11 Novembre 2024
Giandujotto scettico

Spiriti e dicerie in una chiesa di Chieri

Giandujotto scettico n° 95 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (26/08/2021)

Chieri ha già dato notevoli soddisfazioni al Giandujotto scettico. Nel 1931 e nel 1956 gli abitanti della cittadina si erano dedicati in centinaia all’inutile caccia di un “fantasma vestito di bianco” in due zone del centro abitato.

Beh, un po’ prima dei fatti del 1931, a meno di due chilometri di distanza, altre notizie e dicerie su eventi misteriosi attraversarono la città.

A metà dicembre del 1928, l’argomento del giorno diventò l’antica chiesa di San Domenico, in pieno centro storico. Secondo una voce sulla bocca di tutti, in quell’edificio c’erano i fantasmi. Al suo interno, infatti, si verificavano fenomeni medianici in apparenza sconcertanti…

Il 17 di quel mese, con un lungo servizio dalla cittadina, La Stampa spiegò che su San Domenico se ne raccontavano davvero di tutti i colori. Il cronista doveva essere abituato al linguaggio della metapsichica del tempo: segnalava le dicerie circolanti, secondo cui c’erano stati asporti di oggetti dal campanile, dagli androni, dal coro e dalla sacrestia. C’erano poi le candele accese che non si riuscivano a spegnere, e i rumori “strani ed insistenti”. Il clima era andato scaldandosi rapidamente:

Il popolino aveva esagerato le voci che correvano, ed andava narrando fantasticherie straordinarie, e correva in massa a vedere “le fiamme sul campanile” ed a sentire “i rumori” in chiesa. Molta gente giurava di aver visto ed udito “spiriti”.

Certo, le riteneva esagerazioni, ma per chi scriveva qualcosa c’era.

Ecco quanto vi è di vero. Qualche giorno fa, verso le 6-8 del mattino, il campanaro della vecchia chiesa di S. Domenico in Chieri, antico tempio quattrocentesco annesso ad un celebre convento di Domenicani, nel suonare le nuove campane… si accorgeva che nel tirare le corde, cadevano su di lui e sul pavimento dei calcinacci: non vi fece caso. Ma sia in tal giorno che in altri, al mattino o alla sera verso l’Avemaria, il fatto si ripeté ed alloro cominciò ad impensierirsi.

Dunque, una prima fase di apprensione “normale”, a quanto pare. Un inizio in sordina, e anche abbastanza banale: cadute di calcinacci all’interno di una torre campanaria antica mentre si tiravano le corde. Furono fatti dei controlli sia nelle scale, sia nel recinto delle campane, ma non si notò niente di anomalo.

L’escalation dei fenomeni giunse qualche giorno dopo. Nel coro e in sacrestia, più o meno sempre alle stesse ore, si ebbe la rottura di ampolle per la messa, l’apporto (la comparsa, in termini comuni) di un bullone (!), mentre una stola violacea da un confessionale veniva “trasportata” (non è chiaro cosa si voleva descrivere, col termine) da un confessionale sino in sacrestia.

In un crescendo di fenomeni, da quelli “banali” (la caduta dei calcinacci) a quelli più “mirati” (gli spostamenti di paramenti ed arredi sacri, l’ambigua presenza di un bullone), si passò alla terza fase: l’interferenza diretta con il sacro.

…un’ampolla passò accanto a un padre inginocchiato celebrante la Messa, e si infranse, malgrado che cadesse lentamente, come se fosse stata una piuma… Anche un cero fu visto acceso in un luogo in cui ceri non ve ne esistevano. Mentre si benedicevano i luoghi ove i fenomeni medianici si verificano, si vide un messale aprirsi alle pagine ove sono contenute le formule della consacrazione.

Dopo lo svolgimento di questa cerimonia “propiziatoria”, però – giunti ormai al culmine della tensione narrativa – secondo l’articolista “non si sarebbero più verificati fatti spiritici”.

