Come i fisici torinesi, nel 1954, scatenarono un’ondata UFO in Piemonte
Giandujotto scettico n° 48 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (10/10/2019)
A volte la storia è davvero ironica. Oggi ricostruiremo un evento che, insieme al fortuito passaggio di un bolide luminosissimo sull’Italia centro-meridionale la sera del 14 ottobre 1954, fece da detonatore per la grande ondata di avvistamenti di dischi volanti e marziani di quell’autunno. Durò sino alla fine di dicembre. Negli archivi del Centro Italiano Studi Ufologici, la più grande associazione italiana con approccio razionale agli UFO, per quell’anno si contano circa 1140 casi, gran parte dei quali concentrati proprio a partire dal 14 ottobre…
Ed è un curioso destino che anche quella mania collettiva autunnale sia in parte scaturita – certo senza volerlo – da un esperimento di fisici impegnati a lavorare per risultati difficili da spiegare al pubblico, nei laboratori di un edificio torinese già allora dal sapore decisamente rétro…
Cerchiamo di capire con calma che cosa accadde, perché furono giorni convulsi, da vera e propria mania collettiva per i marziani, come allora tutti li chiamavano.
Nel 1954 la Facoltà di Fisica dell’Università di Torino aveva gran parte delle attività nel suo edificio storico, in corso Massimo D’Azeglio, che era lì dal 1898. Quando accadde l’episodio che ci interessa era presieduta dal professor Romolo Deaglio, cuneese di Piasco. Deaglio ne rinnovò il personale e vi creò attività moderne. In particolare, diede impulso alla fisica dei nuclei e delle particelle. Alla fine del 1949 ne arricchì in modo decisivo i ranghi accademici nominando alla cattedra di Fisica generale e sperimentale Gleb Wataghin (1899-1986), un fisico di origine russa ma naturalizzato italiano.
Poco prima dei nostri eventi, Wataghin aveva ottenuto l’installazione di uno primi acceleratori di particelle presenti in Italia, un betatrone da 30 MeV. A questo fece poi sostituire un più moderno sincrotrone da 100 MeV, in parte capace di superare i problemi dovuti alla limitata intensità dei campi magnetici che si producevano nei betatroni (funzionerà sino al 1983).
Gleb Wataghin fu il responsabile diretto dell’esperimento torinese che generò sulla nostra regione un’ondata UFO.
Dal maggio del 1952 fisici di diversi Paesi europei avevano dato vita a un programma di collaborazione che fu anche uno dei segnali della nascita di una fisica europea moderna dopo le distruzioni della guerra. Questo programma comportò il lancio ad alte quote di una serie di enormi palloni stratosferici. Lo scopo fondamentale dei lanci era lo studio dei mesoni K, o kaoni, che allora erano stati scoperti da pochi anni. Ai mesoni K in fisica si deve moltissimo, ad esempio lo sviluppo del concetto di stranezza.
In parole povere, si trattava di mandare nella stratosfera grossi pacchi di lastre con emulsioni, di farle impressionare dai raggi cosmici e di riportarle giù per poi esaminarle al microscopio, alla ricerca di tracce di particelle insolite o di altri eventi degni di nota. Nel 1951 il gruppo era giunto alla conclusione che i raggi cosmici presenti a latitudini relativamente basse come quelle italiane erano più energetici. Per questo si scelsero i cieli del nostro Paese.
Gli esperimenti andarono bene, ma fu il lancio principale quello più importante. Comportò infatti l’impiego del cosiddetto “G-Stack”, un paccone da 63 chili di emulsione progettato a Milano dal fisico Giuseppe “Beppo” Occhialini, che peraltro pochi anni prima aveva avuto un ruolo fondamentale nella scoperta dei mesoni π, o pioni.
Un primo lancio del ciclo del 1954, curato direttamente dall’Istituto di Fisica della Statale di Milano, fu effettuato intorno alle 7 di lunedì 4 ottobre dall’aeroporto di Novi Ligure, ancora oggi esistente. Cilindrico, di dodici metri, il pallone uscì rapidamente dal territorio piemontese viaggiando verso est. Intorno alle 10.30 la navicella con gli strumenti si sganciò e cadde da un’altezza di 28.000 metri sul monte Penice, sull’Appennino piacentino (Stampa Sera del 4-5 ottobre; Il Popolo di Novi del 7 ottobre).
Un secondo lancio fu fatto sempre da Novi la mattina del 12: il pallone cadde presso il passo della Cisa, al confine tra Emilia e Toscana (La Stampa del 15 ottobre).
Per quanto ne sappiamo questi lanci in Piemonte non fecero registrare segnalazioni di “dischi volanti” (quello del 12 però fu visto in mattinata sulla Liguria mentre dirigeva verso est).
Il nostro lancio invece ebbe conseguenze “misteriose” di ben altra portata. Fu effettuato alle 8 in punto di giovedì 14 ottobre dal piccolo campo di aviazione di Gaglianico, comune oggi quasi unito all’abitato di Biella ma allora a carattere rurale.
