraio 1932).

A Torino, intanto, il 20 gennaio il professor Mario Ponzio (1885-1956), direttore dell’Istituto radiologico dell’Ospedale Mauriziano, tiene una conferenza di enorme successo presso il Rotary Club cittadino spiegando che, almeno da quello che ha potuto apprendere, è impossibile anche soltanto capire che cosa Dunikowski voglia argomentare con il suo linguaggio approssimativo e pieno di incongruenze scientifiche (La Stampa, 21 gennaio 1932). Si tratta di cose con le quali era difficile confrontarsi in maniera seria.

Intanto le schermaglie si trasferiscono in udienza: Dunikowski, tramite interprete, narra la sua presunta carriera al giudice, rinuncia alla difesa, si sbraccia, chiede tramite un  avvocato che uno dei periti, il prof. Guillet, non testimoni, dice che le sue non sono emissioni radioattive ma da “raggi bianchi”, lamenta la cattiva disposizione d’animo nei suoi confronti da parte degli incaricati di sperimentare la sua invenzione (Corriere della Sera, 31 gennaio 1932; La Stampa, 22 febbraio  e Corriere della Sera, 24 dicembre 1932).

Nel frattempo, mentre è in carcere, a inizio settembre il settimanale francese Cyrano spiega ai suoi lettori che Dunikowski continua a ricevere offerte di finanziamenti per le sue attività. La detenzione si protrae e la cosa suscita ulteriori proteste (Corriere della Sera, 8 novembre 1932) e fornisce a Dunikowski l’aura del perseguitato.

L’11 novembre 1932, finalmente, i periti presentano al giudice un rapporto di duecento pagine nel quale concludono che il polacco è un truffatore (Corriere della Sera, 11 novembre 1932; La Stampa, 14 e 15 novembre 1932), ma alla vigilia di Natale si litiga ancora in tribunale. Il punto è che molte delle parti offese da Dunikowski in sostanza continuano a credere alle sue invenzioni. Accusano esse stesse di cattiva fede i periti del tribunale, in particolare il professor Guillet, perché lo scienziato è impegnato nell’estrazione aurifera nel Congo.

Rivogliono indietro i soldi, ma NON perché la scoperta dei “raggi Z” sia una stupidaggine. È questa schizofrenia logica, prima che giuridica, che complica in maniera inverosimile il dibattito.

Al contempo, è proprio questo fatto a rendere la vicenda un caso esemplare di fraintendimento del ragionamento scientifico e di totale incapacità di ammettere che le nostre credenze possono farci cadere per anni in errori di portata colossale (Corriere della Sera e La Stampa, 24 dicembre 1932; Corriere della Sera e La Stampa, 25 e 31 dicembre 1932). Nella sua perizia però il professor Guillet è implacabile: le attrezzature di Dunikowski sono “giochi per bambini” e la competenza chimica del polacco non gli permetterebbe nemmeno di conseguire una licenza liceale. Il “corpo radiante” millantato è privo di qualsiasi significato scientifico (Corriere della Sera, 24 dicembre 1932).

Il 7 gennaio 1933 Dunikowski sarà condannato a due anni di carcere e al risarcimento di una gran quantità di danni. Considerata la parte di detenzione già scontata e la buona condotta, rimarrà agli arresti soltanto sino al maggio successivo.

Ed è solo a questo punto che inizia la fase della “carriera” di quest’uomo che ci interessa di più. Lasciato il carcere, infatti, a inizio estate Dunikowski giunge in Italia e per il momento si ferma ad Ospedaletti, sulla costa imperiese. Vuole riaprire il laboratorio di Roquebrune – Cap Martin, appena fuori Mentone, ma lo deve fare dall’estero, perché espulso dalla Francia. Un nuovo, folto gruppo di americani si interessa alle sue promesse (Corriere della Sera, 24 agosto 1933).

Poi si sposta in un appartamento di Sanremo, in corso degli Inglesi 18. Questo luogo diventa la sua nuova base (anche perché nel frattempo la modesta villetta di Roquebrune è stata venduta all’asta su richiesta di una creditrice). In quella casa invita cultori di fisica e appassionati di scienza locali cercando di convincerli del suo “raggio Z” in grado di effettuare la trasmutazione. A volte chiederà loro, sorridente, di portare del terreno a caso dell’imperiese per far vedere come la sua macchina riesce ad estrarne l’oro.

