26 Aprile 2024
Giandujotto scettico

La lunga storia del serpente gatto

Giandujotto scettico n° 45 di Sofia Lincos e Giuseppe Stilo (29/08/2019)

Le sette valli dell’Ossola sono un piccolo paradiso per chi s’interessa di credenze sugli animali misteriosi prossimi e remoti. Chiunque voglia farsi le ossa a esaminare con spirito scettico le convinzioni della critptozoologia vi troverà una palestra ideale.

Alcune di queste leggende riguardano rettili fantastici: serpenti volanti, draghi, basilischi, con tutta una serie di varianti dotate di nomi precisi nei dialetti locali e con caratteristiche, capacità e specializzazioni diversissime.

D’altro canto, la zona è sede di tradizioni antichissime. Sin dal VII secolo a San Giulio di Orta è attribuita la cacciata di serpenti e draghi dall’isola del lago d’Orta. Potete vedere qui alcune sue rappresentazioni.

Il Giandujotto scettico di oggi si sofferma su uno degli esponenti di questo magnifico rettilario mitico. Si tratta del serpente gatto, un essere che pare aver fatto capolino in tempi recenti nel pantheon fantastico dell’Alto Piemonte, in particolare in Val Vigezzo. Questa valle mette in comunicazione Italia e Canton Ticino, e proprio dalla Svizzera probabilmente hanno origine i racconti che ci interessano.

Quello del serpente gatto della Val Vigezzo è una forma di folklore vivente, nel senso che non è relegato nel passato, con racconti collocati in tempi più o meno remoti e mitici. Gli avvistamenti si verificano oggi. Vi offriamo un piccolo riassunto che parte dal 1971. Teniamo in mente quell’anno, perché si direbbe che tutto sia cominciato – o, meglio, ri-cominciato – allora.

La rinascita del serpente gatto

Dall’estate del 1971, infatti, diversi articoli cominciano a far capolino sul Risveglio Ossolano. Sull’edizione del 29 luglio 1971, ad esempio, un uomo del comune di Re descriveva il serpente gatto come un animale con una cresta da gallo, gialla e rossa, tipico delle zone ricche di funghi. Per questo invitava i cercatori del vicino Varesotto a starne alla larga. La storia si inserisce nella lunga tradizione che interpreta le storie di “animali mostruosi” come un sistema per tenere fuori dal proprio territorio eventuali intrusi (in questo caso i fungaioli). Nel mese di settembre, poi, un padre e suo figlio s’imbatterono nella bestia, e a questo punto in paese si comincerà a parlare di spedizioni per catturarla o almeno fotografarla (Risveglio Ossolano, 16 settembre 1971).

Più avanti vedremo perché queste notiziole dell’estate 1971 sono importanti per noi.

Per quello che sappiamo, negli anni ’70 del secolo scorso il serpente-gatto diventò parte della cultura di massa locale. Ce ne sono indizi in particolare nel 1976, anno di una vera e propria serpentegattomania.

Il 1° aprile di quell’anno il rettile misterioso si trasformò in… pesce. Fu infatti accolto in prima pagina dall’Eco dell’OssolaRisveglio Ossolano come “notizia dell’ultima ora”. Il mostro era stato catturato a Foppiano (e quindi fuori dalla Val Vigezzo, dove la tradizione colloca la bestia) da un gruppo di studio dell’Università di Bologna guidato dai professori Trotani e Pinna (!). Un collaboratore del settimanale, parte della spedizione, era stato morso a una mano, ma senza che il mostro producesse veleno. Per le 19 di quel giorno era prevista una conferenza stampa nella sala riunioni dell’Eco, a Domodossola.

Il numero successivo del periodico, quello dell’8 aprile, non pubblicò le promesse foto del mostro, ma spiegò che in diversi si erano recati sul serio alla sede dell’Eco, quella sera, per chiedere delucidazioni. Noi vi offriamo la riproduzione dell’articolo del 1° aprile, che se non le foto comprende almeno un ritratto dell’animale fatto prigioniero…

Articolo dell’Eco dell’Ossola, 1 aprile 1976

Può darsi che l’ispirazione per il Pesce d’Aprile sia stata fornita da una vera conferenza pubblica che quindici giorni prima, ad Orta, aveva avuto grande successo. Uno scrittore che presto si rivelerà importante per questa storia, Benito Mazzi, aveva parlato di “Misteri di streghe e stregoni della Val Vigezzo”, ma anche del serpente-gatto. Avvistamenti c’erano stati anche due anni prima, spiegava. Anche Mazzi pareva interpretare il mito in maniera razionalizzante: forse si trattava di storie diffuse per allontanare i troppi turisti e villeggianti (La Stampa, Cronache del Novarese, 16 marzo 1976).

