26 Aprile 2024
I segreti dei Serial Killer

Jeffrey Dahmer, il mostro di Milwaukee 

 La vita di Jeffrey Dahmer non è solo la storia di un serial killer. È una vicenda che ha esposto in modo brutale le dinamiche malate della società americana dell’epoca in cui si è svolta. È la storia di un assassino seriale che ha avuto dei complici involontari, per via del razzismo e dell’intolleranza verso gli omosessuali di cittadini e forze dell’ordine che avrebbero potuto salvare alcune delle vittime. A questo va aggiunto un ambiente familiare non propriamente abusante, ma privo di sana comunicazione e comprensione emotiva, altro pilastro alla base di questa terribile serie di delitti. Sconvolgendo le fondamenta della società statunitense, il biondo ed efebico Jeffrey Lionel Dahmer ha messo i suoi compatrioti di fronte alle loro peggiori colpe e paure, diventando al contempo una macabra icona pop. 

Un’infanzia solitaria

Jeffrey nasce a Milwaukee il 21 maggio 1960. Il padre Lionel è un giovane chimico ricercatore, la madre Joyce Flint è una casalinga. Lionel, in seguito, descriverà come molto difficili gli anni della gravidanza della moglie e dell’infanzia di Jeff, per via delle difficoltà coniugali. Il padre è infatti un uomo razionale, che fatica a comprendere una donna con frequenti sbalzi d’umore e crisi nervose, che gli chiede protezione e ascolto, un modo di amarla che lui non conosce. Lionel mantiene economicamente la famiglia, pensa ad ottenere il dottorato, lavora moltissimo e il laboratorio diventa il suo rifugio. Sola in casa, con l’unica compagnia dei suoceri, Joyce soffre durante la gestazione di quelle che sembrano crisi epilettiche e abusa di ansiolitici. 

Nei primi anni di vita, Jeff è un bambino tranquillo e obbediente, ma anaffettivo, solitario e introverso. Le sue maestre cercano di aiutarlo a integrarsi, con scarsi risultati. Nel 1966 nasce suo fratello, David. Da adolescente, Jeff è un ragazzino passivo e apatico, senza rapporti sociali, che non riesce ad appassionarsi a nulla delle varie attività che solitamente interessano i suoi coetanei. Sviluppa anzi un solo, particolare “hobby”: raccogliere carcasse di animali che trova lungo le strade e scarnificarle, conservando le ossa, per “osservare come sono fatte”. 

La madre ha spesso attacchi di ansia, sbalzi d’umore, si perde nell’interesse per il paranormale e l’ufologia, afferma di avere visto in cielo un disco volante. Il padre è distante, ama i suoi figli, ma non capisce le difficoltà di Jeff: pensa solo che sia un po’ introverso e solitario, come era stato anche lui da ragazzo. [1] 

Il giovane Dahmer si rende conto di essere omosessuale, ma non ne parla con nessuno e anche ciò non viene intuito dai genitori. La famiglia affronta un trasloco in Ohio per via del lavoro di Lionel, accentuando il senso di isolamento di Jeff. Durante il liceo, comincia a bere. Arriva in classe ubriaco, con lo sguardo spento. Nessuno in famiglia afferma di essersene mai accorto, ma a scuola qualcuno lo nota, in particolare i compagni. Un ex compagno di scuola affermerà in seguito: 

“Sembrava gridare in cerca di aiuto ma nessuno gli prestava attenzione […] Se un sedicenne che alle otto del mattino beve alcolici in classe non sta chiedendo aiuto, allora non so davvero cosa stia facendo.” [2]

Il primo passo verso il baratro

I problemi tra i genitori sono sempre più gravi, finché nel 1978 i coniugi Dahmer non arrivano a un soffertissimo divorzio. Lo stesso anno, Jeff uccide un uomo per la prima volta. Steven Hicks, diciannovenne, aveva conosciuto Jeffrey mentre faceva l’autostop. Jeff gli offre un passaggio e gli chiede se abbia voglia di passare da lui per fumare un po’ di erba e ascoltare musica. In quel periodo Jeff vive a casa da solo ad Akron, in Ohio. Dopo la separazione, Lionel era andato ad abitare in un altro appartamento con la nuova moglie Shari, mentre la madre aveva abbandonato il primogenito, andandosene con Dave.

Al termine della serata Steven cerca di andarsene, ma Jeffrey vuole trattenerlo, per non rimanere solo. Cerca di convincerlo, ma senza successo. A quel punto, stordisce il ragazzo con uno dei pesi che gli ha regalato il padre e lo strangola. Senza scomporsi più di tanto, smembra il corpo e lo nasconde in sacchi della spazzatura, lo carica in auto e si dirige fuori città, in piena notte. Viene fermato da una pattuglia e i poliziotti notano qualcosa di strano in quel giovane ragazzo biondo. Gli chiedono dei sacchi neri che ha con sé, lui spiega con calma che si sta dirigendo in discarica. Lo lasciano andare, ma lui a quel punto cambia idea e preferisce liberarsi del corpo presso un promontorio dietro casa. 