Il pallone aveva un diametro di 28 metri ed era alto ben 90. Era un involucro di 150 mila metri cubi di polietilene, gonfiato ad idrogeno. Dal Corriere della Sera del 15 ottobre sembrerebbe si trattasse di un pallone del tipo americano Skyhook, un dispositivo che tra la fine degli anni ′40 e la seconda metà degli anni ′50 del secolo scorso fu protagonista sia della ricerca sui raggi cosmici, sia di alcuni esperimenti di astrofisica, sia – usando a volte come copertura gli scopi scientifici – della ricognizione strategica d’alta quota sul territorio sovietico. La cosa che ci interessa di più è che il pallone Skyhook rivestì un ruolo di rilievo nella nascita del fenomeno dei dischi volanti. Guardate su questo aspetto l’articolo uscito anni fa sullo Skeptical Enquirer.
Comunque sia, gli avvistamenti del 14 ottobre 1954 cominciarono ad un’ora della prima mattinata che non conosciamo con precisione. Ne arrivarono persino dalle province di Como e di Aosta, ma noi ci concentriamo sulle vicende piemontesi.
Ci furono testimonianza dal Biellese, dal Vercellese e ancora di più da tutto il Torinese. La redazione de La Stampa fu inondata di telefonate. Sembra che il pallone si spostasse assai lentamente. Alle 11 fu visibile da Torino, alle 12 giunse sulla verticale della zona di Barriera di Milano, ma sempre mostrandosi di dimensioni apparenti piuttosto ridotte. A causa del Sole allo zenit sembrava un “fungo illuminato” o un “disco” bianco-argenteo (Stampa Sera del 14-15 ottobre). Il cielo assolutamente nitido di quel giorno accentuò la portata dell’episodio.
Gazzetta del Popolo il 15 giunse a scrivere che gli avvistatori in territorio piemontese furono “non meno di centomila”.
Il percorso seguito dal grande involucro è ricostruibile in forma abbastanza precisa: da Gaglianico diresse verso Torino e da lì ad ovest, verso le Alpi, (La Stampa del 15 ottobre). Gli avvistamenti, non a caso, si concentrarono nel primo pomeriggio sul Pinerolese e sulle valli Chisone e Germanasca (Gazzetta del Popolo del 15 ottobre).
Per Gazzetta Sera del 15-16 giunse ad oltre 33.000 metri di quota e, alle 15.58, sempre inseguito otticamente dall’aeroporto di Caselle, mentre era già oltre il confine francese, vicino Briançon, lasciò cadere il pod con gli strumenti che, frenati da paracadute, furono recuperati da due assistenti dell’Istituto di Fisica Sperimentale, presso il quale rientrarono alle 22, non senza aver inseguito in auto il pallone sin quasi al punto del distacco del carico (La Stampa del 16 ottobre).
Dalle 16 il carico impiegò altri 40 minuti per cadere presso Rosier, un paesino a nord-est di Briançon: nel vederlo molti pensarono ai marziani. La stampa francese fornì ampi resoconti delle conseguenze che il passaggio del “disco volante” ebbe anche oltreconfine.
Nel pomeriggio del 15 ottobre Wataghin consegnò presso la facoltà di Fisica dell’Università Statale di Milano il pod con le lastre impressionate sui cieli piemontesi al professor Cecil F. Powell, che quattro anni prima aveva avuto il Nobel per la Fisica (La Stampa del 15 ottobre; Stampa Sera del 15-16 ottobre).
Le analisi del G-Stack portarono indicazioni preziose. I lavori noiosi e fondamentali di controllo delle emulsioni e le conseguenti scoperte furono dovute ad un gruppo di giovani donne laureate in fisica – un fatto per niente ovvio, al tempo. Tra le figure principali di quel gruppo vi furono Anna Debenedetti (Torino, 1931-? ) e Maria Vigone (Chivasso, 1929-?), appena laureatesi in Fisica delle particelle con Wataghin presso l’Istituto di corso Massimo D’Azeglio. A loro si aggiunse, come responsabile, la più matura Carola Maria Garelli (Verzuolo, 1920-Torino, 2016).
Dal 1953 animarono il “Gruppo lastre” della facoltà, e furono loro a “vedere” molte caratteristiche dei mesoni K registrate dalle apparecchiature portate in quota dal super-pallone che i piemontesi, nella giornata del 14 ottobre 1954, avevano scambiato in massa per un disco volante.
L’epopea dell’esposizione ad alte quote di grandi quantità di emulsioni impressionate da fasci naturali di particelle come quelli che ci arrivano dai raggi cosmici finì nel giro di pochi anni. Gli acceleratori di particelle diventarono sempre più grossi, e il comando della ricerca passò a grandi centri internazionali come il CERN.
A noi scettici, però, rimarrà per sempre il ricordo dei fisici nucleari che, senza di sicuro averci pensato per un attimo, provocarono a un gran numero di piemontesi l’emozione della visione diretta di un “vero” disco volante.
Immagine: La sede storica della Facoltà di Fisica dell’Università di Torino, dal lato di corso Massimo d’Azeglio.