1 Maggio 2024
Giandujotto scettico

Il principe e gli spiriti devastatori di corso Valdocco a Torino

Giandujotto scettico n°71 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (10/09/2020)

Erano passati neanche sei mesi da quando Cesare Lombroso aveva ispezionato il più celebre dei negozi “infestati”, lo spaccio di vini e liquori di via Bava 6, e di nuovo gli spiriti tornavano trionfanti sulle cronache dei giornali torinesi. Il primo a parlare del nuovo, emozionante caso fu La Stampa del 10 maggio 1901. In una soffitta in corso Valdocco 4 composta da due stanze una famiglia era tormentata dagli spiriti.

Tutto sembrava essere iniziato appena il giorno prima. Verso le 17, diversi piccoli mobili avevano cominciato a spostarsi, seguiti dagli utensili di cucina e da alcune suppellettili cadute rovinosamente a terra. La famiglia che abitava l’appartamento era corsa a chiedere aiuto prima ai vicini e poi alla sezione Moncenisio di Pubblica Sicurezza, che per coincidenza aveva la sua stazione sul lato opposto dello stesso stabile.

Un agente era quindi salito nell’alloggio infestato, aveva constatato il disordine e, alla presenza di altri testimoni (i membri della famiglia e alcuni vicini), aveva visto un ferro da stiro precipitare a terra da una mensola del caminetto. Poco dopo la stessa sorte era toccata a un recipiente colmo di latte.

Gli abitanti del palazzo erano rimasti enormemente impressionati. Qualcuno si chiedeva se le fondamenta dell’edificio fossero solide, ma l’interpretazione più gettonata era, ancora una volta, quella degli spiriti. La voce si era sparsa come un fulmine e sul posto avevano cominciato ad affluire sul posto curiosi provenienti da tutta Torino.

La famiglia, presi armi e bagagli, aveva preferito dormire altrove, forse in un albergo o presso parenti.

Lo stesso giorno, il quotidiano concorrente de La Stampa, La Gazzetta del Popolo, spiegava che la guardia testimone dei fenomeni aveva avvisato telefonicamente la Questura, ma che quando un altro agente inviato era arrivato sul posto, la famiglia si era già allontanata. Le chiavi dell’appartamento però erano presso il portinaio, in modo che potesse aprire ad eventuali visitatori e studiosi che avessero voluto esaminare la maison hantée, come allora si diceva. E dunque, il giorno successivo, 11 maggio, sia La Stampa sia Gazzetta del Popolo potevano fornire ai lettori un resoconto più completo della situazione.

I cronisti dei due quotidiani si erano uniti al flusso dei curiosi che desideravano “toccare con mano” lì dove gli spiriti si erano manifestati. I due avevano chiacchierato con il portiere, interrogato i vicini e raccolto le voci che correvano sul misterioso caso, non si sa quanto amplificate dal passaparola. Nel caso de La Stampa si era anche provveduto anche a correggere il cognome dei protagonisti, in prima battuta riportati in modo errato, e a localizzare meglio il punto dell’episodio.

I fatti erano accaduti in un appartamento al terzo piano del palazzo di via Quartieri 5, comunicante con quello di corso Valdocco 6, dove aveva sede la stazione di polizia Moncenisio (l’edificio ha grandi dimensioni, ed è caratterizzato da porte e corridoi che sbucano su vari lati e su strade diverse). L’alloggio era composto da due stanze, di cui la prima divisa da un tramezzo e adibita a cucina e camera da letto per i bambini, la seconda a camera per gli adulti. Il capofamiglia, Giovenale Menardi, aveva una bottega di parrucchiere e viveva lì con la moglie Lidia, nativa di Dronero (Cuneo), e quattro figli, rispettivamente di 11-12 anni, 7 e 3 anni, mentre l’ultimo aveva appena sei mesi.

All’arrivo dei cronisti, comunque, nessun membro della famiglia Menardi era presente: la donna aveva portato i tre bambini più grandi da una sorella che abitava nel quartiere Vanchiglia, mentre il padre stava lavorando. Il bimbo più piccolo era stato affidato a una vicina.