Negli anni successivi, la vita di Jeff va avanti come se niente fosse, ma colleziona un fallimento dopo l’altro: frequenta l’università dell’Ohio solo per pochi mesi, ha una breve esperienza nell’esercito da cui viene congedato per il suo alcolismo, lascia diversi lavori e corsi professionali. Durante la sua esperienza militare, è di stanza per alcuni mesi in Germania Ovest. Secondo alcune fonti, in quel periodo si sono verificati vicino alla sua base cinque omicidi con mutilazione mai risolti, ma è stato impossibile verificare se siano collegati a lui. [3]

Nel 1982 si trasferisce a West Allis a casa della nonna, che lo ama molto e ha piacere ad averlo con sé. Viene arrestato un paio di volte per atti osceni e per ubriachezza molesta, inizia a frequentare le saune per soli uomini. Prova a vivere da solo per un breve periodo nel 1988, finché viene arrestato nell’89 per molestie a un ragazzo di tredici anni, Somsack Sinthasomphone, di origini laotiane. Jeff ha adescato il giovane, lo ha drogato con benzodiazepine e ha tentato di abusare di lui. 

Il padre a quel punto lo costringe a tornare a casa della nonna Kate. è nel seminterrato di questa abitazione che avvengono diverse violenze sessuali su ragazzi narcotizzati e alcuni dei suoi delitti successivi, quelli di Steven Tuomi nel 1987, di James Doxtator e Richard Guerrero nel 1988 e Anthony Sears nel 1989, mentre era attesa del processo per le violenze su Somsack, reato per cui sconterà meno di un anno di prigione. 

La sua vittimologia comprende giovani uomini, principalmente afroamericani, che adesca nelle saune o nei locali gay, di solito chiedendo loro di posare per foto erotiche. In seguito, Dahmer offre loro bevande drogate per stordirli e poi li strangola. Le vittime non sono scelte per motivi di odio razziale, ma per semplice preferenza e opportunità. È un necrofilo, violenta e smembra i cadaveri. 

La nonna si lamenta spesso della puzza che viene dallo scantinato, ma Jeff trova sempre qualche scusa per giustificarla. Un altro episodio allarmante riguarda la scoperta da parte della donna di un bizzarro furto commesso da Jeffrey: dei manichini a figura maschile, nascosti in camera. Jeff non sa giustificare il furto, se non col fatto che gli andava di farlo.

I suoi problemi di alcolismo sono sempre più evidenti, il padre cerca di aiutarlo come può a trovare una direzione nella sua vita e a farlo disintossicare. Jeff riesce a farsi assumere presso la fabbrica di cioccolato Ambrosia, come addetto al miscelatore, e trova un appartamentino a Milwaukee. Il padre, quando lo va a trovare, nota la presenza di un grosso congelatore a pozzetto; il figlio gli dice di averlo comprato per poter acquistare grandi quantità di cibo durante le offerte per poi surgelarlo. Inoltre, la casa ha un sofisticato sistema di sicurezza con telecamere e un lucchetto alla porta della camera da letto, cosa che Jeff giustifica col fatto che la casa sia in un quartiere povero, con problemi di degrado e furti frequenti.

Il massacro continua 

È proprio in questa casa che Jeffrey perde ogni remora. Tra il 1990 e il 1991 Jeff uccide almeno dodici persone, sempre ragazzini o giovani uomini, di solito attirandoli offrendo soldi per il sesso o per delle foto. Aveva iniziato già dal delitto Sears a conservare le teste delle vittime e altre parti del corpo, assecondando il suo malato bisogno di “compagnia”, di avere sempre con sé quei ragazzi che tanto desidera, ma che non è in grado di amare. 

I suoi partner sessuali devono essere ammanettati, incoscienti, immobili, possibilmente morti. È attratto sessualmente dall’aspetto e dal calore delle interiora, verso cui ha una forte parafilia fin da adolescente. Fotografa le sue vittime sia prima che dopo la morte, che di solito avviene per strangolamento, percosse o accoltellamento. Su alcune delle vittime pratica un tentativo di “zombificazione” casalinga, iniziando dal diciannovenne Errol Lindsey: pratica loro un foro nel cranio con un trapano, per poi iniettare degli acidi, nel tentativo di realizzare la sua fantasia più grande, creare schiavi privi di volontà, sempre a sua disposizione, che non possano fuggire da lui. Quasi tutte le vittime sottoposte a questa tortura muoiono in pochi minuti. [4] 

Dopo la morte dei malcapitati, i loro corpi vengono trattati da Dahmer come trattava durante l’infanzia gli animali selvatici: depezzati, scarnificati, conservati in grossi contenitori di plastica blu, nel frigorifero o nel congelatore, le loro ossa sbiancate. Alcune parti vengono cucinate e divorate

Ma com’è possibile che tutti questi uomini scomparsi non abbiano causato indagini a tappeto, il panico nel vicinato? Non è mai stata ipotizzata la presenza di un seriale attivo in città? In realtà no. 