I Carabinieri, dal canto loro, fecero dei sopralluoghi ma, come quasi sempre in queste storie, in loro presenza non si mosse nulla. I curiosi effettuarono qualche giro in chiesa, alcuni “armati di randello”, fiduciosi che lo spirito non fosse in grado di schivarlo. I religiosi, dal canto loro, rimanevano tranquilli. Su una cosa, però il cronista si diceva sicuro: non potevano essere scherzi di qualche burlone, “visto l’ambiente in cui si verificano”. Beata fiducia…

A fronte delle cronache giornalistiche, il priore del convento cercò di abbassare un po’ i toni. Al di là degli inviti alla prudenza, si potrebbe intuire che non fosse fra i più convinti della presenza “spiritica”. Così scrisse alla stampa locale in un comunicato:

Già da qualche giorno si è diffusa fra la popolazione chierese la voce di fatti straordinari avvenuti nella chiesa di S. Domenico. Ci teniamo a dichiarare che, come sempre capita in simili casi, le fantasie fervide hanno molto esagerato ed anche radicalmente creato molti fatti insussistenti, di guisa che è affatto ingiustificata l’apprensione popolare che si è prodotta.

Due giorni dopo, il 19 dicembre, nuova e ancora più interessante corrispondenza – sempre su La Stampa.

Lo scorcio offerto dal cronista diventava più originale. Per lui a Chieri c’erano due tipi di spiriti: quelli “autentici”, che si davano da fare nella chiesa (e gli sembravano poco interessanti, visto che le case infestate erano una cosa quasi scontata “in certe circostanze ambientali”); e poi

Gli spiriti n. 2, invece, quelli creati dalla fantasia del popolo, sono i più interessanti e i più divertenti. In questa occasione, il popolino si è dimostrato di una tale potenzialità immaginativa che vale la pena d’interessarsene e di segnalare quali e quanti fenomeno siano avvenuti secondo le dicerie…

Dopo aver sentito la notizia, la sera di mercoledì 12 dicembre, la folla si era infatti riversata nella piazza davanti a San Domenico, e poi nella chiesa stessa. Qui aveva sostato per ore, in attesa di quei fenomeni che tardavano a verificarsi. Poi tutti si erano incamminati verso casa e, stando all’articolo, era lì che molti avevano cominciato a scambiarsi aneddoti e a riempire, chiacchierando in maniera rumorosa, i vuoti di quella storia. Anche perché

ognuno aveva la sua storiella da raccontare, asserendo, tra l’altro, di esser stato presente e di aver veduto.

Per l’ignoto autore le “storielle” che passavano di bocca in bocca erano almeno tre, e a due di queste era assegnato anche un titolo, a rafforzarne il carattere letterario.

L’avventura del sagrestano
Il sacrestano della chiesa di San Domenico, nella mattina, prima dell’alba, scopava tranquillamente… quando sentì il berretto, che gli copriva la calvizie, volarsene via. Egli, giustamente impressionato, rimase lì, senza fiato, a guardare il suo berretto che descriveva in aria graziosi volteggi. Quando il berretto fu soddisfatto del suo volo di esplorazione, ritornò verso il legittimo proprietario, ma, anziché posarsi donde era partito, si appoggiò sul manico della scopa che il sacrestano teneva fra le mani…

Ma le sue sventure non finirono così. Poco dopo, egli si recò a suonare le campane e rimase sorpreso nel constatare che le funi si erano ingrossate straordinariamente. Anzi – secondo i bene informati – quando il sacrestano oltrepassò la porticina che accede al campanile, vide le campane che pacificamente salivano su per le scale e riprendevano il loro posto.

All’avventura del sagrestano facevano eco altri raccontini, stavolta dal contenuto direttamente umoristico. La loro funzione, è ragionevole azzardare, era quella di esercitare il gossip su alcuni concittadini.

Un buon vecchio, convinto come gli altri di poter vedere gli spiriti, si era recato, la sera, nei pressi della chiesa, in un luogo piuttosto oscuro, e lì aveva atteso le rivelazioni. Mentre era assorto, col naso in aria, a contemplare la sagoma svelta del campanile, egli fu colpito… da un fenomeno piuttosto doloroso, che, a dirla schietta, aveva tutta l’apparenza d’un calcio alla schiena. In realtà alcuni giovanotti di buon umore gli si erano avvicinati alle spalle ed uno di essi, col ginocchio, l’aveva colpito. Il buon uomo restò alquanto male per quella manifestazioni spiritica, ma non osò voltarsi, e quando lo fece, non vide nessuno. Egli si allontanò di là in fretta e corse a raccontare agli amici e ai conoscenti che gli spiriti l’avevano preso a calci.