Il serpente gatto sempre più icona-pop

Da allora il serpente gatto sembra entrare a poco a poco nella cultura di massa. A Re, il piccolo comune che cinque anni prima era stato al centro delle dicerie estive sugli avvistamenti dell’animale, un negozio di valigie e di borsette si farà pubblicità sull’Eco dell’Ossola (22 luglio 1976) suggerendo al serpente gatto di stare alla larga, perché la sua specialità era proprio la pelle di rettile!

Il 15 aprile la lettera di una donna raccontava le disavventure amorose di una sua amica: questa aveva saputo che un’inglese, nel passato, aveva sposato senza saperlo un vampiro; ora temeva di avere accanto a sé non un marito, ma un serpente gatto! Antonio Gennari, redattore dell’Eco, stava al gioco e rispondeva spiegando che per scoprire se si era sposato un vampiro bisognava prima del matrimonio praticargli il ghitalpé, solleticandogli le piante dei piedi e così costringendolo, nel ridere, a mostrare gli eventuali canini allungati. Il caso del rischio di sposare un serpente gatto era diverso e meno grave, proseguiva Gennari, perché il serpente gatto ha la coda dietro, e in vent’anni di matrimonio se ne sarebbe pur accorta…

L’8 luglio 1976 ci fu uno degli interventi più interessanti di quegli anni. Anzi: la pretesa implicita di chi lo scrisse era di farlo diventare una delle chiavi per interpretare tutta questa vicenda. Sull’Eco, Benito Mazzi, che già a marzo era entrato nell’arena con la conferenza già citata e che allora era un giovane giornalista e studioso di cultura locale, pubblicò uno scritto lungo e articolato. Il serpente gatto – si capiva alla perfezione – in quel momento era un argomento vivissimo, e lui ne era un grande appassionato. Tutti ne parlavano. Alcuni abitanti della zona, narrava Mazzi, pensavano che il 1° aprile il mostro fosse stato catturato sul serio e che quello fatto dal settimanale non fosse uno scherzo.

Un nome inventato?

Ma la cosa più interessante è che Mazzi rivendicava di aver inventato il nome serpente gatto nel 1971, scrivendo per il Risveglio Ossolano, quando aveva raccontato la testimonianza di due escursionisti svizzeri sui monti di Dissimo: un serpente di 50-60 cm con testa e pelo di gatto. Per questo aveva coniato quel nomignolo, appunto quello di serpente gatto, che infatti compare nel breve articolo sugli avvistamenti del luglio ’71 nella zona di Re di cui abbiamo accennato all’inizio (Mazzi è nativo di quel paesino e Dissimo ne è frazione).

Proseguiva poi raccontando di aver collegato quelle testimonianze del 1971 al racconto che faceva – collocandolo nel 1931 – un cacciatore di Dissimo, Giocondo Balassi, ancora vivo quando Mazzi scriveva.

Balassi narrava di aver ucciso a fucilate un serpentone-mostro, e di essersi ritrovato poi circondato da vipere, tanto da subire una forma lieve di avvelenamento… La virulenza dell’attacco dei rettili (questo il tratto di biologia mitica sottostante) era dovuta al fatto che l’uomo aveva colpito la regina delle vipere.

Ad essere onesti Mazzi precisava che dopo aver coniato il nome, lui stesso aveva scoperto che l’espressione era già stata usata in “una breve pubblicazione” anonima – ma che lui attribuiva a uno studioso di Vigezzo, il prete Giovanni De Maurizi (1875-1939). Vi si descriveva un gattone rosso, con gli occhi di brace, che si diceva si aggirasse d’estate nel paesino di Albogno. L’attribuzione dello scritto a De Maurizi è incerta: la pubblicazione sarebbe comparsa nel 1944, ma lo studioso a quel tempo era già morto. Quel che più conta per noi è che queste “tappe” proposte da Mazzi nel 1976 sembrano fondamentali per spiegare la nascita del nuovo protagonista del bestiario ossolano, il nostro serpente gatto, che è in realtà un collage dei numerosi rettili misteriosi della zona, frutto di una lunghissima tradizione folklorica.