Le vittime sono quasi tutte di origine afroamericana, sudamericana o asiatica, provenienti da famiglie non abbienti, a volte multiproblematiche, hanno alle spalle una vita in quello che in quegli anni viene definito “ambiente gay” o nella prostituzione. Questa vittimologia è sempre stata tra le più svantaggiate per quanto riguarda le indagini o le ricerche in caso di scomparsa e il caso Dahmer non fa che ribadire questa discriminazione. 

Un episodio in particolare mostra come i crimini di Jeff avrebbero potuto essere fermati prima, salvando almeno cinque vite: il 27 maggio 1991 Dahmer adesca presso un centro commerciale Konerak Sinthasomphone, il fratello minore di Somsack, che aveva violentato qualche anno prima. Konerak, che dimostra anche meno dei suoi quattordici anni, segue Jeffrey a casa per posare per alcune fotografie. Viene narcotizzato, spogliato, ammanettato e violentato, ma riesce, sebbene nudo e in stato confusionale, a scappare. 

Quando Dahmer riesce a trovarlo, il ragazzino è in strada a chiedere aiuto a due passanti, due donne che chiamano la polizia. Gli agenti chiedono a Jeffrey cosa stia succedendo. Lui si mostra calmo, lucido e composto, affermando che Konerak è il suo ragazzo e che è maggiorenne. Ha bevuto un po’ troppo e hanno litigato durante un gioco erotico, ma nulla di grave. I poliziotti non si prendono il disturbo di verificare ciò che ha affermato quel ragazzo alto e biondo, liquidano la faccenda come un “affare tra gay” e riconsegnano il piccolo Konerak, nudo e stordito, tra le braccia del suo carnefice, nonostante le proteste delle due donne che lo hanno soccorso. Lo aspetta il terribile destino degli altri: ancora violenze, l’omicidio, lo smembramento. 

I delitti si susseguono fino al 19 luglio 1991. In totale, Dahmer miete diciassette vittime note, di età compresa tra i quattordici e i trentuno anni. 

Una fuga disperata

L’incubo termina la notte del 22 luglio 1991 quando, in modo molto simile a Konerak, Tracy Edwards, un giovane afroamericano nudo, ammanettato e terrorizzato, chiede aiuto a una volante della polizia, dicendo di essere stato aggredito dal Diavolo in persona. Racconta che Jeffrey gli ha detto che gli avrebbe divorato il cuore e che lo ha minacciato con un coltello. I poliziotti suonano a casa Dahmer, Jeff è calmo come sempre e li fa entrare. Gli agenti sentono un fortissimo fetore di carne putrefatta, scoprono polaroid che ritraggono cadaveri e trovano resti umani ovunque: in barili pieni di acido, in frigorifero, nelle pentole, in bagno. 

Jeffrey viene arrestato e non può che confessare i suoi delitti. Sta per diventare uno dei serial killer più famosi di tutti i tempi. Il processo a Dahmer, iniziato il 30 gennaio e terminato il 14 febbraio 1992, serve soltanto per stabilire se il suo futuro sarà in una struttura psichiatrica oppure in un carcere. Jeffrey non mostra alcuna emozione, confessa tutto e si limita ad affermare “mi dispiace” quando gli si chiede delle sue vittime. L’avvocato Gerald Boyle invoca la totale infermità mentale, che non viene riconosciuta.  Dahmer dovrà passare il resto della sua vita in carcere: la condanna è a quindici ergastoli consecutivi. 

Durante la detenzione subisce diverse aggressioni, tra cui un tentato omicidio, ma per molte persone all’esterno diventa un vero e proprio mito: riceve dozzine di lettere, foto e regalini ogni giorno, dai mittenti più disparati. Alcuni suprematisti bianchi gli mandano attestati di stima, per aver ucciso persone nere o ispaniche. Persone che fanno parte di comunità religiose gli scrivono parole di conforto e pregano per la sua redenzione. Ammiratori e ammiratrici cercano un contatto con lui. Altri ancora sono semplicemente uomini e donne con gravi problemi personali, che per qualche motivo desiderano confidare i propri guai a Jeffrey. 