Si noti il controllo totale sulla narrazione esercitato dall’autore dell’articolo. Il vecchio si prende la pedata, non capisce chi si sia stato, l’attribuisce stolidamente agli spiriti, ma chi scrive non ci dice come sappia che si era trattato di uno scherzo. Proprio perché crede che nella chiesa i fenomeni medianici ci siano davvero, può arrogarsi il potere di discriminare fittiziamente fra le “dicerie” e i “veri” eventi misteriosi. Sotto un altro titolo, ecco infine altri due aneddoti-barzelletta:

Il treno perduto
Altro episodio fornito dalla voce pubblica: una fornaia, che ha il negozio nei pressi della chiesa, aveva messo in vendita due dozzine di panini ben caldi. Un’ora dopo ebbe la sorpresa di ritrovarne uno solo. Naturalmente, anch’essa dopo una sommaria indagine sulla scomparsa dei ventitré panini, concluse che gli… spiriti avevano fame, e non pensò nemmeno a denunciare il fatto ai carabinieri.

Una signora ha raccontato che la mattina, alle 5, era partita di casa per recarsi alla stazione e prendere il treno per Torino, ma impressionata da tutto ciò che sentiva dire a proposito di spiriti, invece di fare il percorso più breve, che la costringeva a passare davanti alla chiesa, essendo ancora buio, credette fosse più prudente allungare il cammino di dieci minuti e giunse così alla stazione senza aver trovato gli spiriti. Ma non trovò nemmeno il treno, che era già partito.

Come sottolineato, il cronista doveva essere ben disposto verso la metapsichica. Dopo queste “esagerazioni non degli spiriti, ma dei begli spiriti e degli ignoranti”, dedicava infatti la seconda parte del suo articolo del 19 dicembre a un’intervista fatta a un medium nel suo studio torinese. L’esperto in questione era il “professor Berio”, che in quegli anni, stando agli annunci che comparivano a scadenza regolare su La Stampa, riceveva il pubblico in via Ormea 14, in pieno centro cittadino.

Inutile dire che il professore garantiva sulla realtà dei fenomeni paranormali. Anche per lui, non potevano esserci altre spiegazioni. La possibilità che nell’ambito di una comunità religiosa ci fosse chi, per motivi imprecisati, mettesse in atto qualche spettacolino (sia pure infinitamente più modesto di quanto le voci collettive raccontavano) non era semplicemente contemplata.

Una simile possibilità non sfuggirà invece, vent’anni dopo, agli assai più smaliziati frati del convento francescano di San Bernardino, nel quartiere torinese di Borgo San Paolo.

Quando fra le camere dei religiosi, ai primi di marzo del 1948, cominceranno a ripetersi fatterelli da poltergeist e la voce dilagherà in città, il cronista di Stampa Sera si precipiterà sul posto. E qui non troverà nessuna difficoltà a farsi raccontare dal padre guardiano, che lo accompagnava per tutto l’edificio, che cosa c’era dietro alle unghiate sulle porte, alle corse misteriose in soffitta e alla corrente tolta misteriosamente.

– E come spiegate questo caso?
Non c’è bisogno di spiegazioni, non sono spiriti, non sono ladri. Forse è qualche mattacchione. Anzi, abbiamo dei forti dubbi….
Ma dev’essere qualcuno dall’interno, allora.
Certo, qualcuno dall’interno.
Un laico?
No, da escludere completamente.
Un frate? Siete solo una trentina…
Se è un frate certo è impazzito. Ad ogni modo ora ci sorveglieremo. E se riuscissimo a sorprenderlo… povero spirito!

Il che mostra come, a volte, un religioso cattolico poteva essere assai più smaliziato e pessimista di due cinici giornalisti di cronaca – abituati a sentirne di tutti i colori, fra le due guerre mondiali e il fascismo.

Immagine: Chieri, chiesa di San Domenico (xilografia), 1895, da Wikimedia Commons, pubblico dominio