Un rettilario mostruoso

Nel suo saggio del ’76 Mazzi non esita a far notare “centinaia di avvistamenti” da lui raccolti in pochi anni circa serpenti mitici di ogni genere: il serpent de la cestra, che fa perdere la memoria, la spersuria, che paralizza col veleno mucche e capre per succhiarne il latte e fa perdere la parola agli uomini e, soprattutto, il più illustre bazzelesck, che molti tendevano a identificare con il “nuovo” serpente-gatto e sul quale Mazzi disponeva di 480 interviste raccolte in zona!

La sovrapposizione fra le caratteristiche dei due esseri in effetti sembra notevole, in specie nella loro comune funzione di “sovrani” degli altri rettili. Quando otto anni dopo, in un oratorio seicentesco di Piedimulera, fu rubata una statua lignea del basilisco, L’Eco non esitò a identificarlo con il serpente gatto (Eco Risveglio Ossola, 10 maggio 1984).

In questa fase non potevano mancare letture più piattamente razionalizzanti che leggevano la storia del serpente gatto come frutto diretto di errori osservativi e di paure al cospetto di vipere e serpenti vari. Fu quanto fece Luigi Rondolini, medico e studioso della natura dei luoghi, sulle pagine del trimestrale Lo Strona del 31 dicembre 1976.

Dunque, nell’Ossolano a metà anni ’70 del XX secolo il nostro animalaccio è parte di un discorso collettivo tanto generalizzato quanto tutto sommato lieve, “moderno”. Il Giandujotto scettico vi promette indagini più approfondite sull’origine del mito del serpente gatto. Forse, infatti, Benito Mazzi fu troppo veloce nell’attribuirsi il ruolo di “fondatore”. Ne fu un grande promotore, ma non è per niente chiaro se lo stesso nomignolo non comparisse prima di lui.

Radici antiche?

Per intuire quanto il serpente-con-testa-di-gatto fosse già presente vi suggeriamo due spunti soltanto.

Il primo: nell’area culturale e geografica compresa fra Alto Piemonte e Svizzera meridionale gli incontri con un serpente di grandi dimensioni e testa di gatto hanno secoli di storia.

Ne abbiamo notizie in libro illustre e assai studiato dagli storici della scienza, il terzo tomo degli Ouresiphoitēs Helveticos, sive itinera per Helvetiae Alpines regiones, uscito nel 1723, capolavoro del naturalista svizzero Johann Jakob Scheuchzer (1672-1733). Nel corso dei suoi viaggi alpini lo studioso – uno dei padri della paleontologia e della paleobotanica – raccolse storie e testimonianze su draghi e serpenti volanti, o con testa di gatto, ma non seppe bene come classificarli nei suoi modelli geologici.

Sono allo stesso tempo la prova dell’esistenza remota di quella mitologia e degli sforzi fatti per avanzare verso una concezione evoluzionistica delle specie e della geologia.

Il secondo spunto: nel XX secolo il serpente smisurato con testa di gatto è visto e inseguito in aree d’Italia del tutto diverse dal Piemonte.

È quanto accadde, ad esempio, nelle campagne intorno a Termini Imerese (Palermo) a metà giugno 1954, dove i testimoni furono decine: un serpente grosso, lungo un metro, con testa di gatto e due zampette anteriori, che assaliva e uccideva pecore e maiali (Stampa Sera del 19-20 giugno e L’Unità, edizione di Firenze, del 20 giugno 1954), tanto da meritare la controcopertina della Domenica del Corriere del 4 luglio.

Domenica del Corriere del 4 luglio 1954

C’è tantissimo da raccontare e spiegare di questo mito che viene da lontano e che ha saputo adattarsi ai tempi. Negli anni Novanta, ad esempio, ebbe un nuovo picco d’interesse la vicenda di uno scheletro di serpente gatto che si diceva fosse stato ritrovato in Val Sesia, a Camasco, a metà dicembre 1954. Già allora aveva fatto scalpore, inaugurando una lunga stagione di racconti su presunte “ossa di draghi” in zona: al link appena segnalato, trovate un intervento del criptozoologo scettico Lorenzo Rossi. Ci torneremo su, magari con gli sviluppi più recenti di questa magnifica, complicata presenza cui parecchi, anche oggi, credono come concreta realtà zoologica “alternativa”.

Foto di Fahri Baghirov da Pexels