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Come nacquero i dischi volanti marziani? Un libro lo spiega

Nel mondo dell’ufologia italiana da decenni è all’opera un bad boy: Maurizio Verga. È appassionato di UFO da quando era un ragazzino, e, come chi scrive, ha continuato ad occuparsene con la stessa passione anche dopo essersi reso conto che il problema, pur complesso e con aspetti sui quali rimanere prudenti, non aveva a che fare con vere astronavi aliene. Piuttosto, era una magnifica dimostrazione della capacità che gli esseri umani hanno di creare, con la loro cultura e con la loro psicologia, immensi mondi fantastici – non esistenti nella realtà, ma proprio per quello ancora più affascinanti.

In tredici anni di lavoro, Maurizio è riuscito a farsi un’idea ben precisa di come e perché, fra giugno e dicembre 1947, negli Stati Uniti nacque il mito dei dischi volanti e, soprattutto, di come diventarono “i marziani”, come si diceva allora. In altri termini, Verga ha tentato di spiegare in maniera approfondita come la Extra-Terrestrial Hypothesis (ETH) per i dischi volanti poté nascere, e, da idea minoritaria, diventare rapidamente mainstream, permettendo ad una breve mania estiva di non cadere nell’oblio e di trasformarsi in un ambito fondamentale del folklore della seconda metà del XX secolo.  

Per farlo, ha raccolto un numero incredibile di fonti del tempo (circa 24.000) e ha prodotto un lavoro di storia sociale che in poco più di 400 pagine rende conto di ciò che nella mente degli americani e di molte persone del resto del mondo si produsse in quei mesi. 

Se volete avere un’idea chiara di come sorse la questione, procuratevi il suo libro: Flying Saucers in the sky – 1947: When UFOs came from Mars (Amazon, 2020, disponibile anche in formato Kindle).  

Maurizio ama la storia contemporanea ed adora la cultura pop. Per questo, capitolo dopo capitolo, nello stile secco che lo contraddistingue, vengono presentati tantissimi esempi di quanto in quegli anni venne legato ai “marziani”. Pubblicità, musica, sociologia religiosa, grafica: nel giro di poche settimane, nell’estate del 1947, quasi ogni nicchia della cultura di massa fu catturata dalle storie sui dischi volanti. Un insieme in apparenza inestricabile di utilizzi, di riflessioni, di follie, di rari tentativi scettici di gettare uno sguardo più razionale su quanto stava accadendo – e la cosa non era per niente facile, visto il diluvio di informazioni contraddittorie che poco hanno da invidiare alla nostra era dei social, dei fake e della post-verità. 

Grazie allo sguardo e al distacco dell’appassionato di storia sociale, Maurizio non si è lasciato sgomentare dalla massa di informazioni: per lui la questione della nascita del fenomeno dei dischi volanti e delle sue ragioni è complicata, ma decifrabile. Troppo oneroso, ormai, capire come andarono alcune cose particolari e come interpretare alcuni episodi, ma la linea di fondo è chiara. I dischi volanti sono completamente figli del loro tempo, è possibile spiegarne la genesi e ciò che si racconta intorno ad essi è coerente con le attese culturali di quegli anni, con le loro paure e con i loro desideri.

Prendiamo le storie sui dischi volanti precipitati con conseguenti recuperi di cadaveri degli equipaggi extraterrestri, quelle che dopo il 1980 sono diventati uno dei fili conduttori della narrazione ufologica. 

Verga ha scovato un numero assai elevato di resoconti più o meno seri su cadute di dischi volanti dal cielo. La celebre storia del “disco di Roswell”, il Graal degli ufologi pro-ETH, non solo alle sue origini ha un contenuto assai più banale dell’incredibile castello mitico costruitogli intorno dopo il 1979, ma, soprattutto, non può essere disgiunta dagli altri episodi analoghi di quelle settimane. Scherzi vari, dischi di cartapesta, palloni sonda giunti al suolo, parti perse da aerei, pezzi meccaniche notati di colpo e dall’origine incerta… c’era di tutto. 

Per Verga, i dischi volanti “precipitavano” con così tanta frequenza perché, in quella fase iniziale, l’immaginario del tempo non li dissociava dall’altro grande mito del giorno, i missili balistici, minaccia diventata concreta grazie alle V-2 naziste. I missili avevano una caratteristica: li lanciavi, e poi… andavano a finire da qualche parte: si schiantavano a terra, o in acqua.  In quel panorama mitico, era del tutto plausibile annettere al nuovo grattacapo, i dischi volanti, quella specifica caratteristica della nuova tecnologia, i razzi e i missili guidati. Naturalmente, per quelle cadute si pensava a test segreti di tecnologie militari: nel 1947 solo in pochissime occasioni si ipotizzò, e in maniera giocosa, che potesse trattarsi di “astronavi marziane” finite miseramente dopo un viaggio interplanetario. Ma, parlandone, il sasso nello stagno era gettato, ed è questo che conta.

