27 Aprile 2024
Giandujotto scettico

Gli spiriti in pena di via Vanchiglia a Torino

Giandujotto scettico n° 67 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (02/07/2020)

Del poltergeist di via Vanchiglia 17, a Torino, sappiamo poco. I due principali giornali cittadini, La Stampa (all’epoca ancora Gazzetta piemontese) e Gazzetta del popolo non sembrano parlarne. A tramandarcelo è invece un trafiletto del Corriere della Sera dell’11 febbraio 1881, che inizia così:

In una casa al N. 17 di via Vanchiglia sono comparsi gli spiriti, che devono essere fratelli di quelli della Crocetta e di via Roma scoperti dall’autorità. Da circa una settimana nell’alloggio di un signor F… si sentono ripetuti colpi in una parete malgrado la presenza degl’inquilini, ed anzi più forti e ripetuti quanto più vi è gente. Nell’alloggio vi sono due donne giovani e un signore. Un prete che abita nella stessa casa ha scoperto trattarsi di un’anima in pena, per redimere, la quale occorrono messe nel numero dichiarato a battute dagli spiriti.

Il caso è uno di quello più antichi a noi noti nella lunga serie delle “case degli spiriti” torinesi. Nell’articoletto erano citati due casi torinesi precedenti, quelli di Borgo Crocetta (1877) e quello di via Roma 41 (1880), che avevano visto il coinvolgimento delle autorità di pubblica sicurezza (il primo si era concluso con la scoperta del colpevole, il secondo era terminato “spontaneamente” a cause dell’interesse delle forze dell’ordine).

Nonostante oggi si possa dire ben poco sull’episodio di via Vanchiglia, la fonte pone due questioni interessanti. La prima riguarda l’uso dei colpi interpretati come mezzo di comunicazione dal prete, che non esitò a collocarne il linguaggio nel suo specifico sistema di convinzioni (numero di messe da celebrare), in questo modo quasi “normalizzando” la vicenda quale conferma della sua visione del mondo. I colpi battuti, il mezzo preferito dagli spiriti per manifestare la loro presenza, almeno da quando le sorelle americane Kate e Margaret Fox, all’epoca ragazzine di dodici e quattordici anni, avevano iniziato la loro carriera da medium.

Sarà forse qui il caso di ricordare che l’epopea dello spiritismo moderno era cominciata per scherzo, nel 1848. Una sera la famiglia Fox si preparava per andare a dormire, quando in casa si era sentita una serie di colpi misteriosi, come se qualcuno battesse alle pareti. La madre interpretò la cosa come il segno di una presenza sovrannaturale. Più tardi le ragazze cominciarono a far domande ai presunti spiriti che infestavano la casa e a ricevere risposte sotto forma di colpi. La casa fu presto invasa di curiosi e l’affare si trasformò in un business gestito da Leah, la sorella maggiore (trentacinquenne) delle piccole medium.

Solo nel 1888 Margaret Fox confesserà che si era trattato di un semplice scherzo giocato alla madre, sfuggito di mano quando Leah si era resa conto che così tante persone erano disposte a pagare per mettersi in comunicazione con i loro parenti defunti. I colpi erano in realtà riprodotti battendo sul pavimento con le dita dei piedi; un movimento reso impercettibile grazie a un pieno controllo dei muscoli delle gambe e con anni di allenamento.

I “colpi” sulle pareti di via Vanchiglia sono frutto della colossale popolarità di quel modo di parlare ed ascoltare l’aldilà.

La seconda questione che ci interessa riguarda il coinvolgimento del clero in questi fenomeni. L’atteggiamento della chiesa cattolica sullo spiritismo presenta elementi di ambiguità. Da un lato le autorità ecclesiastiche condannavano fermamente la comunicazione coi defunti: per un bravo cattolico era (ed è) considerato peccato “evocare” i morti per chiedere notizie e parlare con loro. Ne è testimonianza centrale il catechismo maggiore di Pio X, pubblicato nel 1905, rimasto in vigore fino al Concilio Vaticano II:

(366) Domanda: E’ lecito interrogare le tavole cosiddette parlanti o scriventi, o consultare in qualunque modo le anime dei trapassati mediante lo spiritismo?

Risposta: Tutte le pratiche dello spiritismo sono illecite, perché superstizione, e spesso non immuni da intervento diabolico, e perciò furono dalla Chiesa giustamente proibite.

Ma pronunciamenti ufficiali c’erano già stati anche negli anni precedenti, e tutti con lo stesso responso. Nel 1856, ad esempio, il Sant’Uffizio aveva definito la pratica dell’evocazione dei morti “illecita, ereticale e scandalosa”.

D’altra parte, però, rimaneva aperta la questione di come considerare in concreto quei casi in cui era il morto a presentarsi autonomamente ai viventi, come succedeva nelle dimore infestate, ossia senza un’iniziativa diretta da parte dei soggetti coinvolti.