L’alloggio sembrava un campo di battaglia. Sul pavimento erano cosparsi cocci di stoviglie e bottiglie spezzate. Il cronista de La Stampa aveva quindi interrogato una vicina che si trovava in casai Menardi quando i fenomeni erano iniziati. Raccontava costei:

Mi trovavo in casa, seduta là vicino alla finestra. Ero intenta a cucire. In casa si trovava pure la prima figlia dei Menardi, la Vigia, e gli altri piccini. La madre era uscita per recarsi a comprare del latte. Ad un tratto, erano forse le 16 e mezzo, vidi il tavolino a due gambe rovesciarsi per terra. Credetti a tutta prima che l’avesse gettato il vento; perciò lo rimisi in piedi e mi rimisi al lavoro. Un minuto dopo ecco che la tavola si rovescia di nuovo, ed io di nuovo la rimisi in piedi.

La cosa si ripeté ancora, di modo che io, impazientita, ma credendo sempre che si trattasse di una corrente d’aria, portai la tavola in un altro angolo. E infatti non cadde più. Senonché, pochi istanti dopo, con mio immenso stupore, odo cadere un vaso di porcellana che si trovava sulla mensola del caminetto. Il vaso andò in frantumi.

Mi alzai tosto per vedere, ma in quel mentre vedo una bottiglia saltare giù e rompersi anch’essa. Presi allora tutto quanto di fragile si trovava sulla mensola e lo misi sulla tavola grande, che si trova in mezzo alla camera. Credevo con ciò che fosse finita; ma no, ché i bicchieri, bottiglie, vasetti ecc., si misero a saltare uno dopo l’altro per terra. Non sapendo più che cosa dirmene di questo mistero, dissi alla Vigia: “Va’ subit ‘n contra toa mare e disje d’ vni a ca subit subit”. (Vai subito incontro a tua madre e dille di venire a casa subito subito, N.d.R.).

La Menardi sopraggiunse un momento dopo, ma non ebbe bisogno di spiegazioni, poiché appena entrata vide cadere per terra lo svegliarino e il tavolino da notte. Fu allora che, spaventata, si mise a gridare e che accorsero, fra altri, il portiere Schiappa Adolfo e la guardia di Pubblica sicurezza Andreis.

I due confermavano di aver visto una tazza di latte cadere e spezzarsi in due, un tavolo muoversi, un secchiello pieno d’acqua rovesciarsi e una dozzina di tazze andare in frantumi. Inoltre, mentre l’agente Andreis passava attraverso la porta del tramezzo, un ferro da stiro che si trovava su una mensola aveva attraversato la stanza ed era andato a schiantarsi a terra. I presenti avevano poi assistito al capovolgimento di una pentola con la minestra per la cena dal caminetto in cui si trovava in un canestro in cui era conservato il carbone.

Fu a questo punto che la Menardi andò a chiamare il marito e un prete. Quest’ultimo era il vice-curato della vicina chiesa del Carmine. Di fronte alla richiesta della donna era accorso e aveva benedetto le camere mentre tutti i presenti in ginocchio rispondevano alle orazioni. Qualche vicino pare avesse portato anche un ramo di ulivo. Alla fine delle preghiere il sacerdote fece versare dell’acqua benedetta in un bicchiere che posò sul tavolo di fianco a una figurina in gesso della Madonna.

Ma qualcosa non dovette funzionare nel verso giusto: statuetta e bicchiere caddero entrambi a terra, rompendosi. Secondo La Gazzetta del Popolo a questa prima benedizione ne sarebbe seguita un’altra, amministrata da due preti la mattina seguente. Una vicina riferiva che anche in questa occasione si sarebbe prodotta la rottura di un piatto. La gente parlava ormai apertamente di spiriti maligni, diavoli, folletti…

I fenomeni erano continuati anche al rientro del capofamiglia, tanto che alla fine non era rimasto più alcun oggetto di vetro intatto, con l’esclusione di uno specchio e di una bottiglia di vetro bianco. I Menardi, spaventati, avevano deciso di passare la notte da un parente. Alcuni vicini riferirono di aver udito, quella stessa notte, rumori strani, anche se non erano sicuri di poter dire che provenissero dall’alloggio vuoto.

Il 12 maggio La Gazzetta del Popolo proseguì con zelo a occuparsi della vicenda. Dopo quella prima notte passata altrove, Giovenale Menardi aveva deciso di trascorrere la seconda sera nella casa infestata in compagnia di un cognato e di un amico di famiglia. La moglie e i figli, invece, avevano continuato a dormire dai parenti.

