29 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Piemonte, 1891: la luce e il terremoto

Giandujotto scettico n° 79 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (31/12/2020)

Cumiana, paesino delle colline del Pinerolese, notte di martedì 20 gennaio 1891. Accade qualcosa di strano, che spaventa e suscita un vespaio di ipotesi. Il mattino dopo, un corrispondente locale della Gazzetta Piemontese (la futura Stampa) scrive alla redazione del giornale. La cronaca di quell’avvistamento verrà pubblicata nella prima edizione disponibile, al mattino del 22:

Una strana meteora. – Ieri sera e questa mattina i giornali di Torino andavano a ruba pel grande desiderio di conoscere la causa del fenomeno incomprensibile di ieri mattina. Ieri, verso le 3 e ¾ di notte, una luce rossastra vivissima, come un gran lampo, precedette un rimbombo simile, più che al tuono, ad un boato o a una cupa detonazione di vulcano.

Molti si alzarono e discesero nelle strade, temendo che gli ignoti avessero scassinato le porte; altri si rannicchiarono tremanti sotto le lenzuola, ed altri ancora temettero che si trattasse di uno scoppio di dinamite alla fabbrica di Avigliana. Insomma, le ipotesi furono molte, ma tutte più o meno fantastiche, e la curiosità di avere una spiegazione del fatto è ancora oggi grandissima. Una donna che nell’ora in cui successe il fenomeno era già alzata disse che la luce fu così viva che nella sua camera avrebbe potuto trovare sul pavimento un ago perduto.

Lo spavento notturno fu grande, e incontenibili le voci circolanti: si parò di ladri che avevano sfondato una porta, o di un incidente al grande dinamitificio Nobel della vicina Avigliana, all’imbocco della Val Susa….

Le difficoltà di impaginazione dei giornali con le matrici di piombo sovente facevano sì che notizie e notiziole su uno stesso evento non fossero raggruppate a perfezione. Occorre andare a cercarle lungo le colonne, con una modalità di lettura del tutto differente rispetto a quella della stampa cartacea odierna. E, infatti, anche nel nostro caso, scorrendo la stessa pagina, incontriamo un curioso, minuscolo trafiletto:

Borgosesia – (nostre lettere, 20 gennaio). (Orro) – Terremoto. Stanotte verso le 5 si è sentita una scossa di terremoto in senso ondulatorio che durò pochi secondi.

Lo stesso giorno, il 22, L’Eco dell’Industria di Biella accennò all’episodio negli stessi termini, aggiundendo soltanto che la scossa era stata leggerissima.

Solo una notiziola: una scossetta sismica, segnalata dal corrispondente locale del quotidiano di Torino e, in due righe, da un settimanale. Fra l’altro, gli orari non concordavano: alle 5 di mattina la scossa, alle 03.45 la “luce” di Cumiana…

Far luce sui presunti “fenomeni inspiegabili” del passato significa prima di tutto una cosa: recuperare il maggior numero di fonti possibili e non dare troppo ascolto ai toni sorpresi e allettanti delle prime descrizioni. Dunque, rimaniamo anche noi gelidi come stoccafissi e continuiamo a impolverarci coi giornali piemontesi del 1891. Lo stesso giorno in cui uscivano queste notizie su Gazzetta Piemontese, cioè il 22 gennaio, qualcosa di molto simile era accaduto nel Monregalese. La Gazzetta di Mondovì così informava, dopo una lista di sismi provenienti da tutte le parti del mondo:

Terremoto – […] Vi sono persone che assicurano essersene manifestata una anche a Mondovì dalle 3 ½ alle 4 ora antimeridiana di ieri. Confessiamo di non essercene accorti, forse perché immersi nel sonno. Ad ogni modo se ci fu il terremoto nella nostra città, danni non pare che se ne siano prodotti.

Mumble mumble… Lieve scossa, orario compatibile, ma, almeno in apparenza, un giorno dopo il boato di Cumiana (e senza boato e senza luce, come invece raccontato dal Torinese). Erano due terremoti diversi? E la luce così forte da illuminare tutto, che c’entrava? Perché, insieme, una luce diffusa e una presunta scossa sismica?

La svolta si ebbe solo il 23, grazie alle numerose lettere giunte a Gazzetta Piemontese nel corso del giorno 22. Sotto il titolo Le considerazioni del pubblico sulla meteora dell’altra notte, figurava un gruppo di tre lettere che, messe insieme, rendevano chiaro a sufficienza ciò che era successo (ma lo facevano portando con un certo senso di superiorità, come se la grande città fosse maggiormente in grado di valutare gli eventi e i fatti della scienza, rispetto alla provincia).