La fama sinistra del “Cannibale di Milwaukee” cresce ogni giorno di più. Il contrasto tra l’atrocità dei suoi crimini e il suo aspetto efebico colpisce molta gente. Alcuni sfruttano il caso per avere notorietà: durante un talk show chiamato Geraldo viene presentata la testimonianza anonima di un uomo che si fa chiamare “Nick” e che racconta di aver avuto una breve relazione con Jeff nel 1985. Tratteggia un Dahmer molto geloso e problematico, afferma che lui gli avrebbe confidato di aver subito abusi sessuali dal padre. Lionel si difende come può da questa accusa senza prove, Jeffrey rilascia un affidavit in cui nega di conoscere “Nick” e di aver mai subito abusi dal padre. [5]

Il 28 novembre 1994 Jeffrey Lionel Dahmer viene ucciso da un altro detenuto, Christopher J. Scarver, un omicida ergastolano, nel Columbia Correctional Institute di Portage, Wisconsin. Si è molto dibattuto su questo delitto: Scarver è un afroamericano, schizofrenico, che presenta deliri a sfondo religioso e razzista. Ha ucciso sia Dahmer che Jesse Anderson, un uxoricida, con una sbarra di metallo durante il turno delle pulizie. I tre sono rimasti inspiegabilmente soli per quasi quaranta minuti, nessuna guardia afferma di aver visto o sentito nulla, motivi per cui si è ipotizzato che alla base dei delitti ci sia stato un piano ordito da più persone. Scarver sarà condannato ad altri due ergastoli.

Anatomia di una mente impenetrabile

Pur non avendo subito abusi infantili diretti come molti seriali, sembra che nel giovane Dahmer ci fossero i segni di un trauma abbandonico, sia per via delle continue assenze del padre che per i problemi mentali della madre, trauma che ha vissuto anche lo stesso Lionel, che racconta di suo padre descrivendolo come buono, ma poco presente, che si limitava a “portare a casa il pane” e con un’espressione dell’affettività piuttosto limitata. Jeff ha inoltre in comune col padre una scarsa capacità di riconoscere e validare le emozioni altrui, caratteristica che in lui diventa una vera e propria indifferenza per il dolore degli altri. Jeffrey ha avuto numerosi problemi infantili e adolescenziali sostanzialmente ignorati o sottovalutati, è stato un bambino abbandonato al suo mondo interiore che giorno per giorno diventava sempre più mostruoso e indecifrabile. 

Una caratteristica che ricorda il seriale inglese Dennis Nilsen [6] è quella di giustificare i delitti con il “bisogno di compagnia”: l’obiettivo di Dahmer era non essere nuovamente abbandonato, non restare da solo, ma non è mai stato in grado di avere normali relazioni sociali o sentimentali, di amare un uomo in modo sano, vedendolo come altro da sé, come essere umano dotato di volontà.

Da qui, i goffi e atroci tentativi di creare degli “zombi” tramite le iniezioni di acido, il desiderio di conservare più possibile le parti delle vittime, fino ad arrivare al cannibalismo a sfondo sessuale e all’androfagia [7]: divorare l’altro è il modo più estremo e totale di possederlo, di farlo diventare letteralmente “parte” di sé. [8]

Al caso Dahmer sono stati dedicati diversi libri, film, fumetti, serie tv e canzoni. È entrato nella cultura popolare americana come il prototipo del serial moderno, come Bundy o Zodiac qualche decennio prima. I suoi crimini hanno scatenato dibattiti su diversi fronti: i movimenti per i diritti delle persone omosessuali e nere hanno sottolineato le gravi mancanze nel lavoro della polizia e l’eccessiva clemenza mostrata dalle autorità per quanto riguarda le condanne per abusi sessuali. In generale, è indubbio che, con indagini più precise e attente, si sarebbero potute salvare molte vite. [9]

Note:

[1] L. Dahmer, A Father’s story, Sperling e Kupfer, Milano 2023.

[2] B. Innes, Serial killer, White star Edizioni, Malta 2015, pp. 384-393.

[3] C. Brondoni, Le case dei serial killer, Clown Bianco Edizioni, Milano 2022. 

[4] L. Dahmer, A Father’s story, Sperling e Kupfer, Milano 2023.

[5] Ibidem, pp. 146-147.

[6] Per approfondire: B. Masters, Killing for company. The case of Dennis Nilsen, Arrow Books, UK      1995. L’Autore si è occupato anche del caso Dahmer.

[7] Parafilia sessuale che riguarda coloro che trovano eccitante divorare persone di sesso maschile.

[8] C. Wilson, D. Seaman, Il libro nero dei serial killer, Newton Compton, Roma 2008.

[9] M. Newton, Il dizionario dei serial killer, Newton Compton, Roma 2005, pp. 70-72. 

Marianna Cuccuru

Laureata in scienze dell' Educazione, studia da molti anni il fenomeno dei serial killer. Ha tenuto lezioni sul tema presso l'università dell'Insubria e per l'associazione Fidapa di Varese.