Quella notte, con il padrone di casa e i suoi presenti sarebbe accaduto di nuovo qualcosa di strano: la candela continuava a spegnersi come se un soffio invisibile desiderasse far piombare l’alloggio nell’oscurità più totale. L’amico di famiglia aveva quindi optato per andarsene, mentre gli altri due erano rimasti sul posto fino alle 2,30 di notte. Esaurita la scorta di fiammiferi, anche loro però avevano abbandonato il campo.

Al diffondersi delle notizie sui fatti di corso Valdocco, un non meglio precisato gruppo di studiosi dell’occulto aveva annunciato l’intenzione di chiudersi nell’alloggio per verificare la presenza dei fenomeni e per improvvisare, forse, una seduta spiritica. Non ci è dato sapere se il proposito fosse stato poi messo in pratica. Nel frattempo, comunque, il caso era diventato l’argomento principale di discussione fra i torinesi e, ovviamente, ancor più nel caseggiato e nei dintorni. I Menardi apparivano sempre più scossi. Raccontava La Stampa dell’11 maggio:

La povera famiglia Menardi è in uno stato veramente pietoso. La madre – una donna assai prospera e robusta – è accasciata e piange continuamente; i bambini, e specialmente la primogenita, sono impressionatissimi. I genitori, visto lo stato della bimba, hanno deciso di mandarla a Dronero presso alcuni loro parenti.

La notizia aveva anche valicato i confini regionali ed era finita sul Corriere della Sera del 13 maggio.

Ecco però un particolare che sc sembra degno di nota: La Gazzetta del Popolo raccontava che i fenomeni – spegnimento della candela a parte – si erano prodotti soltanto in presenza della figlia più grande, quella che la vicina chiamava la Vigia, ma che doveva chiamarsi, in realtà, Maddalena. La ragazza appariva particolarmente turbata dall’accaduto, anche perché in molti sembravano propensi ad attribuirle facoltà medianiche:

La piccola Maddalena, a cui gli ignoranti e gli studiosi del mondo occulto, gli uni e gli altri, naturalmente, secondo un punto di vista ben diverso e speciale, sembrano concordare nell’attribuire un particolare influsso determinativo nell’avverarsi dei fenomeni, non risulta che sia di temperamento anormale, né morbosamente nervoso, né psicopatico.

Il 12 maggio anche La Stampa riprese la questione: un cronista si era recato di nuovo sul posto e aveva interrogato il portiere, Adolfo Schiappa, che però non aveva nulla di nuovo da segnalare. La famiglia Menardi non era tornata nel caseggiato e dalla loro partenza non era più accaduto alcun fenomeno strano. I curiosi però continuavano a visitare il palazzo, e tra questi aveva fatto capolino anche un membro di casa Savoia, ramo Aosta, che vedete nell’immagine in evidenza. Si trattava di Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi (1873-1933), uomo curioso e dagli interessi multiformi, che l’anno prima aveva concluso una spedizione al Polo Nord, raggiungendo la latitudine settentrionale più elevata per l’epoca.

Il duca degli Abruzzi aveva osservato i luoghi, si era trattenuto per una decina di minuti e aveva interrogato in dettaglio i presenti, soprattutto i testimoni oculari. Anche il Corriere della Sera il 15 maggio 1901 riferì l’augusta visita e lo stesso fece la francese Revue des études psychiques nel suo numero di aprile-maggio 1901. Anzi, quest’ultima ne approfittava per elogiare Luigi Amedeo per il suo interesse circa i fenomeni metapsichici:

S.A. il duca degli Abruzzi, per l’iniziativa che ha preso non ha dato soltanto prova di coraggio morale e di curiosità intelligente. Ha provato una volta di più il suo attaccamento alla scienza, a quella scienza che l’ha condotto fino alla sommità del monte St. Elias e in mezzo ai ghiacci del Polo artico. Va dunque a suo onore l’aver mostrato interesse per questi fenomeni, mentre la maggior parte dei sapienti credono di potersene dispensare, per una strana cecità che fa loro considerare lo studio di un insetto, di una formula chimica o di un’eclissi lunare, infinitamente al di sopra dei più alti problemi che pone l’intelligenza umana.

Poi sul caso di corso Valdocco tutto tacque. Con l’esodo della famiglia i fenomeni cessarono e a poco a poco anche i curiosi smisero di interessarsi all’edificio. Non sappiamo se i Menardi riuscirono a rientrare nella propria abitazione e quando. Dunque, ci è impossibile capire cosa sia successo in quella soffitta, se qualcuno mentisse o se i fenomeni fossero inscenati da qualcuno. Quel che si può fare con maggior costrutto, piuttosto, è ricostruire il dibattito che il caso generò.