Giuseppe Balbi, ad esempio, si lamentava che il corrispondente da Cumiana non avesse saputo interpretare al meglio il fenomeno. Lui era sveglio, alle 03.35 del 20, e aveva visto il gran lampo rossastro penetrare attraverso le imposte socchiuse di una finestra che dava su corso Ponte Mosca (oggi corso Giulio Cesare). Poco dopo, aveva udito un rumore “come di due colpi d’artiglieria, a pochi secondi d’intervallo”. Il giorno seguente, incuriosito, aveva raccolto una ventina di testimonianze analoghe, tra quelli che passeggiavano sotto i portici di piazza Castello e sulle vie adiacenti. Per lui non c’era dubbio: si era trattato di un bolide, a suo avviso caduto presso Cumiana (ignaro com’era che il fenomeno era stato visto in molti altri posti).

Giulia Vari, fra le 03.45 e le 4 dello stesso giorno, aveva visto una luce bianchissima, poi diventata verde e rossa, come l’arcobaleno, illuminare a giorno la sua stanza, sempre a Torino. Alle 03.30 (leggere discrepanze sugli orari sono normali, quando si raccolgono testimonianze occasionali), un certo R. E. aveva visto la meteora per tre secondi, intensissima, illuminare l’intera città, diventando da bianca rossa e verde. Si trovava in piazza San Martino 3 (ora è piazza XVIII dicembre), e non aveva sentito nessun “rombo”.

I toni delle missive erano colti, perentori. Ad aggiungere il peso della sua valutazione, nella stessa pagina interveniva anche uno dei maggiori studiosi italiani di meteore del tempo, il sacerdote, meteorologo e fisico Francesco Denza (1834-1894), che dirigeva l’Osservatorio meteorologico di Moncalieri (a quel tempo assai importante, raccoglieva anche dati sismologici oltre a quelli meteo).

Beh, la cosa curiosa sta nel fatto che Denza ignorava completamente l’evidenza disponibile sul fenomeno che quasi certamente era stato all’origine di tutto – la frammentazione di un grosso bolide sui cieli del Piemonte occidentale – per concentrarsi su uno dei suoi effetti più vistosi, ossia il lieve terremoto avvertito un po’ in tutta la regione: aveva ricevuto notizie a riguardo dagli osservatori di Domodossola, Piedimulera, Oropa, Varallo Sesia, Varzo (Verbania), Pollone (Biella) e Aosta.

L’orario registrato dai sismografi variava leggermente (gli apparati probabilmente non erano tarati al meglio), ma in sostanza il fenomeno doveva essersi manifestato un po’ prima delle 03.45. Questi erano i dati provenienti dalle macchine – le casuali osservazioni celesti, che in questa occasione sarebbero state determinanti, non venivano considerate.

Nei giorni successivi, proprio da quella provincia piemontese un po’ snobbata dalla capitale regionale, giunsero invece notizie decisamente chiare.

Il 25 gennaio, da Bra, L’Eco della Zizzola spiegava che in città, alle 3.45, parecchi avevano visto il cielo in direzione ovest illuminarsi di rosso, tanto che alcuni se ne erano accorti anche dall’interno delle abitazioni. Dopo un po’ seguirono due colpi secchi, e i vetri delle case tremarono: lo spostamento d’aria aveva provocato i microsismi che avevano fatto muovere i pennini di parecchi sismografi. Le voci che correvano erano analoghe a quelle di Cumiana: esplosione del Regio Polverificio di Fossano, tuoni molto intensi, eccetera. Ma il redattore fu chiaro: doveva essersi trattato di una meteora. Un po’ più incerta la Gazzetta di Fossano: la descrizione giunta era simile a quelle già viste, ossia un lampo seguito da boato, ma l’ipotesi era inadeguata: “forse un temporale fuori stagione”.

Eppure, per i problemi di coordinamento tipografico che abbiamo già menzionato, appena una pagina dopo Giovanni Ballatore, insegnante del posto e dal 1880 responsabile della locale stazioncina meteo, raccontava una storia molto diversa: “l’intenso chiarore” era stato visto intorno alle 3 e 40, seguito “da due formidabili detonazioni, vicinissime, e più intense delle cannonate” (per inciso: i due botti sono tipici della rottura della barriera del suono). Non poteva che essere “l’effetto della caduta di un bolide”.