Lo stesso, fatte le dovute proporzioni, vale per un altro caposaldo del sorgente mito UFO: i “rapimenti” di esseri umani per motivi indicibili e il loro trasporto a bordo delle astronavi, in basi segrete o su altri mondi. Anche questi nel 1947 e prima di allora ci sono, sia pur in misura marginale. Certo, davvero nessuno in quel momento pareva prenderli con serietà. O erano satira giornalistica, o racconto retorico, oppure erano menzionati come prodotto di psicopatologie. Ma pure per i “rapimenti marziani” sarà solo questione di tempo, avverte ancora Maurizio: la palla di neve che si era messa in moto alla fine di giugno del 1947 sarebbe ben presto diventata una valanga inarrestabile, e avrebbe inglobato anche la possibilità per gli extraterrestri di portarci a zonzo per un po’.

Insomma: un mondo decifrabile, spiegabile, prevedibile alla luce dei tempi – per quanto particolare. Eppure, anche così forse si potrebbe pensare che, insieme a tutte queste cose vi fosse dell’altro. Che, oltre la fuffa, vi fosse anche un po’ di sostanza. 

Durante scambi avuti con Maurizio nella fase di gestazione del volume, quasi gli rimproverai di aver lasciato in ombra i potenziali lati “seri” degli eventi fondamentali del 1947. Perché – gli dicevo – hai trascurato quasi del tutto i tanti avvistamenti di “cose strane” fatti in quelle settimane da personale aeronautico civile e militare? Non mi pareva ragionevole assimilare le loro esperienze alle lettere scritte ai giornali da fissati con Atlantide o con le innumerevoli azioni di burloni, oppure con la voglia della stampa di vendere al pubblico la mania del momento pubblicando una storia dopo l’altro, ad nauseam.

Nelle nostre conversazioni e poi col suo libro Maurizio ci risponde così. Prima di tutto, i dischi volanti furono un prodotto diretto della retorica sui progressi folgoranti dell’aeronautica – tipica dell’ultima parte della Seconda Guerra Mondiale – e della missilistica. Chi guidava i grandi bombardieri strategici, chi progettava i missili (ex-ingegneri nazisti compresi), chi portava la gente da un lato all’altro degli oceani ormai quasi come routine era l’uomo del presente e quello del futuro. Doveva essere lui, inevitabilmente, a dire la sua sul mistero del momento. 

Maurizio sa bene che il primo avvistamento di dischi volanti ad esser descritto fu fatto dal pilota di un piccolo aereo in volo sullo stato di Washington, il 24 giugno del fatale 1947 (Kenneth Arnold, che vedete in cima all’articolo). I dischi volanti nacquero a causa della descrizione di una formazione di tipo militare di nove “cosi” indecifrabili visti dall’aria, mentre un uomo, da solo, si trovava ai comandi di un velivolo. Dopo di lui, si aggiunse una ridda di testimonianze che giungeva proprio da personale aeronautico, considerato dall’opinione pubblica come altamente attendibile, come incapace di sbagliarsi e incapace di inventarsi storie divertenti, sempre serio, riservato e al contempo pronto a sfidare il ridicolo raccontando le nuove meraviglie volanti scorte nei cieli. In questo modo, il grande spazio dedicato a suo tempo a quei resoconti “seri”, quelli dei piloti, va letto insieme al resto, cioè nel quadro della dinamica psicosociale e culturale che generò il mito ufologico.

In tutto l’affresco tracciato da Verga, rimane forse un’area di cui avrei preferito leggere un po’ più estesamente. Si tratta della storia del pensiero occultistico ed esoterico contemporaneo, che fra le due guerre mondiali, in specie negli Stati Uniti, aveva preso sempre più a mescolare le sue linee tradizionali con altre speculazioni. Alle linee classiche, quelle su passati mitici da recuperare o da custodire, andavano sovrapponendosi idee su super-tecnologie e conoscenze scientifiche avanzate – anche di tipo aeronautico – in mano a gruppi di illuminati e a razze di altri piani di realtà, a pianeti o ai saggi sopravvissuti di continenti scomparsi. 

