15 Ottobre 2024
Approfondimenti

Pane nero: tutta la verità

Articolo di Giuliano Parpaglioni, biologo nutrizionista

Negli ultimi mesi è diventato di moda, spesso è servito insieme al pane normale anche nei ristoranti ed è venduto come qualcosa che “fa bene”: il pane nero è il protagonista di quest’inverno e, vista la sua diffusione, è inevitabile fermarsi a riflettere. È effettivamente un prodotto sano?

Prima di tutto cerchiamo di capire bene di cosa stiamo parlando. Il cosiddetto pane nero è un prodotto da forno simile al pane, cui è stato aggiunto un colorante: il carbone vegetale. Il fatto che questo prodotto contenga un colorante indica da subito che non può essere chiamato pane: il carbone vegetale non è un ingrediente, non fa parte della ricetta, ma serve solo a dare un aspetto diverso al panino che viene servito. In particolare è una nota del Ministero della salute a chiarire la cosa:

1) è ammissibile la produzione di un “prodotto della panetteria fine” denominato come tale, che aggiunga agli ingredienti base (acqua, lievito e farina), tra gli altri, anche il carbone vegetale come additivo colorante e nelle quantità ammesse dalla regolamentazione europea in materia (Reg. CE 1333/08 All. II Parte E);

2) non è ammissibile denominare come “pane” il prodotto di cui al punto 1, né fare riferimento al “pane” nella etichettatura, presentazione e pubblicità dello stesso, tanto nel caso in cui trattasi di prodotto preconfezionato quanto nel caso di prodotti sfusi (Articolo 18, Legge 580/67).

Il regolamento citato nella nota del ministero disciplina l’uso degli additivi, coloranti compresi, a livello Comunitario, mentre la denominazione di pane è data da una legge italiana. In caso di vendita di questo prodotto, quindi, abbiamo l’impossibilità di definirlo pane (dal punto di vista legale si tratta dunque di frode). Ma al di là della denominazione, la cosa che più interessa ai consumatori sono gli effetti sulla salute. Questo “pane” nero fa davvero bene come si dice, anche chiamandolo con un altro nome?

Anche su questo punto la nota del ministero già citata si esprime chiaramente, almeno dal punto di vista della pubblicità e dell’etichettatura:

3) non è ammissibile aggiungere nella etichettatura, presentazione o pubblicità del prodotto di cui al punto 1 alcuna informazione che faccia riferimento agli effetti benefici del carbone vegetale per l’organismo umano, stante il chiaro impiego dello stesso esclusivamente quale additivo colorante.

Cosa significa? In queste poche righe c’è il riassunto di un discorso più complesso. Il carbone vegetale, chiamato anche carbone attivo, può essere usato come colorante (nei termini del regolamento europeo citato in precedenza) oppure come integratore alimentare. In quest’ultima forma è regolamentato dal regolamento UE 432/2012. Nel testo si legge che «Il carbone attivo contribuisce alla riduzione dell’eccessiva flatulenza post-prandiale», ma viene anche specificato che «Questa indicazione può essere impiegata solo per un alimento che contiene 1 g di carbone attivo per porzione quantificata. L’indicazione va accompagnata dall’informazione al consumatore che l’effetto benefico si ottiene con l’assunzione di 1 g almeno 30 minuti prima del pasto e di 1 g subito dopo il pasto». Ora, queste quantità sono molto superiori a quelle utilizzate nella panificazione e non sono imposte a caso: l’Unione Europea le acquisisce tramite verifiche scientifiche effettuate dall’organo europeo predisposto: l’EFSA (European Food Safety Authority), diffuse attraverso apposite pubblicazioni. In particolare, la pubblicazione che riguarda il carbone attivo è del 2011, non proprio una novità.

Riassumendo: non è possibile dire che un prodotto che contiene carbone attivo abbia effetti positivi sull’eccessiva flatulenza a meno che non ne abbia quantità precise per porzione (e non è possibile dire che contrasta il gonfiore in assoluto, vista la pubblicazione dell’EFSA) e che sia assunto in specifici momenti; non è possibile chiamare pane un prodotto da forno con un colorante.

Stando a quanto ci dice l’EFSA, quindi, il pane nero non ha alcun effetto sul nostro benessere intestinale, perché non ha le quantità sufficienti di carbone per poter essere efficace (come vedremo più avanti). È però verosimile un effetto negativo: il colorante carbone vegetale è classificato con la sigla E153. Questo colorante è effettivamente carbone, una polvere finissima che ha l’effetto di legare piccole molecole a sé; per questo è capace di ridurre la flatulenza: lega i gas che si producono a causa del metabolismo dei batteri intestinali. L’effetto, però, è comune a molte sostanze, compresi minerali e vitamine, nonché alcuni farmaci. L’assunzione di carbone attivo infatti può inibire l’effetto del farmaco per il semplice fatto che ne fa assorbire di meno.

Un altro rischio è quello dei composti combustibili residui: il carbone, dopo tutto, è il frutto di una combustione spinta e c’è la possibilità che sia presente un composto chimico chiamato benzo[a]pirene. Questo composto è particolarmente importante perché è uno dei primi di cui si sia dimostrata la cancerogenicità: è infatti una delle cause delle malattie degli spazzacamini del diciottesimo secolo. Pertanto, l’EFSA suggerisce anche dei limiti nell’utilizzo quotidiano del colorante E153: per i bambini una media compresa tra 3 e 29,7 milligrammi per chilo di peso, per gli adulti invece un consumo medio di 3,8 milligrammi per chilo di peso. Questi valori permettono di consumare il colorante in sicurezza, ma come detto precedentemente sono ben lontani dai valori necessari ad avere effetto sulla flatulenza.

In sintesi: vale la pena consumare il pane nero? Considerando che non è classificabile come pane, che non apporta alcun tipo di beneficio, che è possibile contenga dei composti cancerogeni (innocui se vengono rispettati i limiti di legge, ma dobbiamo sperare che il panificatore non abbia esagerato col colorante), che interagisce negativamente con molti farmaci diminuendone l’efficacia e che spesso costa più del pane normale, la mia opinione è: no, non ne vale la pena.

Foto di Pictavio da Pixabay

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