Dall’altro giornale cittadino, La Gazzetta di Fossano (25 gennaio) apprendiamo che Ballatore aveva anche un sismografo, aveva registrato la scossa, ma a suo parere i due eventi erano indipendenti l’uno dall’altro: il piccolo sisma era avvenuto dopo. La Gazzetta di Racconigi, dal canto suo, asseriva invece che anche lì da loro si era pensato alla polveriera di Fossano. Solo il 28 gennaio, proprio in chiusura di questa vicenda, Francesco Denza ritornò sui suoi passi scrivendone ancora su Gazzetta Piemontese: abbandonata l’ipotesi del terremoto, attribuì a un bolide gli eventi di quella notte.

Come altre volte, più che riferirvi ogni particolare delle narrazioni, vi raccontiamo cosa si può fare quando ci si imbatte in storie come questa. Come abbiamo già detto, recuperare il maggior numero di fonti possibile è indispensabile. Senza fonti non esiste storia, e senza storia è difficile ipotizzare una spiegazione. Le fonti, però, vanno coordinate fra loro in modo corretto: se si usano bene, aiuteranno a far luce sulla faccenda; se si usano male, si può al massimo restare a bocca aperta ed occhi sgranati – ma nel buio. E’ quindi indispensabile capire quali siano le più affidabili per ricostruire il fenomeno.

Prendiamo il caso del bolide piemontese di centotrent’anni fa. Di fonti ne abbiamo trovate un buon numero, ma di sicuro altre ci mancano. Alcune, se lette al di fuori dal contesto, avrebbero potuto sviarci: ad esempio, avremmo potuto pensare che la luce e il sisma fossero dovuti a due cause diverse, oppure – anche peggio – che il terremoto fosse la causa del fenomeno luminoso (un’inversione del rapporto causa-effetto assolutamente non necessaria).

Questa ipotesi è stata abbastanza popolare, per un certo periodo, fra gli ufologi di orientamento razionale. Persa la fiducia che le testimonianze di fenomeni aerei insoliti fossero dovute a un’intelligenza extraterrestre, cercarono ospitalità ai margini di discipline scientifiche come la geofisica. Si appassionarono dunque alla possibilità che almeno alcuni degli avvistamenti UFO potessero esser dovuti a fenomeni luminosi la cui stessa esistenza, però, rimane tuttora assai controversa, nell’ambito delle scienze della terra.

Si tratta delle cosiddette luci sismiche (Earthquake Lights, EQL), fenomeni che, per meccanismi nient’affatto chiariti malgrado una miriade di ipotesi, si verificherebbero non solo in coincidenza con le scosse, ma a volte anche prima di esse (precursori sismici). Nel caso del nostro fenomeno piemontese, comunque, non c’è bisogno di questa ipotesi.

Usando le fonti in maniera rigorosa, la spiegazione più plausibile è un’altra: nella notte del 20 gennaio 1891, verso le 3 e 45 del mattino, sul cielo del Piemonte esplose e si frammentò un bolide di notevole dimensioni. L’onda d’urto prodotta dallo scoppio fu forte a sufficienza da mettere in moto i pennini dei sismografi di stazioni più o meno amatoriali, strumenti tanto diffusi quanto imprecisi (il sismografo elettromagnetico, inventato dal fisico Matteo Palmieri, stava solo allora sostituendo quelli a pendoli orizzontali, basati su molle).

Il fascino per le “luci misteriose” colpì anche studiosi dichiaratamente scettici sugli UFO, come l’ex-ufologo belga Marc Hallet (diventato poi un critico spietato della disciplina che aveva coltivato per lunghi anni). Nel 1994 Hallet pubblicò un libretto intitolato Lueurs géophysiques: fra i possibili fenomeni di luce sismica, era menzionato pure il bolide piemontese del 1891. Invocando meccanismi geofisici non ancora accertati per spiegare una serie di casi UFO, Hallet pensava di fare un servizio alla ragione e allo scetticismo. Purtroppo per lui, e un po’ anche per noi, l’evidenza di cui disponiamo ci dice un’altra cosa: le EQL – ammesso che esistano – con il nostro fenomeno piemontese non c’entravano affatto.

Anche in questo caso, val sempre la pena di ricordare l’imperativo categorico di Hyman, che è uno dei principi cardine dell’approccio scettico ai fenomeni “misteriosi”: Non cercare di spiegare qualcosa finché non sei sicuro che questo qualcosa esiste. Prima di fare ipotesi sulla natura delle luci sismiche, bisognerebbe accertarsi che una luce sismica sia stata davvero comprovata – e non è certo questo il caso.

Foto di Phil Botha da Unsplash