Sia chiaro: Verga dedica proprio la parte centrale del suo libro a ciò che chiama  “idee bizzarre” e interi capitoli a singole personalità di quel genere. Quello sull’occultista Meade Layne, uno dei padri del mito degli UFO, ad esempio, è particolarmente importante. In altri casi, alcuni esoteristi sono trattati più rapidamente, come per Maurice Doreal. Molti di questi personaggi erano tenuti insieme da influenze teosofiche. Le riletture americane della seconda ondata di leader teosofici, quella che seguì la sua fondatrice, Helena Petrovna Blavatsky, negli anni ‘30, per conto mio fu una delle incubatrici del mito dei dischi volanti extraterrestri, e personalmente vi avrei prestato più attenzione.   

Queste “idee bizzarre” furono quelle che influenzarono non tanto il pubblico, ma, dai primi  anni ‘50, la maggior parte dei nuovi propagandisti della realtà dei dischi volanti: gli ufologi, le loro associazioni e la miriade di rivistine che produssero in quel periodo. Quelle deliziose fanzine oggi sono ghiottonerie per appassionati di cultura pop, del kitsch o di storia della grafica. 

Un esempio fra tutti fu la testata di maggior successo fra generazioni di ufologi: la Flying Saucer Review britannica, nata nella primavera del 1955. Era interamente dedicata a idee occultistiche e volta a sostenere le visioni alternative del mondo promosse da chi proclamava di essere in contatto con gli extraterrestri. Sarebbe certo ingeneroso omettere che, come un piccola porzione dell’ufologia, più tardi anche quella rivista attraversò una fase più razionale e desiderosa di mimare un approccio scientifico, ma il punto rimane. Attraverso il prisma di quell’anno fondamentale, il 1947, studiato con sapienza da Verga (e aggiungendovi le influenze esoteriche precedenti) ci si rende conto che più tardi quasi tutti gli ufologi ripresero, modernizzarono e adattarono all’era spaziale l’occultismo otto-novecentesco mettendovi al centro la credenza nelle visite dei marziani o, per i più sofisticati, quelle in entità dimoranti in misteriose realtà più “sottili”.  

In questi settantatré anni, la stragrande maggioranza degli ufologi ha sostenuto l’ETH come causa del fenomeno dischi volanti/UFO. Il libro di Verga contribuisce a far giustizia di uno dei mantra della retorica di quegli ufologi, quello secondo i quali il pubblico  del tempo, “vergine”, sarebbe stato preso alla sprovvista dalla prima ondata di avvistamenti, quella del 1947. Per loro, l’ETH e le caratteristiche narrative dei “dischi” sarebbero state una novità, una specie di variabile semi-indipendente da ciò che gli stava intorno. Verga dimostra l’esatto contrario: l’idea che sulla Terra potessero arrivare i “marziani” era disponibile nei suoi dettagli da decenni. Occorreva che accadesse qualcosa che la inverasse. Questo qualcosa furono le migliaia di testimonianze, di chiacchiere, di controversie, dell’estate 1947. 

Quando, a settembre di quell’anno, la mania collettiva dei dischi si spense (com’è nella natura di quel tipo di comportamenti sociali), l’idea forte dell’ETH si era già innestata sul corpo della narrazione popolare e mass-mediatica. Rimarrà tuttavia confinata ad ambienti sociali limitati sino ai primi del 1950, quando una seconda ondata di avvistamenti di dischi volanti, stavolta davvero di portata mondiale, porterà definitivamente i mezzi dei marziani nell’immaginario di buona parte dell’umanità. 

Era iniziata l’era dei dischi volanti, poi chiamati UFO. Oggi, profondamente trasformati dalla cultura umana che li produsse, ne sopravvivono le loro mutazioni, adattate alla post-modernità che viviamo. 

Ma tutto – o quasi – ribadirebbe Verga, dipese dai quei pochi mesi convulsi del 1947. 

Giuseppe Stilo

Giuseppe Stilo (Firenze, 1965) si occupa di pseudoscienze, in particolare di ufologia, privilegiando il metodo storiografico. Fra gli altri suoi lavori, "Alieni ma non troppo. Guida scettica all'ufologia" (Cicap, Padova, 2022). Insieme a Sofia Lincos è titolare delle rubriche "Misteri Vintage" (su Query Online), "Il Giandujotto scettico" (sul sito del Cicap Piemonte) e "Divergenti" (sul trimestrale Query).

3 pensieri riguardo “Come nacquero i dischi volanti marziani? Un libro lo spiega

  • Ma La Guerra dei Mondi (1898) non ha proprio avuto nessuna colpa?

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    • Concordo: il seme era già stato piantato allora e probabilmente derivava da un “raccolto” ancora più antico.

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  • Favole per adulti, mi conciliano il sonno i video degli Enigmi Alieni.

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