Il 14 maggio 1901, infatti, La Stampa aveva accomunato le manifestazioni di corso Valdocco a quelle di via Bava, sulle quali si era speso Lombroso. Proprio in quegli stessi giorni era stato pubblicato a Parigi un opuscolo di 25 pagine su quell’episodio ad opera di colui che veniva definito un “intelligente e appassionato cultore di studi psichici”, il chimico dottor Livio Silva (Phénomènes spirites de Turin, rue Bava). Lo studioso aveva raccolto diverse testimonianze sui fenomeni avvenuti l’anno precedente, comprese quelle di Lombroso. Il quotidiano torinese ne riportava uno stralcio:

Quanto alla causa misteriosa di questi fenomeni, confesso che, benché io non abbia avuto alcun motivo di spaventarmene, ho provato sempre in loro presenza un certo sentimento di stupore e di timore, che non so a che cosa attribuire se non a questo: che la causa di questi fatti era intelligente e si ribellava a ogni volontà.

E dunque, forse anche nel caso degli spiriti di corso Valdocco doveva cercarsi una “causa intelligente”?

Beh, non tutti la pensavano in quel modo. Lo stesso giorno, nella sezione “Arti e Scienze” del quotidiano, La Stampa ospitava un commento dell’ingegner Ernesto Müller, un insegnante in istituti superiori che a quel tempo dirigeva la Scuola tecnica di Fossano (Cuneo). Lui agli spiriti non credeva affatto: la scienza aveva già spiegato in passato fenomeni apparentemente sovrannaturali, e adesso era chiamata a farlo di nuovo. Quelli avvenuti in corso Valdocco, in via Bava e ancor prima nella zona di Borgo Rubatto, erano a suo parere, semplici (?) “manifestazioni elettriche”. E così argomentava:

La terra è un immenso magnete percorso in tutti i sensi da correnti magnetiche e elettriche; potrebbe darsi che molte di queste onde elettriche convergano, talora, verso un dato punto e vi formino un nodo, vi trovino un intoppo, e che tale concorso di forze elettriche vi produca un eccitamento che potrebbe essere causa di fatti così anormali, come quelli a cui di tempo in tempo assistiamo. Se poi aggiungiamo che le applicazioni elettriche nelle grandi città hanno ormai raggiunto un altissimo grado, sarà più facile comprendere come questi fenomeni, per cause complesse, avvengano sempre più frequenti e acquistino pure una sempre maggior violenza, quando si pensi al grande numero di circuiti elettrici, i quali comunicano coi pavimenti delle vie.

Dopo tutto, gli oggetti metallici non sembravano particolarmente soggetti a questi fenomeni? E insieme a loro non accadeva lo stesso pure ai liquidi, in grado di “condensare nel loro seno maggior quantità di elettricità”? Anche lo spegnimento ripetuto della candela di corso Valdocco poteva avere la stessa causa, considerati gli esperimenti del soffio elettrico.

Questo senza considerare il fatto che tutti questi fenomeni duravano sempre e solo alcuni giorni, cominciando a bassa intensità, raggiungendo un picco e poi tornando a un minimo: segno evidente, secondo lui, della lora natura fisica. Insomma, quel che ci voleva era un “elettricista” che andasse sul luogo coi suoi strumenti a misurare le forze in gioco. E concludeva:

Seguiamo la scienza. Essa ci dice che un corpo non può mettersi in movimento senza l’intervento di una forza, e che questa forza non può essere che una di quelle che conosciamo in natura.

Livio Silva, che era uno spiritista che viveva a Savigliano, vicino a Müller, cittadina in cui sperimentava con vari presunti medium (una storia di cui noi del Giandujotto scettico un giorno vi racconteremo in dettaglio) rispose due giorni dopo in maniera polemica con una lettera a La Stampa. Ma, a parte le sue credenze, all’alba del XX secolo le forze in natura conosciute a quel tempo erano due, quella elettromagnetica e quella gravitazionale. Altro i positivisti non riuscivano nemmeno a immaginare – nemmeno gli spiritisti convinti. Certo è che se avessero saputo dell’esistenza delle forze nucleari, quella debole e quella forte, forse all’ingegner Müller sarebbe venuto un colpo non peggiore di quello prodotto dall’apparizione di un fantasma completo di lenzuolo, come a quei tempi era possibilissimo.

Foto di Dee da Pixabay