In questi casi la chiesa di Roma preferiva dar la colpa al diavolo che, fingendosi un morto, turbava le vite e le coscienze degli incolpevoli suoi fedeli. E, dunque, in queste occasioni si recitavano preghiere di liberazione e si benedicevano i luoghi (il più delle volte, bisogna dirlo, senza grandi risultati: di norma gli spiriti erano più sensibili all’intervento delle forze dell’ordine e di altre autorità).

Nel 1901 anche la rivista dei gesuiti, Civiltà cattolica, dedicò al problema un lungo saggio (“Le case infestate”, pp. 398-401) nel quale se la prendeva con le spiegazioni degli studiosi di “magnetismo” e cercava di ricondurre queste manifestazioni nei binari dell’intervento demoniaco, ossia, si ribadisce, il modo per considerare soggetti passivi le persone coinvolte nelle manifestazioni “spiritiche”, e dunque per non aprire più conflitti e scontri interminabili con l’opinione pubblica moderna nel caso in cui si fosse parlato di pratiche più o meno stregonesche da parte degli “infestati”.

Eppure, l’episodio segnalato in via Vanchiglia nel 1881 suggerisce che nella realtà empirica non sempre le interpretazioni erano così nette: una parte dei credenti cattolici – clero compreso – riteneva assolutamente plausibile che un’anima del Purgatorio potesse manifestarsi ai viventi senza che la cosa ponesse problemi decisivi. D’altra parte non era lo stesso magistero cattolico a porre da secoli l’accento sull’importanza delle messe, della pratica delle indulgenze e delle preghiere a suffragio delle anime dei morti? E come poteva un spirito in pena comunicare ai suoi congiunti di averne necessità?

Era questo un terzo modo – tutto sommato efficiente – per non inasprire conflitti con i protagonisti dei fenomeni, riportando allo stesso tempo al centro del discorso una dottrina come quella del Purgatorio, specifica del Cattolicesimo. Lo spiritismo classico, sorto in Paesi e in contesti differenti, quelli del mondo anglosassone culturalmente dominato dal Protestantesimo, non era interessato più di tanto a leggere secondo queste specificità confessionali i “suoi” fenomeni, ma in Paesi come quelli del sud dell’Europa, in cui il processo di secolarizzazione era ancora distante, il ragionamento che abbiamo visto all’opera in via Vanchiglia, in un certo senso salvava capra e cavoli.

Certo, di queste credenze religiose allora così pervasive alcuni approfittavano. La Stampa dell’8 agosto 1941 ci ha tramandato la vicenda di una truffa perpetrata da una medium torinese nei confronti di una vedova. La donna, inscenando sedute spiritiche in cui fingeva di parlare con il marito della cliente, aveva chiesto più volte alla signora i soldi necessari per “opere di beneficenza e di pietà che gli avrebbero dato pace”. Episodi simili dovevano essere diffusi anche ai tempi degli spiriti di via Vanchiglia.

A Roma, del resto, è tuttora possibile visitare un magnifico Museo delle anime del Purgatorio, una raccolta di testimonianze fisiche lasciate dagli spiriti relegati in quel presunto luogo di espiazione. La collezione fu iniziata da un missionario sardo di marsigliese, il prete Victor Jouët, che nel 1894 aveva “riconosciuto” un’impronta lasciata da un’anima purgante nei resti dell’incendio della chiesa romana del Sacro Cuore del Suffragio, ancora in costruzione.

Da allora il religioso aveva viaggiato in lungo e in largo per trovare altre testimonianze lasciate dalle anime in pena, che cercavano così di comunicare coi viventi per richiedere messe e preghiere a suffragio, in modo da abbreviare i tempi del loro periodo “intermedio” fra Inferno e Paradiso. Quel luogo, sotto il profilo antropologico è interessantissimo, perché testimonia il confronto tesissimo fra Cattolicesimo e spiritismo classico a cavallo fra Ottocento e Novecento, ma pure quanto quella grande confessione cristiana fosse colpita da quei fenomeni così alla moda.

Particolare curioso: la collezione ricevette anche la benedizione di Pio X, sotto il quale fu promulgato il Catechismo che segnò la vita di buona parte dei cattolici almeno sino all’ultimo quarto del secolo scorso, convinto anch’egli che il museo potesse richiamare i fedeli ai loro doveri verso i defunti: accelerarne il transito verso il Paradiso.

In ossequio allo spirito dei tempi, quello manifestatosi in via Vanchiglia era dunque interpretato da un prete come la manifestazione di un’anima in pena nel Purgatorio cattolico alla ricerca di qualche buono che facesse dire un po’ di messe per lui.

Una soluzione perfettamente soddisfacente anche per l’ironico cronista del Corriere, che concludeva:

Con ciò il bandolo mi sembra trovato e voglio sperare per l’onore della nostra città che questa sarà l’ultima farsa del genere. Quod est in votis.

Nei successivi vent’anni, come abbiamo raccontato con diversi altri Giandujotti scettici, gli “spiriti” si sarebbero manifestati a Torino in un gran numero di altri edifici.

L’auspicio dei mangiapreti del Corriere della Sera, dunque, era stato davvero intempestivo.

Foto di Jacob Bentzinger da Unsplash