Per meglio operare in Italia si procura anche i servizi di un avvocato sanremese, Giovanni Ameglio, che affiancherà il suo legale storico di Parigi, Legrand (Corriere della Sera, 14 settembre; La Stampa, 15 settembre e Corriere della Sera, 16 settembre 1934; Stampa Sera, 2- 3 ottobre 1934).

I “raggi Z”, ormai, gli servono a molto altro oltre che a ottenere l’oro: ad esempio – tanto per gradire –  per trasmettere l’energia elettrica senza fili, ma anche come “raggio della morte” in grado di incendiare il carburante di aerei in volo e dunque di abbatterli o di far scoppiare esplosivi a distanza, come Dunikowski pretende di dimostrare a giornalisti e a un finanziatore francese, nella sua villa di Sanremo, il 18 febbraio del 1935 (La Stampa, 24 settembre 1935). Il suo procedimento, spiega nel frattempo, renderà l’estrazione dell’oro infinitamente meno costosa di quella corrente e dunque – bontà sua – rivoluzionerà l’ordine economico mondiale.

Ma ecco che fra i giornalisti presenti da metà febbraio 1935 a Sanremo farà la sua comparsa sempre più frequente il torinese Massimo Escard che ci ha interessati all’inizio di questo racconto. Escard si recherà subito ad ispezionare la ex-base francese di Dunikowski, cioè la villetta ormai vuota di Roquebrune.

Dunque, il legame fra il giornalista torinese e lo pseudoscienziato probabilmente si stabilì in quelle giornate invernali del 1935, ed è da lì che partirà, in maggio, la sortita piemontese a caccia di terreni (e di gonzi) in val d’Ossola e a Torino di cui abbiamo detto in apertura (Corriere della Sera, 16 febbraio; La Stampa, 17 febbraio; Stampa Sera, 18-19 febbraio; Corriere della Sera, 18 febbraio 1935; La Stampa, 19, 21 e 23 febbraio 1935). Il 1° marzo, parlando a Sanremo, Dunikowski farà capire persino che intende offrire la sua nuova invenzione (ossia il “raggio della morte”) al governo italiano (Corriere della Sera, 2 marzo 1935).

In un clima di crescente autoesaltazione, pochi giorni dopo l’avvocato Legrand, che fa la spola fra Parigi e Sanremo e che ormai anche Escard conosce bene, dichiarerà che in qualche giorno il polacco produce da solo anche dieci grammi di oro (La Stampa, 10 marzo 1935). Poco dopo, un perito da lui scelto, il dottor Albert Bonn, affermerà in Francia che a Sanremo Dunikowski è arrivato a ricavare 500 grammi d’oro per tonnellata di minerale (Corriere della Sera, 2 e 12 marzo 1935)!

Niente lo turba: nemmeno la rivelazione, fatta da Paris-Soir il 19 febbraio del ’35, che già nel ’23 Dunikowski era giunto a Parigi insieme a un suo fratello millantando le stesse cose degli anni successivi, riuscendo così a ottenere il finanziamento di un milione di franchi da parte di alcune banche, anche grazie all’imprudenza dello stesso presidente polacco del tempo, il musicista Ignacy Paderewsky, che li aveva gratificati di una sua lettera di raccomandazione.

Quando però uno dei dirigenti di banca presenti alle dimostrazioni ebbe il sospetto che uno dei due gettasse della polvere nel minerale da trasformare, furono chiesti controlli rigorosi presso i laboratori mineralogici dell’istituto di credito, e allora i due rientrarono rapidamente in Polonia. Zbigniew si riaffaccerà sulla costa mediterranea soltanto tre anni dopo.

Da Varsavia, intanto, la sua famiglia lo difende. Era stato sin da giovanissimo un inventore, durante la Prima Guerra Mondiale i Russi lo avevano arrestato per motivi politici e, comunque, mai e poi mai – patriota com’era – avrebbe ceduto il segreto della sua nuova applicazione dei raggi Z, il “raggio della morte”, a potenze diverse dalla Polonia (Corriere della Sera, 7 marzo 1935).

Comunque sia, nell’estate del ’35 Dunikowski, sempre irrequieto e probabilmente timoroso di nuove richieste di verifica, terminerà di colpo il primo dei due soggiorni italiani e in questo modo rinuncerà alla mediazione piemontese di Escard. Partirà per Bruxelles, ma ci resterà pochi mesi, dopo aver cercato di attrezzare un’officina in una località a quindici chilometri dalla capitale belga.

Il 23 dicembre sarà raggiunto da un ordine della Polizia a lasciare il territorio nazionale. Per niente avvilito, annuncerà il prossimo rientro in Polonia, dove dice di avere “l’appoggio di quel governo”, e da dove avrebbe continuato la lotta… (Corriere della Sera, 23 dicembre 1935; La Stampa, 27 dicembre 1935).

Qualsiasi cosa si voglia dire di questa figura bislacca, si trattava di un uomo di una tenacia ai limiti del fanatismo religioso, tanto da far pensare che ai tentativi di sbarcare il lunario si sovrapponessero sue convinzioni sincere, per quanto prive di qualsiasi logica scientifica.

La sua tenacia, comunque, fu tale da indurlo a tornare di nuovo in Italia, e ancora a Sanremo. Difficile per noi dire che cosa lo spinse a rientrare da noi, ma alcune fonti importanti del 1937 forse suggeriscono una strada per spiegare questa seconda tappa italiana.

La nuova presenza di Dunikowski riaccese l’attenzione della nostra stampa. A fine ottobre un quotidiano della sera lo intervistò facendosi spiegare come riuscisse a produrre sempre più oro e come intendesse metterlo a disposizione della Banca d’Italia. Un giornalista non meglio identificato che collaborava con Secolo Sera e con La Sera di Roma tornò sulla questione per spiegare come nel ’35 lui stesso aveva avuto in regalo da Dunikowski una pallina di oro prodotto dal polacco, nell’evidente tentativo di colpire l’immaginazione del suo interlocutore.

In questo caos, la cosa più interessante è che da Torino si mosse di nuovo verso Sanremo l’altro giornalista piemontese che, a parte il nostro Massimo Escard, lo aveva frequentato di più: Curio Mortari della Stampa, cioè colui che nell’autunno del ’31 aveva fatto conoscere agli italiani questa figura bizzarra.

Il 5 dicembre del 1937 sul quotidiano torinese compare un lunghissimo reportage di Mortari. È fondamentale per spiegare come mai Dunikowski è tornato nella cittadina imperiese e il perché dell’interesse rinnovato del grande quotidiano torinese.

Mortari scopre nel porto di Sanremo una gran quantità di fusti appena sbarcati contenenti materiale minerario di una società che ha sede a Masbate, nelle Filippine. Si tratta di 57 tonnellate di terre giunte col piroscafo Empire che devono essere consegnati al laboratorio di Dunikowski. Con quella società asiatica, infatti, il polacco ha stabilito nuovi legami.

Mortari è fin troppo ben disposto con il polacco. Quattro giorni dopo questa scoperta sulla Stampa ecco quindi una lunga intervista realizzata dal giornalista nel nuovo antro di Dunikowski, un appartamento che si trova in via Giorgio Pallavicino, 6.

Lui – fa il modesto, ora – ha soltanto perfezionato un modo per estrarre l’oro dai minerali. Non è affatto un alchimista, ma uno in grado di separare con enorme efficienza da parecchi tipi di minerali le molecole d’oro di e di aggregarle. Gli ha fatto guerra (e qui utilizza il consueto schema retorico degli pseudo-scienziati) chi non vuole che la sua scoperta rivoluzioni industria ed economia.

Ma, in tutto questo, che fine hanno fatto i “raggi Z” che due anni prima dovevano servire (anche) come “raggi della morte”? Beh, quello era un secondo metodo, diverso dal primo, basato “sulla trasmissione dell’energia elettrica senza fili”. Per ora era un sistema “troppo costoso”. Meglio usare il primo.

La sensazione è che Dunikowski cambiasse la dimensione “esagerata” delle sue scoperte in funzione delle posizioni dei finanziatori. Quando intravedeva atteggiamenti più conservativi, i “raggi Z” passavano in secondo piano. Poco dopo, non a caso, nel corso dell’intervista si presenta l’altra figura chiave per capire il secondo soggiorno italiano di Dunikowski, cioè il presidente della Masbate Mining Co. filippina, il magnate e nobile belga Serge F. Wittouck, nuova gallina dalle uova d’oro di Dunikowski. Nell’incontro con Mortari Wittouck spiega sorridente che quel che conta è che lo studioso sia lasciato in pace (anche dai giornalisti), in modo da perfezionare il tutto senza seccatori.

È questa l’anteprima della fase culminante della commedia.

Ad aprile del 1938, infatti, Dunikowski scompare di nuovo da Sanremo, ma solo per ripresentarsi in Svizzera. Affitta dei locali già usati da un’industria nel paesino di Saint-Blaise, sul lago di Neuchatel, e lì comincia a far arrivare dalla Liguria componenti delle sue macchine e i minerali sbarcati a Genova tramite l’impresa di Wittouck (Corriere della Sera, 13 aprile 1938). La nuova società che crea in Svizzera si chiamerà Metallex.

Ma ecco l’epilogo (almeno europeo) di questa incredibile vicenda. Il 12 dicembre del 1938, di prima mattina e senza preavviso, un gruppo di operai distrugge a colpi di mazza ferrata le attrezzature del laboratorio di Saint-Blaise, che valgono 500.000 franchi svizzeri del tempo. Ad averne ordinato la demolizione non è altri che Dunikowski. Perché una tale follia? Il polacco dichiara di averlo fatto perché non intende pagare i 6000 franchi di dogana per le macchine provenienti da Sanremo e al cui cospetto teme il sequestro dei macchinari.

A Saint-Blaise, però, parecchi scuotono la testa e dicono che Dunikowski vuole ancora una volta sottrarsi a qualsiasi verifica su quanto sta mettendo in atto. Comunque, lui fa trasportare in tutta fretta un forno a nafta e un paio di altri aggeggi a Genova e da lì si imbarca per le Filippine, dove intende lavorare sulla base dei finanziamenti di Wittouck, a Masbate.

A Saint-Blaise – si prenda nota – Dunikowski raccoglieva tutto il prodotto del suo presunto procedimento in un cofano metallico nero dal quale non si separava mai e che poi chiudeva nella cassaforte dell’albergo di Neuchatel nel quale soggiornava da mesi. Nessuno poteva vedere come le “pepite d’oro” finivano in quel contenitore metallico alla fine del presunto procedimento di trasformazione.

A quanto pare, per pagare gli operai, Dunikowski distribuiva davvero mini-pepite d’oro – che ovviamente asseriva provenire dagli effetti dei suoi esperimenti (Corriere della Sera, 13 dicembre 1938).

Dirà poi di esser partito alla chetichella da Sanremo verso la Svizzera per timore che le autorità fasciste si impadronissero delle sue scoperte. Anche i minerali giunti da Genova finiranno davvero nelle acque del lago di Neuchatel. Dunikowski soggiornerà nelle Filippine e all’inizio della Seconda Guerra Mondiale proverà ancora ad asserire che le autorità inglesi e francesi gli avevano chiesto di trasferire i suoi fantasiosi esperimenti nel sud dell’Inghilterra per contribuire allo sforzo bellico contro la Germania.

Ben presto, però, gli avvenimenti precipiteranno. Wittouck, il suo mentore, morirà di colpo a Manila nel luglio del 1940, a soli trentotto anni. Nel dicembre dell’anno successivo il Giappone entrerà nella Seconda Guerra Mondiale invadendo le Filippine.

Dunikowski uscirà di scena.

Lo ritroveremo nei primi anni ’50, quando otterrà l’ingresso negli Stati Uniti  come rifugiato politico (forse perché cittadino polacco, dunque suddito di una dittatura comunista). Si stabilirà a Goshen, nello Stato di New York, dove morirà il 15 marzo 1964, a poco meno di settantacinque anni.

Zbigniew Dunikowski, questo strano ma vitalissimo individuo, trascorse gran parte della vita a cercare di convincere che poteva arricchire chiunque lo finanziasse traendo oro a profusione da minerali vili. Riuscì nella sua opera persuasiva molte volte, facendo leva sul meccanismo elementare della fantasia del guadagno eccezionale a partire dal nulla e, al contempo, sul mito di una scienza nuova osteggiata dalle strutture industriali e finanziarie prevalenti. Schemi che, come tutti coloro che si preoccupano delle pseudoscienze ben sanno, oggi furoreggiano più che mai.

Dunikowski ha lasciato traccia di sé in varie parti del mondo, in specie in Francia. Ma la sua vita incredibile toccò anche la nostra regione e la sua idea della pietra filosofale forse per un attimo sfiorò anche qualche sconosciuto benestante torinese e qualche proprietario terriero dell’Ossola.

È probabile che sul suo passaggio piemontese ci siano altre cose interessanti e sorprendenti da scoprire, in specie sul ricco torinese che cercò di assicurarsi, anticipando il polacco, alcuni terreni auriferi nell’Ossolano.

Foto di Thomas Wolter da Pixabay